Il grande vuoto

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grande vuoto

Vorrei dedicare questa riflessione non alle vicende politiche di questi ultimi mesi – o forse sarebbe più appropriato dire: di questi ultimi anni –, ma a noi, agli italiani, e a ciò che nel corso di queste vicende è accaduto alla nostra anima. Sì, all’anima delle persone.

Perché anche tanti che pure non credono in un principio immortale dentro l’uomo, anche tanti che sono alieni da prospettive religiose o magari soltanto “spirituali”, in questa ormai lunga stagione della nostra vita pubblica che va sotto il nome di «Seconda Repubblica» hanno percepito, più o meno oscuramente, che qualcosa stava venendo meno, a un livello molto profondo, in quella sfera segreta in cui si decide l’atteggiamento delle persone verso la vita e verso gli altri, e che qui chiamo “anima”.

La «bancarotta spirituale»

Che questo disagio non sia l’illusione ottica di un cattolico nostalgico del passato mi sembra lo confermi la pagina letteraria di «Repubblica» del 10 maggio 2018, dove si pubblicava un testo del monaco trappista Thomas Merton.

Il titolo dato dal curatore era: «La vera bancarotta è quella spirituale». E nell’“occhiello” si leggeva: «Perdere l’anima». Eloquente la presentazione del pezzo: «Era lo scorso secolo. Ma sembra oggi».

Scriveva Merton: «Generazioni su generazioni di uomini hanno a tal punto perduto il senso di una vita interiore, si sono talmente isolati dalle loro profondità spirituali (…), che ora noi siamo quasi incapaci di godere di una qualsivoglia pace, quiete, stabilità interiore. Gli uomini sono arrivati a vivere esclusivamente sulla superficie del loro essere (…). Siamo lasciati in balìa di stimoli esterni e la stimolazione è arrivata addirittura a prendere il posto che, una volta, era occupato dal pensiero, dalla riflessione e dalla conoscenza».

Il fenomeno, in sé, è antico quanto l’uomo. Ma ci sono epoche in cui il contesto culturale e sociale favorisce questo smarrimento profondo.

I primi ad essere colpiti sono i più giovani. Penso al triste fenomeno dei Neet – i ragazzi che non studiano, né lavorano, né cercano lavoro –, che in Italia sono il 29,1% dei giovani tra i 18 e i 24 anni (quasi uno su tre!); penso ai suicidi, che tra gli under 25, sono nel nostro Paese la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali; penso ai comportamenti balordi e anch’essi in sostanza autodistruttivi, sotto l’influsso dell’alcol o delle droghe…

Televisione e crisi della politica nella “Seconda Repubblica”

Questo “vuoto dell’anima” si è da un lato alimentato, dall’altra manifestato grazie al progressivo deterioramento dei programmi televisivi, all’irrompere del vocìo dei social, al decadere degli stili della politica.

Nell’ultima fase del secolo scorso è stato il passaggio dalla Tv “pedagogica” dei grandi sceneggiati televisivi – come «Jane Eyre» o i «Promessi Sposi» – a quella commerciale del «Grande Fratello» a segnare un irreversibile imbarbarimento.

Nel frattempo la politica diventava spettacolo, con i volti dei leader e gli slogan pubblicitari al posto degli ideali e dei programmi, con l’inizio del dominio della post-verità, in grado di capovolgere la realtà sostituendola con dei miraggi, con l’offuscamento delle tradizionali regole della dignità e del pudore.

Una crisi vissuta dalla “destra” all’insegna del potere del denaro e del mito del successo, efficacemente rappresentato dal personaggio di Berlusconi; dalla “sinistra” sostituendo alla ormai obsoleta concezione marxista quella liberal-borghese dell’individualismo possessivo (ognuno è proprietario del proprio corpo e della propria vita e non deve risponderne a nessuno) e dei diritti senza doveri.

Il popolo senz’anima

In questo deserto valoriale, dove la cosiddetta “fine delle ideologie” mascherava in realtà il trionfo dell’unica sopravvissuta, condivisa alla fine dagli opposti “poli”, nessuno si è più occupato dei più deboli, dei poveri, delle generazioni future.

Lo sviluppo c’è stato, ma la forbice tra ricchi e poveri si è allargata sempre di più. Quando Renzi fece la riforma fiscale dovette ammettere che essa non riguardava quei cinque milioni di italiani, detti “incapienti”, che non potevano neppure pagare le tasse, perché non avevano il reddito minimo per farlo, mente i membri (numerosi) della “casta” fruivano di pensioni stratosferiche a spese dei contribuenti.

L’avvento del cosiddetto “populismo” è stata la logica reazione a questa situazione. Sostenuto dall’avvento dei social e dal nuovo potere che essi davano a chiunque di esprimersi e di pesare, esso ha sovvertito il quadro politico e portato alla ribalta nuovi protagonisti.

Purtroppo, il soggetto di questa rivoluzione, in sé legittima, era un popolo da tempo svuotato dei vecchi valori e incapace di trovarne altri alternativi, che si è trovato protagonista della politica (emblematico il peso che hanno i sondaggi) senza avere mai avuto una educazione alla cittadinanza e al bene comune (l’“educazione civica” nelle nostre scuole è rimasta sempre un fantasma) né dalla famiglia (peraltro da tempo in crisi), né dalla scuola (sempre più ispirata alla logica della “trasmissione dei saperi” piuttosto che a quella dell’educazione), né dalla parrocchia (ormai ridotta spesso a una stazione di servizio per la distribuzione di sacramenti).

Il “vuoto dell’anima” sui social

Il “vuoto dell’anima” in realtà era ancora più profondo. La politica ne è stato solo un drammatico specchio. Il declino della morale diffusa e della religiosità popolare del passato ha potuto dare un senso di maggiore libertà.

Salvo però a scoprire che, insieme a tante altre cose, è venuta meno anche quella base valoriale condivisa che garantiva, al livello pubblico, il retroterra “privato” di una spiritualità e di un’etica ispirate al vangelo e dunque umane.

Lo spettacolo spaventoso (cito solo un esempio tra i mille) di un’ondata di commenti inneggianti al suicidio di un immigrato che temeva il ripatrio – «Uno di meno!»; «Morite tutti!» e cose del genere – è un fatto culturale che dovrebbe atterrire (e in effetti a volte atterrisce) anche chi è favorevole alla politica dei “porti chiusi”, perché rivela una “perdita” dell’anima ben più profonda del piano delle scelte che riguardano la politica.

Programmi politici inadeguati

Anche se poi la politica della “destra” l’intercetta e la usa, come fa Salvini, per suffragare queste scelte, che vengono incontro a una sensibilità ormai diffusa, permettendosi anche di presentarle come scelte “evangeliche”, solo perché avallate da simboli religiosi e a preghiere ai santi (a tal punto è arrivata la perdita del senso del vangelo tra i “cattolici”!).

Come del resto, sul fronte opposto, si crede di poter rivitalizzare l’asmatico respiro della “sinistra” promettendo, come ha fatto recentemente Zingaretti, una lotta decisa per far passare la legge sull’eutanasia.

Non – attenzione – un progetto per conciliare l’accoglienza con l’integrazione (ciò su cui i governi di “sinistra” hanno miseramente fallito nel passato); non una serie di iniziative coraggiose per venire realmente incontro agli italiani poveri (quelli che Salvini cita sempre per spiegare perché respinge i migranti, ma a cui offre come soccorso il condono agli evasori fiscali e, in prospettiva, la riduzione delle tasse ai ricchi).

Garantire il diritto dell’individuo di morire senza risponderne a nessuno: questo l’ambizioso obiettivo, in una società dove moltissimi vorrebbero invece assicurato il diritto di vivere, sulla base di una visione in cui la libertà sia praticata come reciproca responsabilità.

Il compito delle comunità educanti

Al posto dell’individualismo possessivo deve rinascere una cultura della solidarietà, dove l’“essere” della persona sia più importante dell’“avere” e dove i doveri vengano prima dei diritti. Ma questo non sarà possibile se le persone non saranno messe in grado di uscire dalla superficialità del flusso mediatico e di ritrovare se stesse.

Scriveva Thomas Merton: «La bancarotta spirituale dell’uomo non gli ha lasciato nessuna possibilità di rifugiarsi in se stesso, nessuna cittadella interiore in cui potersi ritirare per raccogliere le forze (…). L’ultimo posto al mondo in cui l’uomo moderno cerchi rifugio e consolazione sono le profondità della propria anima (…). Il pensiero di prendere residenza in noi stessi ci alletta quanto quello di vivere in una casa infestata fantasmi».

Le tradizionali comunità educanti – la famiglia, la scuola, la Chiesa – devono uscire dallo stato di paralisi in cui le hanno messe i nuovi stili comunicativi e mettere in azione la loro fantasia, per ripartire da qui. Dalla ricerca e dalla riscoperta dell’anima. Se la ritroveranno le persone, anche la politica – al di là della diversità delle posizioni – tornerà ad averne una.

È un progetto a lunga scadenza, certo, come tutti quelli che riguardano le profondità dell’essere umano. Ma le soluzioni a breve termine sono ingannevoli. Si crede di uscire dal buio ma, se non cambiano le persone, da Berlusconi si passa a Renzi e da Renzi a Salvini… L’esperienza dice che al peggio non c’è fine. Solo se riusciremo a riaprire le porte del pensiero e della riflessione potremo sperare di sconfiggere i mostri che si aggirano nel grande vuoto, perché questo vuoto non è chi sa dove, è dentro di noi.

Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo. Post pubblicato nella rubrica «I chiaroscuri» (su www.tuttavia.eu), il 19 luglio 2019.

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Un commento

  1. Angela 25 luglio 2019

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