Il potere

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L’intuizione originaria del “Forum Junge Theologie” era quella di offrire uno spazio di incontro nel quale potessero essere protagonisti giovani studiosi/e che, partendo da discipline diverse, svolgevano le loro ricerche su aspetti e temi che riguardavano la religione e i suoi fenomeni a vari livelli della vita umana. Due le scelte di fondo che lo hanno caratterizzato fin dagli inizi. Il tema del confronto annuale doveva in un qualche modo rompere con gli argomenti classici che occupano abitualmente la ricerca accademica in materia di religione, consentendo così sia allargamenti di carattere disciplinare e di ambito della trattazione, sia una maggiore porosità interdisciplinare della discussione. Questo nella consapevolezza che i fenomeni riconducibili a un profilo religioso hanno oramai superato le classiche ripartizioni del sapere accademico. La seconda riguardava la provenienza dei partecipanti, concentrata fin dagli inizi sulla regione europea dell’Alpe-Adria: terre di confine, segnate da una non facile, e spesso ancora irrisolta, storia di meticciato culturale. La fecondità e pertinenza di quell’intuizione si è mostrata sia nella durata dell’iniziativa, giunta oramai alla sua sesta edizione, sia nell’originalità dei contributi che sono stati presentati nel corso delle varie sessioni annuali.

L’incontro di quest’anno (Tanzenberg, 8-10 settembre) ha messo a tema una questione largamente percepita ma raramente analizzata in quanto tale: quella del potere. Qualcosa che tutti sanno che esiste in continuo esercizio, ma difficile da comprendere nei suoi meccanismi, i quali vanno ben oltre la retorica che caratterizza la discussione, ecclesiale e civile, su di esso. Eppure la sua trasversalità ne rivela l’onnipresenza nel vivere umano: dalla Scrittura alle serie televisive, dalla filosofia ai giochi interattivi, dalla storia locale alla pastorale delle comunità cristiane. La sessione del Forum di quest’anno è stata come un’attraversata nella pervasività del potere e nella sua intersezione con i fenomeni religiosi e le fedi. Una presa di consapevolezza, in primo luogo. Il dibattito intenso, unito alla differente percezione dei partecipanti, ha mostrato la forza camaleontica e la natura ambivalente del potere.

Di particolare interesse i contributi di taglio teologico-pastorale provenienti dalle religioni dell’Ex-Jugoslavia (Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina), che hanno messo a tema la questione del potere della/nella Chiesa cattolica dopo la fine del comunismo. In merito si può osservare un significativo slittamento generazionale tra coloro che hanno vissuto in prima persona quella stagione di transizione e coloro che si sono formati, umanamente ed ecclesialmente, dopo di essa. Questi ultimi guardano al cattolicesimo post-comunista con occhio critico, capace di cogliere una sorta di bramosa ricerca di potere e privilegio che ha caratterizzato le Chiese locali dopo la fine dello Stato jugoslavo, appaiata a una sponda profondamente ambigua trovata nei vari nazionalismi che riemergevano dopo decenni di artificiale unità. Si sta dunque formando una generazione di giovani studiosi e studiose che guardano al cattolicesimo di casa non più nella luce di un mito della liberazione che sembra poter giustificare ogni scelta compiuta in seguito, ma che cercano di discernere in questa stagione luci e ombre nel vissuto della loro Chiese.

Nel suo complesso il Forum di quest’anno ha come danzato sull’orlo di un abisso (del potere) che non è riuscito a nominare, anche se soprattutto con la relazione che ha concluso i lavori si sarebbe potuto guardare dentro questo grande buco nero che è il potere nella vita umana e delle fedi. Se è chiara la consapevolezza delle sovrastrutture culturali, di genere, storiche, politiche e linguistiche, intorno a cui si giocano controllo e distribuzione del potere tra gli esseri umani e nella vita sociale, non si è riuscito a illuminare fino in fondo la natura parassitica del legame che il potere in quanto tale intesse con esse. Quelle sovrastrutture decidono certo su “chi” ha (illusoriamente) in mano il potere, ma, per farci credere che proprio così è di esso, non possono rivelare che il potere le usa come meri strumenti a proprio piacere e godimento. Ossia che il potere non coincide con le forme della sua gestione, esercizio ed usurpazione. Esso ne dispone, ma dissocia da sempre il proprio destino dalla loro vicenda storica. Si serve della cultura, della politica, della religione, del patriarcato e del femminismo, tutti elementi che producono slittamenti e riaggiustamenti nella sua circolazione, ma non si identifica con nessuna di esse. Rimane sempre altro. Perché, come chiudeva l’ultimo contributo, alla fin fine il “potere è potere” e poco gli importa dell’appoggio che gli viene offerto. Se c’è il potere, allora ogni sovrastruttura intorno a cui esso si articola diventa da ultimo irrilevante.

Forse quello che non si è avuto il coraggio di dire è che il potere che circola tra gli umani è “sostanza in sé stessa”, ontologia realizzata e dispiegata nella storia e nelle vicende umane (e non nell’astrazione del pensiero). Esattamente qualcosa che il Dio cristiano ha deciso di non essere nel gesto della sua incarnazione.

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