Che ci fa un prete su TikTok, il social del momento scaricato soprattutto da giovanissimi, dove spopolano video brevissimi capaci di attirare subito l’attenzione? Ci può stare per andare nelle periferie esistenziali e incontrare giovani, altrimenti non raggiungibili, per creare ponti e spazi di dialogo, nel rispetto delle reciproche posizioni, ma dando pillole di catechismo, seppure in un linguaggio comprensibile ai giovani. Questa è la «mission» che si è prefisso sbarcando su TikTok don Mauro Leonardi. Il sacerdote, 61 anni, vive a Roma ed esercita il suo ministero presso il Centro Elis. Inoltre, dà un aiuto alla parrocchia di San Giovanni Battista al Collatino, affidata all’Opus Dei.
- Com’è nata l’idea di aprire un profilo su TikTok?
Su Facebook da tanto tempo posto le intenzioni della Messa di ogni giorno alle 19 e ricevo 7/8mila richieste di intenzioni quotidianamente per le quali mi chiedono di pregare. Ho pensato di fare la stessa cosa su TikTok. Mi vengono fatte domande a cui offro risposte aperte, sempre alla luce della nostra fede.
- Com’è la sua esperienza su TikTok?
Sono su TikTok dal 4 luglio e io stesso sono restato meravigliato della risposta. È l’interazione quella che funziona, l’algoritmo di TikTok spinge tantissimo i video in cui ci sono tante interazioni, come succede ai miei. TikTok è un social di giovani, sono loro che mi pongono tante domande e io rispondo con brevi video. Sono tutte risposte che hanno carattere di catechismo perché sui social è necessario essere se stessi.
L’autenticità affascina tantissimo i giovani.
Ma è molto complicato stare su TikTok: io realizzo i video e poi mi faccio aiutare nel montaggio e nella scelta della musica. Ricevo migliaia di domande, faccio una selezione per scegliere a quali rispondere. Anche se il video dura un minuto i ragazzi al massimo ti seguono per 17/18 secondi: in quel poco tempo devi dire tutto e lo devi dire bene.
- È facile interloquire con i giovani?
Con i giovani in Italia bisogna andare cauti su molti temi, per evitare di perderli subito, e anche l’insegnamento della Chiesa deve essere dato in modo mediato. Gesù ci dice di andare a tutte le creature, Papa Francesco ci dice di andare nelle periferie e i giovani sono su TikTok: ovviamente alcune risposte a certe domande sono scontate perché io sono un prete e quindi faccio mia la dottrina della Chiesa cattolica in tutti i suoi aspetti. Così cerchiamo altri spazi di dialogo. Insomma, cerco di vivere su TikTok ciò che da sempre i missionari vivono.
Ho presente l’esempio di San José de Anchieta, detto l’Apostolo del Brasile, che è stato, prima che evangelizzatore, il difensore degli indigeni brasiliani. Si racconta che quando il santo arrivò in quelli che allora erano villaggi dove si praticava il cannibalismo, allorché gli veniva offerta carne umana per sfamarsi, ringraziava dell’ospitalità e rispondeva: “La mia religione me lo proibisce”. Non si inerpicava cioè in ragionamenti dottrinali che a quei cannibali sarebbero stati incomprensibili, ma riconduceva il discorso a paradigmi, come quello del rispetto per la religione altrui, per loro riconoscibili.
- Il dialogo con i giovani come si svolge?
Per la mia esperienza, TikTok è improntato al dialogo ma quello vero. I buoni sentimenti non bastano.
Il rischio dell’indifferentismo è gravissimo perché l’espressione “tutti differenti tutti uguali” dice che la diversità è insignificante, ma la relazione è possibile solo fra diversi. Questo è il primo messaggio cristiano che secondo me in questo momento va dato alla società ed è il nocciolo della mia presenza su TikTok. Questo significa porre in essere delle relazioni in cui da una parte si mantiene la diversità e dall’altra si alimenta una relazione di piena convivenza. Con i giovani ciò che cerco di mettere in pratica è il messaggio della interculturalità, per trovare ciò che accomuna nel “fra”, nell’“inter”. È quanto avvenuto, per esempio, tra cristiani e musulmani in numerosi secoli e in tante nazioni. E credo sia quello che dobbiamo proporre ai giovani che si trovano su TikTok, in gran parte lontanissimi dal cattolicesimo.
- Che temi interessano ai giovani?
Ai ragazzi interessa tantissimo Dio, non solo le questioni morali. Sono anche molto affascinati dal mondo del satanismo. Loro credono che ci sia un satanismo buono. Io spiego, invece, che Satana è l’avversario di Dio, di ogni bontà e valore umano. Al diavolo i ragazzi associano subito le possessioni diaboliche, io cerco di far comprendere loro che non è tanto importante capire se una persona è posseduta quanto se il demonio è presente nella mia vita quotidiana, ad esempio attraverso la superbia, l’invidia, l’avidità. Quindi, la fatica è trovare lo spazio di dialogo in cui intercettare il bene che c’è nel cuore della persona che ho davanti, anche se molte volte non è facile.
- Cosa fa quando le rivolgono domande “scomode”?
In tante occasioni, a domande che potrebbero sembrare scomode, rispondo con interventi del Papa o dei vescovi che sono illuminanti, sempre aperti al dialogo e a non escludere nessuno dalla misericordia di Dio. Nonostante ciò, sicuramente chi non conosce il pensiero che c’è dietro la mia decisione potrebbe fraintendere quello che faccio. Ma bisogna saper guardare lontano. Certo su TikTok non mi concentro sul dogma interno al cattolicesimo, ma sul creare un ponte verso gli altri.Il messaggio che voglio trasmettere è che un prete è vicino a tutte le periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali, come ci insegna Papa Francesco.
- Che bilancio fa di questi due mesi su TikTok?
La mia esperienza è assolutamente positiva, ma molto impegnativa, richiede molta preghiera e molto spirito di sacrificio, ma alla lunga cerco di trasmettere il mio messaggio. Se io facessi un video in cui spiego simpliciter cos’è l’Eucaristia nessuno lo vedrebbe. Il primo passo per far conoscere il messaggio cattolico è il rispetto.
Ciò non significa che vada bene qualsiasi cosa. Ognuno di noi ha i propri convincimenti e quelli di un cattolico non sono quelli di un musulmano o di un buddista. Per me stare su TikTok è stare in una missione dove trovo persone lontane, ma dobbiamo andarci con la mentalità giusta, quella della missione e non come se fossimo in una terra già cristiana, come se ci fossero da incontrare dei giovani già credenti.
- Agenzia SIR, 22 settembre 2020