Confesso di guardare poco la televisione, ma durante un telegiornale nazionale ho potuto vedere un resoconto della prima serata del Festival di Sanremo di quest’anno.
Una sceneggiatura scintillante che però, come spesso accade alle cose sfarzose, mi pare nasconda un vuoto di cui non posso misurare la profondità, dato che non ho seguito la trasmissione che per quel tanto che il TG del giorno dopo ha mostrato. Potrebbe anche essere che il cantante abbia continuato… recitando il rosario. Non lo so.
Due cose però della prima serata mi hanno colpito: lo squallido spettacolo offerto dal primo cantante, dal suo abbigliamento, per altro molto ridotto e, secondo, dai gesti ambigui ma chiaramente allusivi offerti al pubblico e dall’impatto negativo che questi gesti hanno avuto su di me, e temo anche sugli altri spettatori, soprattutto sui giovani.
Qualcuno ha parlato di “sacrilegio”. Personalmente voglio riservare ad altro questo termine: chissà se il cantante era consapevole di fare «un’azione gravemente colpevole sotto il profilo giuridico, religioso e morale, consistente nella profanazione, con atti, comportamenti o parole, di persona o luogo o cosa sacri o comunque consacrati con rito religioso», come dice il dizionario Treccani.
Di certo. quello di “autobattezzarsi” è stato un gesto oggettivamente irriverente che urta e irrita la sensibilità religiosa di tutti quelli che si chiamano cristiani e praticano quella religione che nel battesimo ha le sue radici. Preceduto poi da gesti allusivi, neppure tanto velati, a un’azione che la morale, anche laica, non vorrebbe vedere in pubblico e che la morale cristiana dichiara oggettivamente peccaminosa.
Ma quello che più di tutto mi impressiona e preoccupa è il messaggio che viene da queste immagini. È questo il modello di vita che si vuol offrire o che di fatto si offre ai giovani di oggi presenti fra i dieci milioni di spettatori di quella sera? Ai giovani che, dopo la parentesi di questi due anni, riprendono il cammino, e sono la new generation di oggi e domani, che cosa proponiamo?
La futilità, l’evasione e la trasgressività non penso possano dare loro la carica necessaria per affrontare la nuova stagione di “ripresa e resilienza” e portare su di sé la responsabilità di ricostruire il nostro Paese.
Non si tratta di fare del bigottismo o di avviare una crociata di moralizzazione e, men che meno, una guerra culturale, come la chiamano oggi in America. No. Si tratta di difendere il nostro patrimonio di valori, umani ancora prima di essere cristiani, senza i quali la nostra società non avrà un futuro sostenibile.
E allora non è forse giusto che reagiamo e protestiamo nei confronti di un ente pubblico, come la Rai, che permette e forse anche, senza accorgersene, impone questi spettacoli indiscriminatamente a tutti coloro che, pagando il codice Rai, hanno diritto di essere tutelati nelle loro convinzioni morali e aiutati nella delicata opera di educazione della gioventù?
Io mi scandalizzerei per come vengono trattati i migranti invece di portare dietro l’acqua a cantanti con idee poco originali.
È uno scandalizzarsi datato e incomprensibile ai più. Credere che il festival di Sanremo sia solo un miscuglio di sciocchezze e banalitá secondo me non è giusto. Non che non ce ne siano ma è possibile vedere anche aspetti interessanti. Vincono i giovani e non i vecchi ad esempio invertendo le regole tipiche in Italia in cui i giovani non contano nulla, la Foer ha parlato di diversità in modo intelligente e con un italiano impeccabile, si è parlato di razzismo e di camorra.
Ci meritiamo polemiche di maggior qualità.
Da credente e persona che maneggia la comunicazione consiglierei di soprassedere; non perdiamo tempo ad attenzionare questa “spazzatura”, lasciamo vada dove è destinata ad andare velocemente: nel nulla. Se commentiamo, scriviamo, citiamo, etc.. non facciamo che allungare lo strascico di questa pochezza. Spettacoli nazional popolari come quello in scena a San Remo danno spazio ritualmente a figure particolarmente attenzionate dai media nei mesi/anni precedenti; Lauro ne è esempio. Lui, come altri, andranno nel dimenticatoio assieme agli sketch imbarazzantemente costruiti per scandalizzare cercando originalità, forse rendendosi conto di emulare strade già percorse da altri in tempi ben lontani e con alle spalle orizzonti culturali e concettuali di altro spessore. Penso in pochi si scandalizzino per la “quarta spremitura” rappresentata da questo ragazzo e da questo modo di fare spettacolo. I vecchi hanno memoria degli originali, i giovani sono ormai orientati a non aver meraviglia di nulla; sono pronti a tutto, tranne alla guerra.
L’unico tema, a mio avviso, è intendere se lo strumento divulgativo finanziato dai cittadini sia gestito ed usato con appropriatezza e quale sia l’obiettivo della sua sussitenza. Se l’obiettivo è commerciale, allora tutto giusto come avviene. Conviene così. Se l’obiettivo fosse culturale, invece, ci sarebbe da esser perplessi. Si volesse sdoganare il tema gender, lo si potrebbe fare con argomenti, ricercando la profondità. Invece questo tema delicato, perché suscettibile di mille implicazioni, viene usato in lungo ed in largo per fare audience, quindi soldi. Ritengo incomprensibile come mai proprio le associazioni del mondo LGBTQ+ non focalizzino e non si ribellino a questo utilizzo del tema, che non gioverà per certo a chi combatte battaglie ideologiche, indipendetemente da come la si pensi. Se l’obiettivo è arte ed innovazione artistica, infine, siamo sempre a terra. L’amarezza personale è nel vedere quanti, ancora oggi, seguano show concettualmente vecchi, artificiosi e noiosi, che non lasceranno nulla ad i posteri se non un ennesimo quanto non necesssario contributo alla definizione della contemporaneità più banale e convergente.
Ho firmato una petizione di protesta ma so che è un gesto inutile. Nondimeno resta il valore altamente simbolico del gesto fatto dal cantante. L’uomo che si auto-battezza, l’uomo che si autoassolve è l’immagine plastica della tarda modernità.
Dopo essere morto in filosofia, Dio sta morendo nei cuori e nei costumi della gente, complice la cultura pop fattasi vessillifera delle filosofie sette-novecentesche. E non si tenti di propalarci il sermoncino sui “cristiani anonimi” o sulla Chiesa “lievito nella pasta” (che poi quello era il regno di Dio e non la Chiesa). La virata – sempre più decisa – della tarda modernità da Cristo si tocca con mano nell’indifferenza verso i migranti che muoiono nel Mediterraneo. Si sperimenta in una socialità che – a dispetto del politically correct – è sempre più centrata sull’esibizionismo narcisistico, sull’edonismo e sull’efficientismo (altro che inclusività).
Checché se ne dica, lo “Übermensch” è prometeico ed innamorato della sua immagine riflessa nei touchscreen.
Per questo è ancor più pressante la missione affidataci dal Cristo – ribadita dal papa – di “andare” (uscire, nel lessico papale). Ma andare a fare cosa? “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno” Mt 16, 15.
Non basta “stare nella compagnia degli uomini” anche se è essenziale, non basta “essere testimoni” anche se è ineludibile. Occorre predicare e battezzare! Così i demòni fuggiranno, così impareremo a parlare lingue nuove e comprensibili ai nostri contemporanei, così saremo immuni ai “veleni” ed i malati guariranno.
È tutto molto giusto.
Temo però che sia troppo tardi e che a protestare ed offendersi siamo rimasti in pochi.
Penso anche che molti cattolici, compresi sacerdoti e vescovi, non vedano niente di male nella performance di Achille Lauro.