Il quarto incontro del ciclo di conferenze organizzato dalla Diocesi di Mantova Democrazia è Partecipazione, dal titolo «Informazione e disinformazione. Influenze e relazioni fra politica e comunicazione», si è tenuto lo scorso sabato 25 maggio. Sono intervenuti Duccio Facchini, Carlo Cefaloni e Fabrizio Binacchi. Duccio Facchini è giornalista, scrittore e direttore della rivista mensile Altrəconomia e autore di numerosi libri di inchiesta. Carlo Cefaloni è redattore di Città nuova. Fa parte della Consulta nazionale per i problemi sociali e del lavoro della CEI. Come promotore di scelte strutturali di politica industriale, con riferimento al comparto delle armi, nel 2023 gli è stato assegnato il premio «Colombe d’oro per la pace». Fabrizio Binacchi, direttore di RAI1 dal 1999 al 2001, si è occupato di trasmissioni agricole e alimentari. Dal 2000 tiene corsi di formazione per i giornalisti all’Università di Bologna e dall’ottobre 2023 è caporedattore centrale di RAI Vaticano.
Gli apostoli e la parola di verità
Premessa agli interventi, la lettura dei versetti 26-42 del capitolo 5 degli Atti degli apostoli. Il passo si apre con il comandante delle guardie e gli inservienti che, senza violenza, per timore di essere lapidati dal popolo, conducono Pietro e Giovanni davanti al sinedrio. Qui il sommo sacerdote li interroga intimando loro di non diffondere la notizia che Gesù è il Cristo e − manipolando la verità − di non far ricadere su di loro il sangue dell’uomo crocifisso.
Pietro, libero da ogni paura, elude la minaccia del sommo sacerdote e proclama la risurrezione di Gesù per opera di Dio dopo che, per responsabilità del sinedrio, egli è stato ucciso, appeso a una croce. Di questi fatti Pietro si dichiara testimone, insieme allo Spirito Santo.
Queste parole fanno infuriare gli uomini del potere che li vogliono mettere a morte. Si alza allora nel sinedrio un fariseo di nome Gamaliele, dottore della legge e stimato da tutto il popolo che, dato l’ordine di interrompere per un momento l’esecuzione della condanna, passa in rassegna coloro che, proclamatisi messia prima di Gesù, con la loro morte hanno posto fine ad ogni proselitismo. Si tratta ora di attendere e di lasciar andare Pietro e gli apostoli, perché: «Se questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non [si riuscirà] a distruggerli», e con il tono quasi da anatema, rivolto agli altri capi, avverte «Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio». Si fa allora quanto suggerito da Gamaliele, gli apostoli vengono flagellati e viene imposto loro di non diffondere la parola di Gesù.
Nel passo compaiono più personaggi: gli apostoli, che danno la notizia che Gesù è il messia; il sommo sacerdote che, avendo paura del popolo, li esorta a non insegnare nel nome di Gesù e a non attribuire a lui e agli altri capi la responsabilità del sangue della vittima; il sinedrio, che, per conservare il potere, ostacola l’informazione o la manipola; e Gamaliele che, invece, prende in considerazione tutti i punti di vista.
Egli va in profondità; si preoccupa veramente di conoscere se questi uomini sono di Dio. Fa opera di discernimento e prende tempo per verificare se la notizia è vera. E per fare questo, usa il confronto: altri si sono proclamati messia, ma con la loro scomparsa anche la diffusione del loro messaggio si è arrestata. Ora è necessario darsi il tempo giusto perché la verità si riveli.
L’ultimo personaggio è il lettore onnisciente che, già sapendo che Pietro e Giovanni sono stati liberati dall’angelo del Signore e da lui incoraggiati a proclamare al popolo «parole di vita» (At 5,19-20), conosce la verità.
Informazione condizionata
Facendo riferimento al passo di At, Fabrizio Binacchi, moderatore dell’evento, sottolinea l’importanza della fonte: chi ha detto ciò? Un’agenzia o un corrispondente, testimone oculare?
L’informazione è sotto controllo: se c’è un segreto e se ne dà notizia, questa viene distorta anche attraverso l’immagine, che spesso è funzionale a far apparire come reale una non verità. La TV non è verità, ma – come dice Eco – è l’elegia della finzione. Il TG1 dà venti notizie, del tutto parziali rispetto a quanto accade nel mondo.
La svolta nell’informazione è avvenuta nel 1984: il discrimine è legato all’auditel, alle percentuali di ascolto; questo ha condizionato giornali e settimanali e cambiato radicalmente la storia dell’informazione. Prima del 1984 i giornalisti televisivi dedicavano alla notizia un minuto e mezzo; dopo questa data al centro dell’interesse c’è l’ascolto del programma e il consenso dato alla pubblicità. Dal 1994/95 il tempo dedicato alla notizia non supera una manciata di secondi.
Si è dunque ridotto lo spazio per approfondire e l’ansia si sposta sul gradimento. Alla parola si preferisce l’immagine, che deve essere rasserenante anche attraverso il colore – famoso il blu mare, caldeggiato da Carlo Rossella.
In seguito, a partire dalla legge Mammì che ha sdoganato le TV private, non solo si è registrata una contrazione della fruizione dei giornali (la Repubblica ha una vendita giornaliera di max. 80mila copie e il Corriere della sera non supera le 120mila) ma nei TG sono penetrati i social e i gossip da rivista.
Risultato – conclude Binacchi – è che la libertà del popolo di conoscere e di interpretare, è parziale e condizionata.
Altrəconomia: un esempio di libertà d’informazione
Duccio Facchini dirige dal 2020 Altrəconomia, rivista fondata nel 1999, un momento chiave per i movimenti che contestano il modello di sviluppo in atto e la globalizzazione.
Le proteste che divampano a Seattle nel 1999 e a Genova nel 2001 allarmano il potere che tenta di ostacolare l’informazione, privando i popoli di un diritto umano fondamentale.
Gli anni a cavallo del terzo millennio, floridi dal punto di intellettuale, forniscono l’humus da cui nascono riviste di libera informazione in opposizione al modello informativo oggi imperante. Gli articoli di inchiesta, non allineati con gli interessi dei gruppi economici che hanno come bussola il profitto, risultano per questo indigesti a chi vuole un’informazione asservita e ancorata alla pubblicità.
Gli esiti infausti del modello di sviluppo attuale, dilagante anche grazie a un giornalismo complice, è sotto gli occhi di tutti: migrazioni forzate, accompagnate da una catastrofe umanitaria e una terza guerra mondiale a pezzi.
La rivista, sganciata da editori legati al mondo finanziario e dalla pubblicità, tiene grazie al contributo di lettori che desiderano conoscere che cosa stia dietro al riarmo, leggere di una nuova economia, libera dagli interessi delle multinazionali del fossile e della chimica ed essere informati su diritti goduti o sospesi.
Parlare di questi argomenti con parole di verità esige essere liberi da ogni dipendenza economica e da introiti pubblicitari.
Il mainstream distorce la notizia sulla crisi climatica – questa la denuncia inascoltata di Amnesty international e di Green peace – per cui, in modo tacito e immorale, persevera il consumo del pianeta e l’uso dei fossili, giustificati da teorie pseudo-scientifiche relative alla ciclicità dell’innalzamento delle temperature nel corso dei millenni e rese pubbliche da un’informazione connivente.
Ma come essere profeti di verità oggi? È necessario che il giornalismo sia di inchiesta e che chi fa questo mestiere sia testimone – come si dice in Atti –, anche a costo della vita. Più di cento sono però i giornalisti uccisi finora a Gaza e centoquarantasette, fra giornalisti e media workers, quelli che hanno perso la vita su altri fronti.
A tutela dell’attività giornalistica e della libertà di stampa, è stato creato nel 1981 il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), operativo a livello globale e in UE la Press Freedom che, sulla base del proprio statuto, stila ogni anno l’indice di libertà di informazione degli stati europei.
Recentemente sono stati inseriti nello Statuto articoli che prevedono la moratoria sull’introduzione di Spyware nel lavoro del giornalista e che vietano l’utilizzo di Pegasus per il controllo del giornalismo di inchiesta.
Tuttavia, negli ultimi anni, a ostacolare la libertà d’informazione non è solo la censura, ma l’utilizzo pervasivo dell’Intelligenza Artificiale che, sostituendo il lavoro testimoniale del professionista, toglie alla notizia il carattere di verità.
Città nuova: come opporsi al traffico d’armi
Carlo Cefaloni apre il suo intervento con le parole del Santo Padre «È necessario dare spazio ad un’economia che non uccide, un’economia di pace».
Per questo l’informazione non deve trascurare di dare voce al terzo settore che, silente ma operoso, cresce e si diffonde in maniera capillare in tutta la penisola e che costituisce il vero welfare.
Tuttavia sulla stampa mainstream è notiziabile, per garantire la sicurezza, la necessità dell’aumento della spesa militare; e così l’UE – questa è la parte di verità che meno si conosce – ha approvato, dallo scoppio della guerra in Ucraina, investimenti in armamenti superiori alla Russia.
Occorre resistere alla cultura egemone della guerra e decostruire un’informazione manipolata che presenta la guerra come necessaria, come trapela dagli articoli di molti opinionisti sulle testate dei giornali più letti.
Città nuova, nella sua storia, a partire dalla sua fondazione nel 1956, vanta il nome di uomini di pace. Fra questi Gino Giordani che, fedele al comandamento di «non uccidere», fu autore nel 1949 del disegno di legge per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e il cattolico Giuseppe Donati che, con la sua inchiesta indipendente, scoprì le responsabilità dei vertici fascisti nel delitto Matteotti, verità dapprima manipolata e alla fine messa a tacere.
Solo avvalendosi del sostegno degli abbonati e facendo impresa dal basso – continua Cefaloni – si può mantenere un flusso di informazioni di verità. Occorre «sbarrare il passo» ai gruppi di potere economico, per evitare – come accade a Repubblica e a La Stampa, attualmente di proprietà del gruppo finanziario Stellantis –una stampa annacquata e asservita.
Così è possibile denunciare i poteri forti che a Rebibbia, ad esempio, desertificano per cementificare e parlare della città pubblica, che attraverso i suoi comitati tenta di opporsi allo scempio.
Due sono i criteri fondamentali per fare un giornalismo di verità: non distogliere lo sguardo e leggere la realtà, lasciandosi ferire da essa. Un’informazione, che abbia a cuore la costruzione della democrazia e voglia incidere sulle scelte strutturali, deve saper vedere, capire e agire.
Se questi sono i principi-guida, come passare sotto silenzio il fatto che i Governi, avvicendatisi in Italia, hanno via via dismesso le grandi imprese di innovazione per sostenere le industrie di armi, in ottemperanza ai dictat della Nato?
Pochi, infatti, sanno che nel 2019 si è riusciti a fermare il flusso di armi verso il Medio Oriente anche grazie alla protesta dei portuali, che si sono rifiutati di distribuirle secondo le consuete destinazioni di Arabia Saudita, Kuwait e Egitto. Altrettanto poco noto è che Torino è la capitale degli armamenti targati Leonardo.
Molte voci di profeti di pace si sono alzate nel corso dei decenni, da quella di don P. Mazzolari a quella di T. Merton, che nel suo libro La pace nell’era postcristiana invocava la resistenza alla guerra in Vietnam.
L’eresia del nostro tempo è l’idolatria della bomba atomica, il nuovo dio a cui è necessario affidarsi in nome della garanzia della sicurezza. Nella sua ultima enciclica Pacem in terris, Giovanni XXIII – profeticamente − esortava i popoli a guardare ad un mondo senza confini e senza «blocchi» e invitava tutte le nazioni e le comunità politiche a cercare «il dialogo e il negoziato».
Tutto il mondo dell’informazione sembra però asservito ai poteri forti, per cui ciò che è da conoscere è tabù: lo è raccontare che i CPR sono dei veri e propri campi di concentramento in casa nostra e da quali paesi partono le armi e a quali sono destinate.
Il governo, attraverso i ministri competenti, rassicura che, dopo il 7 ottobre, l’Italia ha sospeso l’invio di armi a Israele. L’ affermazione non è vera, come è stato verificato attraverso l’UAMA, il Centro di informazioni del Ministero della difesa: non esiste, infatti, nessun decreto di sospensione relativo all’esportazione delle armi.
Per neutralizzare, ahimè, l’incantesimo della parola del Governo, è necessario applicare la cultura del sospetto e avvalersi dell’accesso civico generalizzato (Freedom of information act, FOIA), la normativa che garantisce a chiunque il diritto di accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni.
Un’informazione sotto scacco non rivela che, dall’abolizione della legge 185 del 1990 che vietava «la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la ricerca preordinata alla loro produzione o la cessione della relativa tecnologia», l’ISTAT registra un’esportazione di armi dall’Italia a Israele – tra dicembre 2023 e gennaio 2024 − di 2,7 miliardi di euro, in termini di bombe, granate, missili, elicotteri da combattimento, artiglieria navale, fucili, munizioni, siluri, razzi.
Alla camera, i responsabili della Farnesina e del Ministero della Difesa, in risposta alle interpellanze dei gruppi dell’opposizione che chiedevano conto dell’invio di armi in Medio Oriente e a Israele, hanno invocato la necessità del silenzio al fine di proteggere le relazioni diplomatiche, con la garanzia che il materiale inviato non era offensivo per la popolazione civile.
È però necessario trasformare la denuncia in lavoro e l’essere sentinelle del mattino dall’utopia alla realtà; solo così una «citta nuova» sarà in atto.
Dare la risposta a ciò che si cela dietro il fatto, questo è il compito di una cittadinanza vigile e operosa, che di fronte a problemi insidiosi per la collettività – gli inquinanti eterni, ad esempio -non rinuncia a scoprire quale tipo di sviluppo li ha prodotti e, attraverso la denuncia e la protesta, cerca di cambiare dal basso la normativa.
Grande è in Italia il fermento per pace: duecentocinquanta sono le associazioni e i movimenti attivi − fra cui, dal 2021, l’associazione Assisi e la pace giusta − con l’obiettivo di evitare il casus belli in Palestina.
«La militaritarizzazione agisce sulla nostra spiritualità», dice profeticamente Eisenhower a proposito della cultura della guerra. E dice anche che «non esiste una vita sensata» quando «ogni ordigno prodotto, ogni nave da guerra varata, ogni missile lanciato [costituisce] un furto ai danni di coloro che sono affamati e non sono nutriti, di coloro che sono nudi ed hanno freddo», perché «questo mondo in armi non sta solo spendendo denaro; sta spendendo il sudore dei suoi operai, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi giovani».
Il racconto della guerra oggi, invece, insiste sulla necessità che essa sia mantenuta. Per la UE non esistono politiche alternative alla NATO; pertanto, per difendere lo status quo, occorre promuovere il riarmo. Quale UE allora immaginare, in prossimità delle elezioni, in un orizzonte di guerra?
Al cuore della partecipazione: verso Trieste 2024
È a Trieste che quest’anno si daranno appuntamento i cattolici attivi in Italia nel terzo settore. Dal 3 al 7 Luglio si svolgerà, nel capoluogo friulano, la 50esima Settimana Sociale, evento istituito nel 1907, sotto la guida e per ispirazione dell’economista Giuseppe Toniolo, al fine di mettere a confronto le molteplici attività del mondo cattolico in ambito sociale.
A don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per i Problemi Sociali e il Lavoro, il compito di concludere la mattinata mantovana, illustrando l’evento. Filippo Pizzolato, dell’Università di Padova, sarà uno dei relatori a Trieste; il suo intervento riguarderà il tema: «Partecipazione, cittadinanza e istituzioni: per una democrazia trasformativa». Fra le questioni affrontate ci sarà anche la risposta alla domanda: se la partecipazione è una fioritura dell’umano, come la chiesa può farsi oggi «fioritura dell’umano»? La vera sfida dell’impegno è la capacità di immaginare «politiche dell’amicizia» e questo è possibile se lo stile partecipativo metterà al centro la persona e la comunità cristiana.
In sintonia con questo è la riflessione sulla fede, contenuta al n. 183 dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco «Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra».
Don Bignami, riguardo al ruolo della partecipazione nella costruzione e conservazione della democrazia, cita anche il pensiero di J. Derrida: «La democrazia resta a venire, è lì la sua essenza fintanto che resta». Di qui il rifiuto della perfezione nella vita perché «nell’imperfezione della democrazia c’è una memoria resistente e ostinata dell’umano, che chiama in causa una corresponsabilità».
Nessuno, dunque, è incompetente circa l’umano e la speranza di una continua e costante costruzione di umanità si conserva se «la democrazia non arretra» e se si riuscirà a «trasformare il parteggiare in partecipazione» (Papa Francesco, Discorso ad Atene nel 2021).