Autonomia differenziata? «L’Italia è un mosaico di territori dalle potenzialità straordinarie. Ogni territorio può contare su energie e risorse che meritano di essere conosciute, valorizzate e messe in rete».
Sono alcune battute del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenuta da remoto all’incontro “L’Italia delle regioni” svoltosi il 5 dicembre 2022. Nell’occasione, Meloni integrava e specificava le dichiarazioni programmatiche dell’ottobre precedente: «Intendiamo dare seguito al processo virtuoso di autonomia differenziata già avviato da diverse regioni italiane secondo il dettato costituzionale e in attuazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà, in un quadro di coesione nazionale».
Le storture lamentate da Meloni
Al Meeting Meloni parlò anche di storture: «Mi riferisco, in particolare, alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 che, su molte materie, invece di semplificare e rendere chiare responsabilità e funzioni, ha aumentato la conflittualità… continua tra poteri dello Stato e i ricorsi continui davanti alla Corte costituzionale…».
Detto, fatto. Il governo ha approvato il 2 febbraio 2023 il disegno di legge sulla riforma dell’autonomia differenziata. Benché essa sia espressamente prevista dagli articoli 116 e 117 della nostra Carta Costituzionale, va provocando forti tensioni da parte di chi teme l’acuirsi di una forbice socio-economica tra regioni del sud e regioni del nord.
Che fare? Com’è noto, per l’approvazione definitiva di un tale disegno di legge, sarà richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ogni Camera. Intanto la società civile fa bene a discutere, prefigurando opportunità e rischi.
Se, nell’articolo 116 della Costituzione, comma 3, è già scritto che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite» anche alle Regioni non autonome, bisognerà eliminare le persistenti divergenze tra materie di competenza esclusiva dello Stato e materie cosiddette di legislazione concorrente. E per far questo non è sufficiente contare i voti a disposizione nelle Camere.
Il disegno dell’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale fu il frutto della convergenza di almeno quattro culture: quella ebraica, quella cristiana, quella socialista e quella liberale, articolate in numerosi partiti (democristiani, socialisti e comunisti, oltre a liberali e azionisti) che operarono in un clima di ricerca dell’intesa.
Non si tratta di sovvertire a suon di voti alcuni princìpi supremi che non possono essere modificati nel loro contenuto essenziale, neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali.
Il dilemma della legislazione concorrente
Si pensi, soltanto per esemplificare, ai temi della salute e dell’ambiente. Il Titolo V della parte 2ª della Costituzione ha già condotto alla legge costituzionale n. 1 del 1999, e alle leggi cost. n. 2 del 2001 e n. 3 del 2001. E tuttavia, ne è emerso un perdurante stato d’incertezza nella cosiddetta legislazione concorrente Stato-Regioni.
Diversi giuristi parlano di una riforma lasciata consapevolmente “senza gambe” e, dunque, incapace di funzionare concretamente nei suoi snodi essenziali.
Che dire della pressoché totale assenza di interventi da parte del legislatore statale per definire i confini delle diverse materie e dettare in termini chiari i princìpi fondamentali cui vincolare la legislazione delle Regioni?
Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti perversi in ambito sanitario, laddove la legislazione concorrente comporta gravi ritardi nella garanzia del diritto alla salute di tutti i cittadini.
E che dire, inoltre, della delicata materia del diritto ambientale, al centro di interessi regionali, nazionali ed europei? Se la “tutela” dell’ambiente e dell’ecosistema entra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, non appartiene forse alla potestà concorrente delle Regioni la valorizzazione dei beni ambientali?
Nuovo appello ai liberi e forti
Il 18 gennaio 1919, la Commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano (con Luigi Sturzo, c’erano Giovanni Bertini, Achille Grandi e altri) lanciava l’Appello ai «liberi e forti»: «Vogliamo… la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali».
Non dovrebbero essere oggi tutte le culture a provvedere a riparare le storture, magari con una Bicamerale o, forse, una Costituente?
Il 12 marzo 1947, in Assemblea Costituente, Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, parlò di Casa comune: «Eccolo l’edificio, che abbiamo costruito; la casa comune, come la chiama La Pira. Vi è un atrio, che è quasi un preambolo con quattro colonne… Poi comincia la Costituzione vera e propria, divisa in due parti, la prima, dei diritti e doveri, è ripartita anch’essa in quattro parti… Si passa poi, ed è la parte più costituzionale della Costituzione, all’ordinamento istituzionale. Ecco i grandi organi dello Stato: il Parlamento, il Capo dello Stato, il Governo, la Magistratura. Vengono in seguito gli organi dell’autonomia locale. E, infine, le garanzie costituzionali».
Insomma, non può non ravvisarsi la necessità d’una approfondita riflessione sui contorni che il federalismo a geometrie variabili pare assumere sulla base delle proposte in discussione. Non s’avverte ancora, in questa storia, il profumo della solidarietà e il senso della casa comune.
E, quando la società li smarrisce, matura lo scandalo di persone che vivono nella miseria estrema accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simbolo di strepitosa ricchezza. Lo ha sottolineato anche papa Francesco, quando ha detto che «globalizzare la solidarietà significa mettere a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto».
Si vada avanti, allora, perché è dell’uomo il progredire. Ma non si perda il contatto con le proprie radici, affondate nell’humus della solidarietà: per dirla col poeta John Donne, «nessun uomo è un’isola; nessuno è interamente di sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terraferma».