Alla fine del 2019 gli italiani iscritti all’AIRE, Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, risultavano 5,3 milioni, ossia l’8,8 % della popolazione italiana. Tale cifra non tiene tuttavia conto dei molti nuovi migranti che non si stabilizzano necessariamente in un paese estero o che non ritengono opportuno iscriversi all’AIRE, preferendo mantenere l’iscrizione anagrafica nel proprio comune di residenza in Italia.
Dalla migrazione alla mobilità
Rispetto alle emigrazioni del passato – spesso segnate da una catena migratoria rappresentata da famigliari o compaesani – l’attuale mobilità è segnata soprattutto da una insoddisfatta ricerca di opportunità lavorative e di una migliore spendibilità dei titoli di studio posseduti. A partire sono i giovani e, in diversi casi, le famiglie con minori al seguito.
Non pochi sono i giovani che hanno precedentemente fruito delle opportunità dei programmi Erasmus e che hanno trovato più vantaggioso progettare il proprio futuro nel paese di destinazione piuttosto che nel paese di appartenenza. La libera mobilità all’interno dell’Unione Europea fa evidentemente la differenza rispetto al passato.
Nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso si è dichiarata chiusa la fase migratoria degli italiani in partenza per l’estero e ogni regione si è dotata di leggi regionali mirate a promuovere il rientro dei propri espatriati. Negli anni Ottanta si è iniziato a parlare di flussi migratori verso l’Italia provenienti in buona parte dagli stati del Maghreb e dall’Africa Occidentale. Alcune migliaia di cittadini immigrati, regolarizzati tra il 1986 e il 1990 dalla prima legge adottata in materia di immigrazione, hanno spinto le autorità regionali e cittadine a strutturare servizi di accoglienza e di orientamento dedicati ai nuovi arrivati.
Il pensiero, da allora, si è polarizzato sempre più su questa novità, tralasciando il dovuto interesse ai milioni di emigrati italiani residenti all’estero. Il fatto che, per alcuni anni, il flusso di italiani in uscita sia risultato inferiore ai rimpatriati, ha fatto pensare che l’epopea migratoria si fosse esaurita. Tuttavia, seppure con numeri contenuti, i flussi in uscita non si sono mai esauriti, sinché, dagli anni ’90, sono ripresi in misura significativa. L’evento da ricordare al riguardo è l’entrata in vigore, nel ’96, degli accordi di Schengen, dispositivi che hanno semplificato la libera circolazione nell’Europa comunitaria.
La ripresa consistente dei nuovi flussi migratori in uscita ha dunque segnato i primi 20 anni del nuovo millennio. Gli iscritti italiani all’AIRE sono così passati da 3.106.251 nel 2006 a 4.636.647 nel 2015 e a 5.3 milioni all’inizio del 2020.
Evoluzioni
L’emigrazione italiana conosce una continua evoluzione delle dinamiche economico-imprenditoriali. Dagli anni ’80-’90 è cresciuto il volume degli affari di import-export dei prodotti italiani, insieme al flusso dei turisti da e verso i luoghi di origine. La presenza italiana all’estero è costantemente cresciuta, sia in visibilità internazionale che in allestimento di strumenti di autopromozione e di rappresentanza.
Con l’acquisizione del diritto di voto amministrativo in Europa, diversi connazionali sono entrati a far parte di consigli comunali di città dell’Unione Europea. Nel mentre sono nate strutture associative di rappresentanza quali i CO.EM.IT., Comitati Emigrati Italiani, divenuti poi COM.IT.ES., Comitati Italiani all’Estero.
L’iniziale migrazione di contadini italiani all’estero, destinati alla generica manovalanza, ha ceduto il passo alla capacità italiana di realizzare piccole e medie imprese che col tempo hanno saputo scambiare risorse economiche e know-how tra luoghi di origine e di emigrazione. Il caso più rappresentativo è quello del Triveneto che da terra di endemica emigrazione è divenuta tra le regioni più ricche e industrializzate del nostro paese. La stessa evoluzione sta interessando gli stessi immigrati in Italia che, da dipendenti, diventano sempre più imprenditori capaci di scambiare conoscenze e assetti economici innovativi coi luoghi di origine.
La comunità italiana all’estero è oggi in continua trasformazione, mossa dalla naturale esigenza di trovare una casa in cui radicarsi e crescere e, insieme, dalla irrequietezza costitutiva della ricerca contemporanea di una dimensione cosmopolita. Molti emigrati italiani hanno imparato ad anestetizzare la nostalgia, trovando ormai troppo difficile la strada del ritorno.
Emigrazioni e immigrazioni
Il nostro paese si trova oggi ad avere tanti concittadini emigrati quanti sono gli immigrati da paesi esteri, ossia, appunto, circa 5,3 milioni. Tale equivalenza può far nascere l’idea che il nostro paese funzioni come una sorta di vaso comunicante: chi se ne va, lascia il posto a chi arriva. Ma questo è vero solo in apparenza.
Negli ultimi 13 anni, sino all’ottobre 2019, sono emigrati oltre 2 milioni di italiani. Le mete preferite sono in Europa, soprattutto in Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia. La Brexit renderà da quest’anno più complicato emigrare nel Regno Unito e perciò, con ogni probabilità, si intensificherà la tensione verso gli altri paesi dell’Unione Europea. La pandemia sta tuttavia ponendo maggiori difficoltà, sia alle migrazioni intra che extra europee.
Il dato oggettivamente preoccupante è la scarsa disponibilità al rientro. Nonostante le difficoltà, sono sempre più quelli che partono rispetto a coloro che scelgono il percorso di ritorno. Nel Report ISTAT pubblicato nel dicembre 2019, su dati dell’intero anno 2018, si rileva che le cancellazioni anagrafiche a vantaggio dell’estero sono ammontate a 157 mila unità, (+1,2% sul 2017) e di queste quasi 3 su 4 hanno riguardato emigrati italiani (117.000, +1,9%), mentre la rimanente parte, 40.000, è stata costituita da stranieri già residenti in Italia.
Nel mentre le iscrizioni anagrafiche in Italia dall’estero per effetto di nuova immigrazione sono state pari a circa 332 mila: per la prima volta in calo rispetto all’anno precedente (-3,2%), dopo i costanti incrementi conosciuti tra il 2014 e il 2017. A livello nazionale, il tasso di immigratorietà era, sempre secondo il Report ISTAT, di 4,7 immigrati stranieri ogni 1000 abitanti, (286 mila, -5,2%).
Dal 2015 i saldi migratori negativi – ossia più espatri che rientri – registrati dall’Italia si sono aggirati su circa 70.000 ogni anno. La regione da cui più si emigra è la Lombardia, 22 mila, stando agli ultimi dati, seguita dal Veneto e dalla Sicilia. Il tasso di emigrazione dei cittadini italiani – ossia l’indice di chi è intenzionato ad espatriare – è pari al 2,1 per 1000 abitanti. Ciò sta ad indicare che il popolo italiano è ancora un popolo di migranti potenziali anche se, per la politica nazionale, il tema non pare essere di rilevante attualità.
Sicuramente il fenomeno emergente è quello della partenza dei (pochi) laureati e diplomati italiani e stranieri (già in Italia). Stando ai dati ISTAT del 2018, più della metà dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero (il 53%), risultava in possesso di un titolo di studio medio-alto, ossia circa 33 mila diplomati e 29 mila laureati, con una crescita in uscita del 45% rispetto agli anni precedenti.
Si tratta di una vera e propria emorragia di competenze e di saperi, in un paese già in cronico deficit di investimenti in ricerca ed in innovazione tecnologica avanzata. Le deboli politiche sinora attuate per cercare di attrarre le eccellenze italiane sparse per il mondo hanno dato miseri risultati. Molti italiani all’estero non si fidano delle promesse dei politici e restano semmai in attesa di cambiamenti strutturali nel nostro paese.
Senza prospettive di futuro
Quando si parla di emigrazione italiana contemporanea occorre tener ben presente che stiamo trattando di un fenomeno del tutto recente e in rapida evoluzione. Tra le schiere dei partenti dobbiamo considerare molti giovani figli dell’immigrazione straniera in Italia. Il quindicesimo Rapporto Italiani nel Mondo 2020, pubblicato dalla Fondazione Migrantes, rileva che tra i migranti vi sono sempre più nuovi italiani. Si calcola che tra il 2012 e il 2017 degli oltre 744.000 stranieri divenuti italiani, 43 .000 si siano trasferiti all’estero.
Non ci deve sorprendere il fatto che il tanto desiderato passaporto italiano possa servire anche per poter spiccare il volo verso altre mete, inesorabilmente precluse dal passaporto di origine. La globalizzazione del sapere e la distribuzione famigliare a livello mondiale consentono a questi giovani di non fermarsi e di rimettersi continuamente in gioco. La storia insegna che i figli dei migranti mostrano maggior propensione alla mobilità internazionale.
L’Italia non sta evidentemente offrendo una gran prospettiva di futuro alle nuove generazioni, di qualsiasi origine. I nuovi italiani – stante le notevoli difficoltà incontrate dai genitori – percepiscono come un riscatto la possibilità di emigrare in altri paesi dell’Unione, di cui spesso conoscono già la lingua e in cui già risiedono parenti ed amici. Gli anglofoni, dal sub continente indiano e dall’Africa, scelgono preferibilmente la Gran Bretagna, mentre i francofoni preferiscono la Francia o il Belgio. Sono generazioni preziose che se ne vanno dall’Italia lasciando il nostro paese sulla via di un inesorabile invecchiamento.
L’emigrazione italiana e l’immigrazione straniera rappresentano purtroppo due facce della stessa medaglia.