Guardate questo video (meglio con le cuffie e uno schermo decente):
Non prendiamolo troppo sul serio. Oppure sì. Non solo perché indovina il contesto e il protagonista, la quarantaduenne Juliana Restrepo da Medellín, Colombia, l’everywoman di un globo che parla uno spagnolo sovrascritto in inglese; non solo perché è ben fatto, con quella luce pieno giorno che fa perdere ogni aura romantica al décor da “Blade Runner” e con quel percorso da gioco di ruolo molto sofisticato, cura del dettaglio e rigore testuale; ma per quel finale beffardo che in qualche modo ci stuzzica. «Una nuova visione del futuro provocatoria e caleidoscopica, dove realtà fisiche e virtuali sono mescolate, e la città è satura di media», il “critical designer” Keiichi Matsuda così lancia il suo progetto (che si è fatto notare, è già a quota un milione duecentomila).
Colpisce, questo video, perché nello sforzo di immaginare un domani assai prossimo ci svela un presente non troppo immaginario in cui è tutta una questione di punteggio, di numeri che salgono e scendono, jingle e pop-up che dettano il ritmo a una giornata in cui ad ogni istante vieni bombardato di suoni e immagini, o meglio sei tu che indossi un apparecchio invisibile che spara in continuazione suggerimenti perentori e vistosi, che apre in continuazione finestrelle colorate in cui sberluccicano i brand per cui hai firmato – ok, te ne sei già dimenticato – ampie cessioni di sovranità sul tuo corpo, sulla tua mente, che gonfia la realtà fino a farla esplodere nei mille frammenti di un discorso la cui logica appartiene ad altri.
E così entriamo nell’ipnotica soggettiva di una donna che fa domande esistenziali a Google mentre viaggia su un autobus di linea, variopinto e chiassoso non per i suoi viaggiatori ma per la cartellonistica digitale che lo anima, non esclusa la sezione di educazione civica. Gli specchietti per l’allodola sono tanti e incalzanti, non mollano la tipa nemmeno quando scende per strada: ogni persona è un target, ogni elemento della mappa urbana è una tag pronta all’uso, ogni passo una traccia per chi propone un affare, mentre l’atmosfera è satura di rumori di strada mescolati a una musichetta lagnosa da pachinko. Subito dopo la nostra Juliana finisce in un supermercato dove, di reparto in reparto, viene accudita come un cagnolino da un cagnolino fatto di pixel.
(Per un istante un bimbo piange, per un momento sparisce ogni stimolo aggiunto, per un istante il reale è nudo e livido come uno scaffale illuminato dal neon. Per un istante).
Intanto gli ologrammi del servizio clienti provvedono a tranquillizzarla dalle sue ansie da score («I miei punti sono al sicuro?»), a patto che lei si faccia controllare le “informazioni biometriche”.
Ma è il finale, come dicevo, che chiama in causa noi che in qualche modo facciamo parte della Ditta. Uscita dal supermercato, Juliana si imbatte in una passante biometricamente incerta che all’improvviso la ferisce a una mano facendola sanguinare per poi dileguarsi. Spaventata e dolorante, sempre preoccupata per i suoi “punti”, Juliana si guarda intorno e in quel momento le appare, trasfigurata da una sexy réclame di chirurgia plastica, un’immagine sacra, una Madonna col Bambino alla quale si avvicina ansimando mentre si domanda «che faccio? che faccio?». Join Catholicism è la scritta che compare. Join, Juliana accetta.
L’opzione finale resetta il gioco, si comincia da zero. Ma in realtà (ops) non è un nuovo inizio, è una ripartenza. Anche il passo paolino, 2 Corinzi 5,17, è solo uno slogan benché il più accattivante. La ferita del reale, il sangue che cola, viene subito suturata: basta fare una croce sul punto giusto e via, si ricomincia da capo. Ad accumulare punti fedeltà, a interrogare aruspici digitali, a digitare firme che ipotecano quel che resta di sé. Attenti al loop…
Dunque è tutta dentro la sfera, la bolla per dirla con Sloterdijk, questa religione: il suo compito è la manutenzione del reale, anzi dell’iperreale. Un medium come tanti, una raccolta punti tra le altre. Ma se così fosse, se questo è il destino del cattolicesimo nell’iper-realtà, bisognerebbe comunque restarci dentro o non sarebbe meglio scomparire prima?