I media odierni esercitano il giogo del loro potere in maniera sorniona e accattivante: ci seducono facendoci credere di essere il puro specchio di noi stessi, nello stesso momento in cui producono ogni giorno dal nulla un’immagine che solo ingenuamente possiamo chiamare nostra. Nella loro versatilità digitale ci seguono ovunque, sono pervasivi fino alla dissoluzione di ogni intimità. Accompagnano ogni nostro passo, così incerto da doversi aggrappare in ogni istante al loro oracolo (costruito su misura per noi da algoritmi e strategie che sono tutto tranne che inerti). E noi, il loro popolo, in un atteggiamento di adorazione perpetua, viviamo letteralmente aggrappati allo schermo che sancisce la definitiva scomparsa dei sensi – vista a parte. Anche se in realtà del loro sistema non vediamo proprio nulla.
Certo sono frequentati da (quasi) tutti, ma non sono abitati da nessuno; non generano il tempo del pensiero, ma la rapacità della cattura fascinosa riprodotta in serie per tutta la nostra vita. Producono non solo la forza dell’essere, ma si sono appropriati anche della delicata percezione dell’esistere: appaio dunque sono, circolo in rete quindi esisto.
In questo modo i media sono diventati la quintessenza del potere svincolato da ogni forma di controllo e verifica; infatti, sono sostanzialmente divenuti l’ambiente etereo e onnipresente dove stanno gli umani dalla mattina a notte inoltrata. Stimolano la nostra primordialità quasi selvaggia, ospitandola nella sua insaziabile espansione.
L’arte del comportamento appare essere cosa del tutto inutile davanti alla possibilità di mettere in piazza i rigurgiti delle nostre emozioni di pancia. Facendoci sentire padroni, quando in realtà non siamo altro che pedoni sacrificabili sull’altare di una visibilità tanto effimera quanto transeunte. Pensarli come la chiave di volta per farsi prossimi alla massa indistinta degli users è semplicemente una chimera, o un sogno in cui ci piace cullarci.
Seguendoli con un’obbedienza quasi devota, la politica ha già rinunciato a se stessa e abdicato alla propria funzione di tecnica del potere. Quello che ne è rimasto è una politica totalmente naturalizzata, in una condizione di dipendenza continua dagli umori del momento. L’estenuante violenza del linguaggio politico sui media è non solo lo specchio della tribù a cui si rivolgono, ma anche la sua totale resa alle potenze recondite che tessono l’ordito delle macchine mediatiche.
Ma in questa illusione non sembra essere caduta solo la politica. Il suo potere di fascinazione ha catturato anche larga parte del personale ecclesiastico, che si è lasciato sedurre dall’incanto dell’apparire come nuova religione della presenza ovunque. Esonerato così dal dovere di fare i conti con le situazioni effettive della loro Chiesa e della gente. Il rischio è estremo, perché la velocità con cui si assurge all’impero della visibilità mediatica è la medesima di quella dell’improvvisa scomparsa dalla scena. È così che muore oggi un personaggio, e poco importa quale sia l’istituzione a cui è affiliato. Illudendosi di essere l’autore del proprio profilo quando in realtà non si è altro che il prodotto ad hoc sfornato per la soddisfazione di bisogni indotti e di un consumo vorace.
Ma la potenza fascinosa di poter apparire legione, quando in realtà siamo al massimo uno sparuto gruppetto (se va bene), si impone nella sua seduzione rendendo ridicola ogni impresa di prendersi effettivamente cura delle storie di vita – che, da ultimo, non incontriamo mai nelle loro pieghe più profonde (quelle per cui non bastano certo 120 caratteri).
Alla seduzione della presenza totale Gesù rispose accettando tutti i vincoli e le limitazioni di una presenza reale, sospesa alla contingenze del concreto che sono la sana difesa davanti al fascino ammaliante e sovrano dell’apparire.
Gesù non ha scritto perché amava in situazioni specifiche. Non viveva un amore astratto. Il cuore esiste e vive nella Trinità, coglie le vive sfumature, gli opposti, mentre la ragione astratta viviseziona, unilateralizza, schematizza. Il cuore nella luce serena è sulla via di un più semplice ed equilibrato discernimento.
Allora i vangeli non servono? La vita di Cristo è stata tramandata prima di tutto dal vivo. La stesura dei vangeli è stata rivolta a persone concrete. Anche per questo sono per esempio necessarie le omelie: per tradurre al vivo il senso di quelle parole in altre situazioni. Per questo la parola scritta può non di rado toccare il cuore meno facilmente di quella dialogata. E per questo la Parola di Gesù va ascoltata prima di tutto in comunità, perché è di sua natura comunicazione trinitaria. Leggere la Parola sempre ed esclusivamente da soli può risultare addirittura pericoloso.