In questi momenti difficili per le paure e le restrizioni dovute alla pandemia, si fa appello alla fratellanza, alla solidarietà e alla responsabilità, per impedire che il virus infetti più persone, causando la morte di persone fragili, soprattutto anziane.
Nel silenzio dei restringimenti obbligatori, la riflessione si sposta sulle radici dell’impegno personale e sociale per la salute pubblica da parte dei cristiani.
I due anni di pandemia hanno evidenziato sacrifici, solidarietà e anche il dono della vita di molti. Il pensiero va a quanti, medici, infermieri, sacerdoti, religiosi/e, operatori del sociale non si sono tirati indietro per assistere e curare.
È da notare che poco accento è stato posto per la condotta cristiana di fronte all’epidemia, salvo la raccomandazione di rispettare quanto disposto dalle autorità di governo e la generica condanna di «egoismo, indifferenza e irresponsabilità» per i malati e i deceduti (cf. Consiglio episcopale permanente CEI, 44° Messaggio giornata per la vita).
Mi sono chiesto se la fede cristiana poteva suggerire qualcosa di più dell’impostazione dei diritti dal versante laico e solo l’appello generico contro l’egoismo da quello cattolico.
A partire da tre libri
Tre recenti libri mi hanno aiutato.
Il primo (A. Thomasset, Un’etica teologica delle virtù sociali, Queriniana) offre la documentazione biblica della dottrina sociale della Chiesa e della prassi per le virtù della giustizia, solidarietà, compassione, ospitalità, speranza. Uno studio attento e metodico delle caratteristiche delle virtù nella dottrina cristiana.
Il secondo libro, che sembra non aver nessuna relazione con il tema (Brian E. Daley, Un Dio visibile, Ripensare la Cristologia patristica, Queriniana), esamina il pensiero dei Padri della Chiesa sull’umanità di Cristo, con particolare attenzione alla formula del Concilio di Calcedonia, per dimostrare come l’umanità di Cristo sia stata autentica, pur essendo Dio e uomo, vissuto in un contesto storico autentico.
La definizione del credo niceno-costantinopolitano è stata il risultato di una riflessione, durata secoli, per definire la figura di Cristo. La conclusione è che il cristiano partecipa della sua vita totalmente, compresa la morte e la risurrezione. Le sue parole e la sua azione taumaturgica sono compiute dalla sua persona. L’incarnazione del Verbo indica la strada di connessione tra il divino e l’umano. Ciò vale anche per i discepoli che, da creature umane, debbono essere in grado di unire la fede con la loro vita concreta.
Secondo il terzo Libro (G. Vanoni – B. Meininger, Il regno di Dio, EDB), non appare chiaramente dai testi biblici il suo significato specifico: oscilla tra il futuro dei “cieli nuovi e nuova terra”, con riferimento ai testi del Deutero Isaia e la venuta di Gesù, riconosciuto come Signore già dalle sue parole e dalla sua opera. C’è tensione tra la realtà terrestre e quella celeste.
La scissione tra fede e comportamenti
Il Concilio, nella Lumen gentium, identifica il regno di Dio con la Chiesa (n. 3), affidando ad essa, oltre ai compiti cultuali (n. 34), anche quelli della proclamazione della Parola (n. 35) e del servizio e dell’azione che portino «alla giustizia, all’amore e alla pace» (n. 36).
La connessione delle tre letture indica che le virtù, quali sono recepite comunemente, non sono solo doveri morali, intesi come impegni con i quali si convive osservandoli, a volte disavvenendoli oppure dimenticandoli, ma costituiscono l’essere cristiani.
Non è possibile sentirsi cristiani (magari peccatori), anche se è violata la sostanza del cristianesimo. Si determina così una scissione tra fede e comportamenti.
Tale scissione si riscontra nella liturgia, nella ricezione dei sacramenti, nei comportamenti sociali.
La liturgia ha assunto il primato della partecipazione: il dovere alla celebrazione domenicale porta quiete e osservanza. [Ho celebrato 23 (ventitre) sante messe tra la Vigilia di Natale e l’Epifania, molto partecipate e attente, compresi quattro funerali].
I cristiani lasciano fuori dal portone convinzioni e prese di posizione!
I sacramenti rischiano di diventare superstizione: il battesimo chiesto da genitori (e sempre più compagni/e) è protezione contro ipotetici malefici invece che impegno all’educazione cristiana del figlio/a.
La celebrazione del matrimonio ha variabili molto domestiche: la casa, il lavoro, quale Chiesa, quale prete, quale ristorante, quanti invitati.
La partecipazione ai funerali è obbligatoria per l’amicizia ai parenti del morto/a.
Della cresima nessuno capisce nulla: né adolescenti, né genitori. È un aiuto all’età di transizione dalla fanciullezza.
Ordinazioni sacerdotali, voti solenni di religiosi/e sono sconosciuti perché millesimali.
La confessione è abolita.
I comportamenti morali
I comportamenti morali, anche gravemente illeciti, sono di competenza dei giudici civili. Il problema è rilevante se i fatti citati sono “penalmente imputabili”.
Probabilmente la differenza tra religione e fede sta allargandosi, con un’appartenenza alla religiosità sempre più precaria, lasciando in ombra la fede.
L’individuo moderno cerca la sua identità nello scenario ampio di varie risposte esistenziali. Non è più guidato dalle tradizioni in cui la definizione di condotta era orientata dal sentire comune (società, religione, politica), ma cerca la propria identità, per diventare “se stesso”.
La domanda interpella anche il grande tema della “grazia”. La grazia è definita dal Catechismo come «un dono abituale, una disposizione stabile e soprannaturale che perfeziona l’anima stessa per renderla capace di vivere con Dio, di agire per amor suo». Come arriva? Che cosa suggerisce? Come si percepisce? Come si risponde? Sono domande che ogni cristiano si pone.
La strada possibile è il ritorno alla visione evangelica suggerita dai testi sacri. Più che una serie di indicazioni morali, il cuore dell’impostazione diventa “il pensare e l’agire di Dio”, che significa il cambio di prospettiva per come si vedono le cose: tutte e non solo i doveri.
La ricerca
Il primo passaggio è la ricerca. Tra le varie opzioni è possibile esaminare la “proposta cristiana”, senza confonderla con la storia della Chiesa. Quest’ultima intessuta da santi e peccatori, da verità e da eresie. In continuo movimento, senza la cristallizzazione di verità immobili, ma percorsa da dubbi, da tentativi, da intuizioni e, perché no, da fantasie.
Tale ricerca ha bisogno di tempi e luoghi. È necessario creare le condizioni per esaminare le ipotesi: i silenzi, la preghiera, i contesti. La tradizione cristiana ha indicato luoghi e tempi: nulla impedisce di trovarne altri, adeguati alla propria sensibilità.
La Scrittura sacra è la fonte primaria: è una narrazione che oltrepassa il tempo e lo spazio. A volte è sufficiente una parola, un concetto, una circostanza per riflettere. È a volte contraddittoria, antica e non più sostenibile, misteriosa, addirittura violenta. Rimane una scrittura umana; non bisogna meravigliarsene. È utile, almeno all’inizio, farsi aiutare da qualche guida, almeno per capire l’autore, le circostanze, la data di composizione. Leggendo e rileggendo ha sempre qualcosa da dire: in alcuni passaggi sembra scritta ieri.
Il silenzio è la riflessione dell’anima: lontani o almeno distaccati dalla quotidianità è utile pensare, collegare, fantasticare; a piede libero, sulle grandi questioni della vita.
Il magistero, lungo i secoli, ha espresso sensibilità diverse. In epoche remote, secondo i problemi del tempo; in tempi recenti, secondo le personalità dei singoli pontefici e delle Conferenze episcopali regionali. Esistono molte Chiese, attente ciascuna alla propria storia e alle proprie eredità.
La preghiera non necessariamente è inglobata in formule e modi che hanno attraversato la storia. Il modo “nuovo” di pregare è avere la capacità di vedere le cose (ambienti, natura, circostanze, incontri) come doni dati, scoprendo dettagli che la lettura superficiale non permette.
La conoscenza
Il secondo passaggio è la conoscenza. Di chi ha parlato di Dio: primo fra tutti Gesù Cristo. La sua figura è piena di misteri, ma il suo messaggio è chiaro. Offre la prospettiva umana e divina insieme.
Tre testi biblici sono essenziali: le beatitudini, il Magnificat, il capitolo 25 di Matteo sul giudizio. In questi tre testi si evidenzia chiara la connessione tra la signoria di Dio e la risposta umana. Le indicazioni raggiungono la pienezza dell’umano, con la prospettiva presente e non invadente di Dio.
Forse dalla riscoperta dei fondamenti evangelici può iniziare la vera catechesi. I segni sacramentali ritorneranno ad essere momenti per sottolineare i passaggi della vita. Le virtù ad essere non solo doveri, ma caratteristiche del pensare e dell’agire.
Si farà una riscoperta sorprendente. I dettami evangelici portano a una vita personale più idonea a raggiungere felicità. È possibile vivere in un mondo con «sobrietà, con giustizia e con pietà», come dichiara la Lettera a Tito (2,12). È il sogno per ogni individuo e popolo della terra.
Concordo su molti aspetti dell’articolo. Conosco la realtà marchigiana alla quale fa riferimento don Vinicio. Sarebbe bello che tanti sacerdoti nelle Marche e con loro, in primis, i vescovi facessero un “mea culpa” ma solo il tempo farà emergere la verità di un disastro pastorale. Tuttavia la situazione non è molto diversa altrove, anche a Milano, dove vivo. La cosa che più mi sorprende è in questo periodo di pandemia la completa abolizione dei due sacramenti della riconciliazione (unzione degli infermi e penitenza). Non si trova più un prete per la confessione… occorre prendere appuntamento e poi quando ci sono le ondate ti dicono: “ci sentiamo più avanti” (quando? non si sa ….). Capisco la pandemia e comprendo la prudenza. Non capisco la paura che blocca e paralizza tutto. Inoltre non comprendo come si possa perfino sospendere il catechismo in consonanza con quello che succede nelle scuole. Come può una Chiesa che è Madre dimenticarsi, abbondonare i suoi figli più piccoli, quelli più bisognosi di cura? Che immagine di Chiesa si trasmette agendo così? Cero un catechismo finalizzato ai sacramenti non serve a nessuno, ma una Madre non può abbandonare i suoi figli …. mai!!!!!!!!!!!!!!!!
Mi pare che la pandemia del covid stia evidenziando la forza del piccolo gregge; mi riferisco al piccolo gregge dei no vax e lo metto in relazione con quello della Chiesa. Dalle notizie sulla recrudescenza dei contagi e dall’attribuzione della loro causa anche ai comportamenti di coloro che sono contrari a vaccinarsi, noto che c’è in fin dei conti una forza presente in un ristretto numero di persone, una forza dirompente sulla massa degli individui che si è sottoposta a vaccinazione. Non potrebbe accadere lo stesso tra Chiesa e società?
Forse bisogna che le omelie domenicali siano meno dotte ma più concrete ed incisive.Si deve dire che i Sacramenti sono quello che sono e che la Confessione è indispensabile e non può essere omessa(almeno una volta all’anno va fatta.Ma San Pio da Pietrelcina diceva che ”non si può lasciare una persona priva di Confessione oltre la settimana”). Santa Maria Goretti che camminava per chilometri per andare a Messa in un paese un po’ lontano ove un sacerdote arrivava trafelato a celebrare e non confessava poiché era fuori zona e non ne aveva il permesso, si ASTENEVA dalla Santa Comunione perché non le era stato possibile confessarsi,Bisognerebbe ripartire dai fondamentali nelle omelie e dire apertis verbis e senza tanti complimenti come stanno le cose. Così la gente prenderebbe coscienza del da fare e dal non da fare. Se si supera l’ignoranza la Fede riparte.
Mi piace tantissimo Vinicio Albanesi, che leggo sempre con interesse e stupore. Lo trovo stavolta, là dove scrive sulla scissione tra fede e comportamenti, un po’ frettoloso, se non addirittura perentorio. Per mia sensibilità e attività pastorale diretta, andrei più cauto. Con grande stima, Francesco Strazzari.