Ormai le informazioni si accalcano l’una sull’altra, susseguendosi in un flusso ininterrotto sempre più veloce, che diventa quasi impossibile percepirne la portata. Racchiuse nello spazio di una grande indistinzione, che tutto omologa, inducendo da ultimo una sorta di indifferenza da saturazione. Il lampo di uno sguardo e il titolo come massimo tempo di lettura che riusciamo ancora a sopportare. Bulimia che consuma storie, vissuti, drammi, gioie, lotte, in un batter d’occhio. Plasmando, così, in tutti noi una conformazione servile alle logiche sotterranee delle nuove potenze che esercitano sull’umano un dominio senza controllo. A loro non serve neanche padroneggiarlo, basta che circoli brado nei territori del vivere.
Passione per l’umano
Nel corso di due giorni, su Settimana News, sono apparsi una serie di contributi, da quello su Charlie Gard a quello sulla post-verità, passando per l’intelligenza artificiale e l’accompagnamento dei morti, che ruotano come intorno a un grande buco nero che sembra assorbire, inesorabilmente, ogni sforzo di sostare per il tempo debito sul destino che ci stiamo preparando con le nostre mani. Per essere chiari: di questo lavoro fatto di analisi, pensiero, sosta, riflessione, abbiamo bisogno come il pane che ci tiene in vita. Intorno a questa selezione critica della massa inarticolata di informazioni che ci travolgono si costruisce, nel suo piccolo, la resistenza dell’umano alle potenze che ne vogliono prendere possesso per decretare la fine di come lo abbiamo conosciuto finora.
Il travalicamento del limite è la forza che, da sempre, permette all’umano di non piombare in una contingenza cieca e senza orizzonti. Il senso della giustizia che, da tempo immemore, costruisce una soglia oltre la quale l’umano decide di non voler andare è l’onore più alto con cui egli riconosce una contingenza che va protetta perché ne va di se stesso e delle generazioni che verranno.
In un qualche modo, tutti i contributi di cui ho fatto cenno fanno perno su qualcosa di simile a questo; al di là delle questioni specifiche che affrontano, questo è il loro merito comune. Genesi di una comunità di intenti e competenze per un umanesimo all’altezza delle trasformazioni in atto. Relazioni di cura e attenzione che si intrecciano tra di loro, accrescendo un archivio della cui importanza diventeremo consapevoli solo in giorni futuri.
La forza dispotica
Dopo averli letti, e dopo essermi sorbito la banale superficialità di quanto circola altrove sui medesimi temi, mi è rimasta l’impressione di un non detto che li accomuna nella pertinenza e nella serietà della loro analisi. Un punto di incontro su questioni solo apparentemente disparate e senza connessione tra di loro. Non una mancanza da imputare agli autori, ma una sorta di forza invisibile che è stata innestata nelle trame del vivere umano e che andiamo introiettando tutti come l’inevitabilità di un destino.
Forza che talvolta viene stoltamente celebrata come emancipazione da quel che resta del pensiero illuminato e liberale, progressista tanto per intenderci. La medesima forza che viene astutamente cavalcata, senza padroneggiarla in alcun modo, dalle molte istanze populiste ed etnico-nazionali che essa genera e a cui fa credere di poterne disporre a piacimento. Forza acquattata da sempre a due passi dall’umano, che può essere riattivata in ogni momento nel gesto con cui rinunciamo alla responsabilità che siamo a noi stessi e davanti agli altri.
Tutto ruota intorno a essa, ma continuiamo a fare come se non ci fosse, come se non si stesse impossessando di noi. Inconfessabile, perché rimessa in circolo dalle nostre stesse concessioni. Non un destino ineluttabile, dunque, ma l’esito di una volontà prometeica e di una stoltezza infantile. Taciuta ovunque, perché pronunciarla vorrebbe dire riconoscere una fine, l’esaurimento epocale dell’umano stesso, il limite di un invalicabile.
Il cittadino è nudo
Cosa accomuna, dunque, Charlie Gard e gli algoritmi di controllo etico dell’intelligenza artificiale? Cosa attraversa le grandi questioni della configurazione dell’umano a-venire nella stagione in cui la loro soluzione viene delegata illimitatamente alla società degli esperti (nuova oligarchia asettica del potere che ci esautora di ogni diritto di parola)? Detto in una battuta: la dismissione, lenta ma inesorabile, della nostra sovranità di cittadini. Per un attimo ci siamo inebriati di una sovranità senza più sudditanza, abbiamo bevuto lunghe sorsate dalla sua coppa munifica, e poi ci siamo assopiti senza accorgerci che si trattava di un dono da custodire con sagacia, e non di un diritto acquisito che si perpetua da sé.
Camuffata dalla retorica liberale o sfruttata cinicamente dalla logica del neoliberalismo, la dismissione della sovranità è la segnatura dei nostri giorni che ci rende tutti sudditi di potenze senza forma e senza luogo, che estendono il loro dominio fin dentro il tesoro prezioso dei nostri affetti più cari, sfruttando l’instabilità ingorda del nostro desiderio dimentico di ogni contingenza.
Non c’è da sorprendersi se la miseria della politica odierna non riesce neanche ad abbozzare una parola in merito, affaticata come è a preservare l’ultimo simulacro del proprio potere che le è stato tolto di mano da tempo. Più preoccupante il fatto che nemmeno la comunità cristiana sembra avere qualcosa da dire in merito, perdendosi in bagatelle di casa elevate a questioni dirimenti per il destino e la configurazione della Chiesa. Mancando così del tutto quella sensibilità per la giustizia delle cose quotidiane che abita, un po’ confusa ma convinta, il cuore delle generazioni più giovani – che sono in cerca di maestri che indichino la via da percorrere, senza sostituirsi a loro nell’impresa, capaci di fermarsi al punto giusto per consegnarli al loro personalissimo itinerario di vita.