Laudate Deum: una voce per il pianeta

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laudate deum

La voce autorevole di Papa Francesco ancora si è levata per il pianeta. Nella significativa data del 4 Ottobre, è stato promulgato, con il titolo Laudate Deum, un nuovo accorato appello ecologico del pontefice, sotto forma di esortazione apostolica.

Già ad una lettura immediata, stupisce – e non può non sorprendere – che un’esortazione ecclesiale contenga così tanti dati tecnici e così poca teologia. Ciò, tuttavia, risponde ad un’intenzionalità precisa: questa è l’ora dei fatti e non più delle parole. È questo il messaggio che il papa intende rivolgere, non solo ai cristiani, ma a tutti agli abitanti del mondo.

Senza futuro

Sono eloquenti e sembrano rispondere a tale intenzionalità, le varie rimostranze del testo nei confronti delle conferenze sul clima che si sono risolte con un nulla di fatto, con tanti bei discorsi che non hanno avuto impatto reale. Viene dato risalto, ad esempio, al fatto che non sia stata rispettata la scadenza fissata per la riduzione delle emissioni complessive di gas serra del 5% a questa data, così come non ci siano, tuttora, strumenti efficaci per far rispettare gli impegni presi.

L’esortazione sciorina non poche critiche: alla globalizzazione, alla logica del massimo profitto al minimo costo, al modello tecnocratico, agli scienziati che propongono soluzioni semplicistiche e riduttive, a chi dà letture parziali o attribuisce le colpe ai poveri.

È anche presente una denuncia molto diretta: «manca un vero interesse per il futuro»: il papa fa presente, con lucida chiarezza, che «non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo».

Senza voler alimentare scenari pessimistici, nell’esortazione non viene certo evitato l’allarme, ad esempio nel passo in cui cita l’amara ironia di Solov’ëv, secondo il quale il nostro secolo è così progredito da avere in sorte di essere l’ultimo.

Denuncia e incoraggiamento

Teilhard de Chardin, più o meno negli stessi anni del teologo russo e con una medesima preoccupazione, aveva pronunciato una frase altrettanto amaramente sarcastica: «Non si può scalare una montagna senza costeggiare un abisso»: parole profetiche, perché, effettivamente, oggi, l’umanità sta costeggiando quell’abisso; perché sta rischiando, mai come ora, un’apocalisse senza Dio. Ed è per questo che, a prescindere dall’immancabile incoraggiamento alla speranza, Francesco non ha taciuto e non tace.

Il documento distribuisce, in egual misura, denunce e positivi incoraggiamenti, perché la «possibilità di raggiungere un punto di svolta è reale. Piccoli cambiamenti possono provocare cambiamenti importanti». Nel testo è anzi presente un’argomentazione costruttiva e propositiva che si concentra in una parola chiave: multilateralismo.

Il pontefice fa presente che è quanto mai necessario creare un modello di diplomazia multilaterale che sappia rispondere alla nuova configurazione del mondo. Bergoglio fa riferimento, in particolare, ad un multilateralismo “dal basso”, cioè non deciso dalle élite di potere. È questa, scrive il papa, la «strada inevitabile». A metà tra la speranza e l’utopia, egli propone anche un modello ideale a cui ispirarsi: un ambiente – da lui aggettivato come «sano» – che sia espressione dell’interazione buona dell’uomo, come ancora avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra.

Soprattutto, l’esortazione papale contiene un accorato appello affinché la Cop28 – che presto si terrà presto a Dubai – non risulti un fallimento: essa, scrive Bergoglio, deve diventare storica e onorarci e nobilitarci quali esseri umani.

Volendo stendere alcune note di commento su un documento così accorato, mi sento di fare tre considerazioni.

La prima è che la Laudate Deum aggiorna, accentua e sviluppa, la sezione statistica della Laudato si’, rinunciando a dare un equivalente sviluppo a quella teologica. Questa scelta non è completamente condivisa, perché c’è ancora bisogno di teologia e di filosofia. Diversamente, si potrebbe essere indotti a pensare che tutto quello che c’era da dire in quest’ambito sia già stato detto, mentre non è proprio così.

Guardini e il potere

Un teologo che si poteva riprendere – tra l’altro molto amato da Bergoglio – è Romano Guardini. All’interno di un volume dal titolo La fine dell’epoca moderna, Guardini scriveva una frase attualissima che legata a doppio filo a quei passaggi dell’esortazione ove si parla della ricerca del potere: «Quando la coscienza dell’uomo non assume la responsabilità della potenza, ne prendono possesso i demoni. Con questo termine non intendiamo alcuna moda momentanea e giornalistica, ma esattamente ciò che dice la Rivelazione: esseri spirituali, creati buoni da Dio e caduti lontano da Lui: che si sono decisi per il male ed ora sono decisi a rovinare la creazione divina»[1].

Il forte linguaggio di Guardini descrive in modo incisivo quel desiderio di potere e quel predomino sulla natura già denunciato dal papa nella precedente enciclica e che rappresenta una plateale distorsione del comando biblico “a soggiogare la terra”. Con un linguaggio maggiormente filosofico, tale distorsione è stata criticata, come noto, da un autore come Martin Heidegger, che denunciava il pervertimento della tecnica da mezzo a fine col ridimensionamento della natura a fondo di magazzino[2].

Teologia a margine

L’esortazione poteva inoltre fare maggiore riferimento anche ad un autore come Jürgen Moltmann, che, in Dio nella creazione, ha teorizzato una dottrina teologica che muova dalla crisi ecologica e che possa essere fermento della pace con la natura[3]. Utilissimi, in un contesto come l’attuale, sarebbero pure i richiami alla deep ecology di Arnee Nesse o all’ecosofia di Raimon Panikkar.

Sarebbero stato, pure, opportuno riprendere, a mio parere, alcuni collegamenti tra lo sviluppo incontrollato della tecnica e il peccato originale, come faceva Lanza del Vasto, oppure le critiche di Jacques Ellul a quello che lui ha definito il sistema tecnico.

Nell’esortazione, tuttavia, non manca totalmente la teologia: è significativo, in particolare, che si riprenda una categoria già introdotta da Giovanni Paolo II, quando questi parlava di strutture di peccato. All’interno del testo, infatti, Bergoglio usa apertamente l’espressione «peccato strutturale».

Anzi, quasi in omaggio a Dostoevskij, di cui è nota la convinzione circa la bellezza che salva il mondo, sottolinea che la cura del pianeta passa attraverso quella contemplazione che permette di scorgere la presenza di Dio nel volto del povero, così come nella rugiada o nel colore delle foglie. È radicalmente teologica, comunque, anche la sottolineatura che la terra appartiene a Dio (cf. Lv 25,23).

Risacralizzare la natura

Una mia seconda annotazione al documento sta nel fatto che gli appelli, sia pur corredati dai dati scientifici, non sono sufficienti. Di per sé, neppure la teologia o l’etica sono sufficienti, perché ciò che serve all’umanità oggi è una nuova spiritualità della natura, anzi una vera e propria mistica. Aperture di questo tipo non erano assenti all’interno della Laudato si’ e riprenderle sarebbe stato di grande utilità.

Ciò che maggiormente appare urgente, infatti, è “risacralizzare” la natura. Se mi è concessa una nota personale, è esattamente quello che avevo cercato di fare nel 2012 al festival di teologia di Piacenza, ove dissi che una nuova teologia dell’ambiente si sarebbe dovuta impostare a partire da Romano Guardini e Teilhard de Chardin, autori entrambi ripresi, nel 2015, dalla lettera enciclica[4].

In particolare, mi era parso opportuno citare le parole del teologo camaldolese Robert Hale sul Cristo cosmico, perché attraverso tale categoria è possibile tornare a guardare all’ambiente naturale con occhi diversi. Scriveva il monaco statunitense: «La stessa sopravvivenza dell’uomo, come quella del suo mondo, richiede che egli riscopra il nesso unitario che lo lega alla totale complessità della vita»[5].

Al riguardo, egli ribadiva che nel pancristismo di Teilhard de Chardin la categoria corpo cosmico del Cristo è tutt’altro che una semplice metafora: «No, il Corpo del Cristo non è, come alcuni, per pigrizia, vogliono che si creda, l’associazione estrinseca o giuridica degli uomini avvolti in una medesima benevolenza e ai quali è destinata una medesima ricompensa. Il corpo del Cristo dev’essere inteso arditamente, quale san Giovanni, san Paolo e i Santi Padri lo hanno veduto e amato: costituisce un mondo naturale e nuovo, un organismo animato e nobile, in cui siamo tutti uniti, fisicamente, biologicamente»[6].

In sintesi, a Piacenza suggerivo che la cristologia teilhardiana potrebbe essere assunta quale percorso logico, funzionale al recupero di quella sacralità del cosmo che l’uomo contemporaneo ha drammaticamente smarrito.

Gli animali

Una terza annotazione, persino sorprendente – dopo che Bergoglio nella lettera da lui invita nel 2022 alla Conferenza Europea dei Giovani riuniti a Praga aveva invitato a ridurre il consumo di carne – è la totale assenza, di una teologia degli animali e di una teologia del vegetarianesimo[7]. È lecito chiedersi, al riguardo, se sia concretamente possibile trovare una soluzione ai problemi ambientali senza spronare a cambiare radicalmente gli stili di vita e, in particolare, quello alimentare. Occorre, altresì, insegnare ad avere cura del mondo a tavola.

A prescindere da queste annotazioni critiche, questo ulteriore appello del papa rimane preziosissimo. Non si può che essere grati a Bergoglio per il suo impegno e per i suoi ammonimenti, quale l’invito a «superare la logica dell’apparire sensibili al problema e allo stesso tempo non avere il coraggio di effettuare cambiamenti sostanziali».

La chiusura del documento, a questo riguardo, è ad un tempo emblematica e teologica: Lodate Dio, «perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso». Il papa invita «ciascuno ad accompagnare questo percorso di riconciliazione con il mondo che ci ospita e ad impreziosirlo con il proprio contributo» (69). Ognuno scelga il suo.

  • Paolo Trianni è Presidente del Centro Studi Cristiani Vegetariani e docente nel Dipartimento di Lettere e Filosofia di Trento oltre che in varie università pontificie (Gregoriana, Lateranense, Sant’Anselmo).

[1] R. Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 1954, 82.

[2] Cfr. M. Heidegger, La questione della tecnica in ID, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, 10-21.

[3] Cfr. J. Moltmann, Dio nella creazione, Queriniana, Brescia 1992, 33-34. Si consideri anche J. Moltman/P. Stefani/P. Trianni (edd.), La terra come casa comune. Crisi ecologica ed etica ambientale, EDB, Bolgna 2017.

[4] Cfr. E. Garlaschelli/G. Salmeri/P. Trianni (edd.), Ma di’ soltanto una parola: economia, ecologia, speranza per i nostri giorni, EDUcatt, Milano 2013.

[5] R. Hale, Il cosmo e Cristo. Basi di una teologia ecologica secondo Teilhard de Chardin, Edizioni Istituto Stensen, Firenze 1974, 1.

[6] R. Hale, Il cosmo e Cristo, 21.

[7] P. Trianni, Per un vegetarianismo cristiano, EMP, Padova 2017.

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3 Commenti

  1. Gian Piero 24 ottobre 2023
    • Anima errante 25 ottobre 2023
  2. Mauro Mazzoldi 24 ottobre 2023

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