Se, a un bambino, chiedi se sia più buono il cioccolato o se corra di più il treno, il bambino ti guarda in faccia come a chiederti come sei messo e poi dice che è più buono il cioccolato. E ha una sua logica. Se, a un adulto, chiedi di scegliere tra l’utopia e l’assurdo, molto probabilmente trova una via di fuga. Meglio vivere la quotidianità dell’oggi.
Eppure l’utopia apre alla speranza, mentre il quotidiano è intriso di assurdo. Mancando – o non volendo – la consapevolezza di questo assurdo si continua a vivere di contro-senso.
Il contro-senso – che è ambiguo per conto suo – produce e obbliga ogni tipo di periferia. Seduce e castra come non dovrebbe mai succedere.
In Italia, negli anni cinquanta-sessanta, si costruivano le periferie per accogliere i poveri del dopoguerra e, al nord, “i terroni” che cercavano lavoro.
Adesso, in periferia, si mandano gli extracomunitari o i comunitari che fanno problema. Per le comunità che accolgono minorenni non accompagnati si mettono a disposizione le meravigliose colline disabitate. Che non è male abitare, ma non in questo modo. Là non sono pericolosi, si accolgano tra loro e sono prossimi a sé stessi. Se poi si comportano da periferici, li mettono dentro. Non importa dove, come e con chi.
Non necessita costruire altre periferie per i periferici che si spengono nei mari, scompaiono nei geli delle traversate o vengono ricacciati nelle loro terre, sfruttate da chi ha scelto di vivere di assurdo.
Per farli stare doppiamente male, prima però vengono sedotti dal fascino delle cose che non si possono permettere. Case sfitte e senza-tetto per strada o sotto i ponti, cane nel passeggino e crisi demografica, bambini obesi e bimbi con la pancia gonfia di vuoto. Chi può tutto e anche più di tutto e chi fa fatica ad avere poco più del niente.
Esiste anche una filosofia giustificatrice dell’assurdo. Dice così: è possibile un’equa distribuzione dei beni quando il prodotto sarà sufficiente a garantire l’eguaglianza necessaria.
L’altra legge – non scritta perché troppo assurda – dice però che chi ha, non ha mai a sufficienza. Una legge globalizzata molto prima della globalizzazione.
È talmente sottile questa filosofia assurda da essere sistematicamente impegnata anche a ricacciare nell’ignoranza coloro che faticano ad accedere alla conoscenza.
Si accede solo attraverso il merito. Cioè, se possiedi i criteri predefiniti da chi sta al centro, quasi per diritto.
«Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate. Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva. Del resto, la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto. Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla». Così l’inizio de La lettera a una professoressa di don Milani.
Il contesto è leggermente cambiato, ma le dinamiche espulsive sono identiche.
A tutti i sistemi – religiosi compresi – fanno paura coloro che riflettono. Ogni riflessione di buon senso però non può limitarsi alla semplice consapevolezza. Di fronte all’assurdo, diventano logici l’indignazione e la rabbia.
«Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: la Scrittura dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri» (Mt 21,12-13).
E non occorre essere cattolici per capirne la logica!
L’assuefazione potrebbe moltiplicare i complici, mentre l’indignazione e la rabbia sensibilizzano chi non si rassegna.
E rendono logica l’accoglienza.