L’eco di quel “Convertitevi!”

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A 25 anni da quel forte grido di papa Wojtyla risuonato nella Valle dei Templi, i vescovi siciliani lo hanno voluto rilanciare, non solo pensando al contesto dell’isola, ma sempre più a coordinate globalizzate, visto che ormai la mafia non risparmia nessun territorio, né da noi in Italia, né in tutto il resto del mondo. Anzi, proprio di recente il metodo mafioso e la corruzione collusa con ogni genere di partito, sta dilagando dai territori del nord Italia, alle coste vicino alla capitale e alla capitale stessa. Ormai non c’è più alcun luogo esente.

«Andiamo ovunque a parlare con detenuti, cappellani e direttori di carceri. Abbiamo organizzato confronti a Scampia, Locri, Pergusa. Abbiamo fatto più di trenta incontri, quasi tre al mese, e ora vogliamo proporre alle Conferenze episcopali regionali di estendere a tutta Italia quella scomunica per i mafiosi che è già in vigore nelle diocesi siciliane perché la criminalità organizzata non è più un’emergenza solo del Mezzogiorno ma anche al Nord e al centro». Lo racconta a Vatican Insider, monsignor Michele Pennisi, membro del gruppo di studio istituito un anno fa, il 17 giugno 2017 in Vaticano per approfondire la minaccia delle mafie.

La Lettera dei vescovi di Sicilia a 25 anni dall’appello di san Giovanni Paolo II ad Agrigento, che ha per titolo “Convertitevi!”, vuole prolungare l’eco dell’appello alla conversione rivolto da san Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, il 9 maggio 1993, alle persone coinvolte nelle trame mortali e peccaminose dell’organizzazione mafiosa.

I 25 anni trascorsi da quell’evento non hanno usurato la sua valenza profetica, che le Chiese di Sicilia vogliono recuperare per proseguire nell’impegno di annuncio del Vangelo dell’amore, soprattutto là dove regna una cultura di morte.

 Il “la” viene dato proprio da quel sintetico appello profetico: “Convertitevi!”. E san Giovanni Paolo II con voce forte e indice vibrante puntato aggiungeva: “Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. Come dire: potete sfuggire ora con ogni imbroglio, o malaffare, strumentalizzando pure la fede, ma non sarà il definitivo del giudizio.

Ricordando le numerose vittime della violenza mafiosa, la Chiesa siciliana, per bocca dei suoi pastori, ribadisce che la mafia è peccato e i mafiosi sono peccatori, giacché oppongono un «rifiuto gravemente reiterato nei confronti di Dio e degli esseri umani, che sono a sua immagine e somiglianza».

A questo peccato si rendono solidali anche i fiancheggiatori dell’organizzazione mafiosa e coloro che ne coprono i misfatti con connivenza e con il silenzio omertoso. Si tratta di un peccato gravissimo, che di fatto pone chi lo compie al di fuori della comunione ecclesiale.

Per questo motivo i vescovi ribadiscono l’incompatibilità tra la mafia e il Vangelo, consapevoli che il fenomeno mafioso interessa da vicino la Chiesa, il suo impegno catechistico, la sua prassi pastorale, la sua azione sociale.

L’indice della Lettera si articola in cinque capitoli: un primo capitolo in cui è rievocato il senso autentico del “grido” del papa; un secondo in cui viene sottolineato il suo timbro profetico; un terzo in cui si illustra il peculiare discorso ecclesiale sulla mafia sviluppatosi a partire da quel “grido”, volto a risvegliare il senso dell’appartenenza effettiva alla comunità credente e a valorizzare la mistica comunitaria insita nella pietà popolare; un quarto in cui quel “grido” è riproposto ai familiari delle vittime di mafia, alle persone credenti e di buona volontà, agli uomini e alle donne di mafia; un quinto che si configura in una preghiera innalzata al Signore, giusto e misericordioso, perché dia a tutti perdono, luce e coraggio.

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