La notizia del manifesto funebre contro un vescovo ha fatto scalpore, ma non sembra aver sollecitato le coscienze anche dei suoi confratelli nell’episcopato, soprattutto meridionali.
Il testo recitava: «Mons. Giuseppe Giudice, Pseudo vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, ha tragicamente con un decreto inutile ucciso e oltraggiato le nostre feste patronali. Ne danno la triste notizia le bande musicali, i fuochisti, gli ambulanti, i giostrai, le ditte delle luminarie e molti commercianti che ancora piangono un periodo buio per la crisi legata al Covid e ora continuano a lavorare per una scelta disonesta e ingiusta. Un grave lutto ha colpito il nostro Agro, ma uniti vinceremo contro il Vescovo».
Mentre è certamente utile che da parte delle forze dell’ordine si cerchi di individuare e punire non solo gli esecutori ma soprattutto i mandanti del gesto intimidatorio, mi sembra, da teologo italiano e profondamente meridionale ovvero mediterraneo, di dover denunziare il silenzio dei suoi confratelli vescovi, per non dire della latitanza teologica, a tutti i livelli assordante.
Al tempo stesso, mi sembra urgente far riflettere sul fatto che il lockdown dovuto alla pandemia, mentre ha sospeso queste espressioni di massa e popolari della religiosità, dovrebbe aver insegnato alla comunità ecclesiale la sacramentalità della Parola di Dio a fronte di forme di devozionismo pagano e superstizioso, che spesso coinvolge il Sud Italia, magistralmente raccontato da Ernesto De Martino in Sud e magia.
A chi intendesse continuare a riflettere sull’argomento segnalo il recente saggio di Massimiliano Biscuso, L’ultima Thule. Ricerche filosofiche su Ernesto De Martino, pubblicato dall’Istituto di studi filosofici di Napoli.
Teologia e pietà popolare
L’occasione può diventare propizia perché l’esodo dal “confinamento” possa consentire alla comunità ecclesiale di attivare un sano e acuto discernimento, con l’aiuto della teologia italiana, che ne avrebbe le risorse, per un processo di ripensamento/rinnovamento, poiché non bisogna semplicemente ritornare al prima del covid (lo diciamo, ma non risulta che ne siamo convinti a livello apicale-ecclesiale), ma approfittare della circostanza per purificare la nostra esperienza spirituale e comunitaria.
La questione mi sembra fondamentale per il futuro della comunità credente: che ne facciamo della pietà popolare?
Tornando al passato: la consegniamo alle mafie anche ecclesiastiche? Pensando al futuro: la abitiamo in forme educative e pastorali pensate e organizzate a livello locale?
I vescovi ne dovrebbero essere consapevoli. Se si auspica un rinnovamento o addirittura una rifondazione della teologia, mi sembra che un punto di partenza potrebbe essere proprio quello del vissuto delle nostre martoriate Chiese meridionali e mediterranee. Altrimenti i documenti sul mediterraneo rischiano di ridursi a puri e semplici flatus vocis.
Non mi sembra fuori luogo ipotizzare per la Chiesa italiana una riflessione comunitaria, in sede sinodale, in modo da disegnare linee pastorali da proporre alle comunità ecclesiali, soprattutto del meridione, per la ripresa delle diverse iniziative a livello di religiosità popolare: processioni, novene e tridui, devozioni, momenti di aggregazione popolare a diversi livelli…
Il testo del manifesto “funebre”, mentre rivela i veri interessi economici in gioco, sembra piuttosto attestare il rischio dell’appropriazione mafiosa di questi eventi, che certamente possono anche avere un riverbero a livello economico e aggregativo.
L’auspicio sarebbe quello di una lettura attenta da parte di quanti si ritengono danneggiati dalla posizione di un vescovo illuminato e coerente. Chi sta col vescovo, sta con la Chiesa e con Cristo, chi persegue interessi altri stia altrove!
Chiesa italiana e meridionale svegliati! Non possiamo continuare a tacere sulla “mafia devota” e le sue propaggini pastorali o pastorizie.
Cerchiamo di riflettere a livello sinodale su come ri-prendere le espressioni popolari della fede, senza semplicemente ritornare al passato, ma al tempo stesso senza abbandonare una risorsa importante per la trasmissione della fede nel nostro tempo e nei nostri luoghi.
Il teologo Lorizio denuncia il silenzio dei vescovi su un fatto esecrabile come quello del manifesto funebre per un vescovo che ha voluto rinunciare alle processioni consuete nei tempi pasquali nelle zone meridionali d’Italia. Il fatto però è espressivo della umiliante condizione in cui la Chiesa cattolica si trova, non solo per le manifestazioni della religiosità popolare, ma purtroppo anche per i segni più importanti della sua identità: che i sacramenti tutti (in particolare il matrimonio, la confermazione e i battesimi) siano totalmente subbappaltati alle logiche dell’ipermercato è cosa oramai “storica”, sapendolo ormai da troppi anni. Ero un ragazzino quando a Crotone il vescovo Agostino (di formazione canonostica) diventava -per il suo illuminato e sapiente discernimento – un “cultore della religiosità popolare”, chiamato da ogni parte, ma sostanzialmente “ignorato” quanto alle indicazioni offerte pure in alcune Lettere pastorali dedicate, come quella più famosa Le feste religiose nel Sud. Forse la ripresa di un pensiero teologico nuovo sul tema potrebbe passare proprio dal recupero di certe istanze profetiche di alcuni vescovi del Sud ai tempi marginalizzati. Il cammino sinodale è un kairòs particolare allo scopo e bisogna però ricordare che esiste anche una “sinodalità diacronica”: nella traditio ecclesiale ci poniamo in ascolto di quanto chi ci ha preceduto ha detto, e in una sorta di riconciliazione della memoria ritorniamo a valorizzare quanto di futuristico c’è stato nelle sapienti riflessioni e nelle loro prese di posizione. Ricordo che qualche anno prima di morire chiesi all’arcivescovo Agostino, ormai vescovo emerito di Cosenza, di portare a “sintesi” quasi un testamento la sua riflessione sulla religiosità popolare. La sua risposta mi lasciò di stucco: “lascia perdere Tonino, è tutto inutile, a meno che tu non voglia diventare un martire… il problema è questo… non vale la pena morire per questo”.
Sarebbe bello-Settimananews permettendo- di riprendere il Magistero illuminato di Mons Agostino sulla religiosità/pietà popolare… per continuare nell’oggi un dibattito necessario per il rinnovamento dell’azione evangelizzatrice nel Sud d’Italia.
La “mafia devota” colpisce ancora https://www.avvenire.it/attualita/pagine/minacce-al-vescovo-processione-piazza-armerina e davvero non vale la pena mobilitarsi come chiese del sud e teologia mediterranea per un profondo ripensamento della religiosità popolare?