Qualche settimana fa Umberto Risso, il presidente di Confindustria Genova, si è detto molto preoccupato: da qui al 2030 all’economia ligure verranno a mancare 76.000 lavoratori, nel senso che ci saranno 76.000 persone attive tra i 20 e i 64 anni in meno rispetto a oggi.
Il cambiamento demografico è un po’ come la crisi climatica: nel momento in cui ti poni la questione, è già troppo tardi, nel senso che puoi correggere la traiettoria sul futuro, ma le scelte hanno conseguenze di così lungo periodo che intanto devi convivere con quelle già fatte nei decenni passati. Gran parte della discussione su questo argomento è filtrata dall’ideologia di appartenenza di chi commenta i dati: quasi tutti riconoscono il problema, ma per la destra la risposta sta nella riscoperta della famiglia tradizionale e dei suoi valori, per la sinistra negli asili nido pubblici e nella parità salariale tra donne e uomini, per molti imprenditori serve una politica di immigrazione che consenta di sopperire alla manodopera, soprattutto qualificata, che mancherà.
Dopo il picco
I dati indicano alcune certezze, ma non danno tutte le risposte. Secondo il Centro sulla Popolazione e le migrazioni della Commissione europea, la popolazione globale toccherà il picco in questo secolo, 9,8 miliardi entro il 2070.
Picco significa che dopo inizierà a scendere. Dai tempi dei trattati di Thomas Robert Malthus, a fine Settecento, ci siamo abituati a pensare come gestire un aumento costante della popolazione, con il potenziale di crescita e consumo che questo comporta. Ma non ci siamo mai davvero interrogati sulla possibilità che lo scenario più drammatico fosse quello non solo dell’invecchiamento delle nostre società, ma di una drastica e rapidissima diminuzione del numero di esseri umani.
Il tasso totale di fertilità delle donne è sceso sotto 2,1 in quasi tutti i Paesi, quindi è sotto quello che è in genere considerato il tasso di sostituzione. Se ogni donna ha 2,1 figli, la popolazione rimane stabile. Se ne ha meno si riduce. «Il calo del tasso di fertilità è una delle tendenze più significative della nostra epoca», ha scritto in un allarmato commento su Bloomberg lo storico Niall Ferguson.
L’ultima volta che la popolazione mondiale si è ridotta è stato nel 1300, per effetto della «peste nera». Adesso non è una epidemia a ridurre il numero di figli, ma l’effetto è lo stesso. Andiamo incontro, ha scritto l’economista Nicholas Eberstadt su Foreign Affairs, «all’età dello spopolamento».
In Corea del Sud, caso estremo, il tasso di fertilità è di 0,72 figli per donna. A spanne vuol dire che, senza considerare gli effetti dell’immigrazione, a ogni generazione, quindi circa ogni 25 anni, la popolazione si riduce di quasi un terzo. E ogni anno quel tasso di fertilità continua a ridursi, da 0,78 nel 2022 a 0,7 nel 2024.
Un po’ tutti i Paesi, ricchi o poveri, laici o molto religiosi, vedono i tassi di fertilità ridursi. L’India nel 2024 ha superato la Cina come Paese più popoloso al mondo, ma ha già tassi di fertilità sotto il 2 per cento, quindi ha già superato il picco di espansione e la sua popolazione inizia a contrarsi.
I Paesi musulmani sono stati più fertili, ma anche lì – dove le donne hanno spesso meno diritti e meno prospettive che in quelli occidentali – i tassi di fertilità sono in calo, in Iran sono sotto il 2 per cento da inizio secolo. Soltanto l’Africa subsahariana continua a espandersi, ma è questione di tempo.
L’Italia è uno dei Paesi con il più basso tasso di fertilità del mondo occidentale, 1,21 figli per donna, e dunque è uno dei più vecchi, perché con pochi bambini e anziani che vivono più a lungo, l’età media risulta più alta.
Pochi figli?
Eleonora Voltolina, giornalista, si è occupata a lungo di lavoro e in particolare del trattamento degli stagisti, da alcuni anni lavora invece sui temi della fertilità con l’iniziativa The Why Wait Agenda. Sul supplemento «La Lettura» del Corriere della Sera è intervenuta in un dibattito che riguarda la fertilità della Sardegna. Cosa c’è di così particolare in quella regione?
La Sardegna è una regione particolare dal punto di vista demografico, in Italia e in realtà in tutta Europa, perché è una regione dove si fanno pochissimi figli, già il tasso di fecondità, cioè il numero di figli per donna, in Italia è molto basso e progressivamente è sempre più basso anno dopo anno. Nel 2023 la media nazionale è stata di 1,2 figli per donna, un minimo storico, ma da molti anni ormai sta sotto l’1 in Sardegna e nel 2023 in Sardegna il tasso di fecondità era di 0,91 figli per donna, quindi davvero molto pochi.
Però la domanda corretta da farsi è: i sardi fanno così pochi figli perché desiderano così pochi figli? La risposta è no, in realtà i sardi fanno meno figli di quelli che vorrebbero fare per una serie di fattori che rendono difficile, forse più difficile in Sardegna rispetto anche ad altri posti d’Italia, realizzare i propri progetti familiari.
Ma si fanno davvero troppi pochi figli? O la società che abbiamo costruito è pensata per un numero inferiore di bambini?
Negli ultimi decenni è cambiato molto il concetto di famiglia e soprattutto le dinamiche di costruzione delle famiglie. L’emancipazione femminile ha fatto sì che le donne oggi possano studiare, lavorare, essere economicamente indipendenti e avere voce in capitolo sulle proprie scelte riproduttive. Attraverso la contraccezione possono scegliere quando e se avere figli.
Però io non direi che la nostra società non sia più a misura di bambino o scoraggi il desiderio di fare figli, perché in realtà tante persone questo desiderio ce l’hanno. Esiste infatti il fertility gap, cioè il divario tra i figli desiderati e i figli avuti. In tutto il mondo occidentale vorremmo più figli di quelli che facciamo. Quando si ragiona di demografia bisognerebbe sempre mettere al centro della discussione la scelta degli individui di fare figli e la necessità che lo Stato sostenga questo tipo di scelta.
In cerca delle cause
Non è facile stabilire quali siano le politiche da adottare perché non c’è accordo sulle cause di questo calo di fertilità. Le molte ricerche in questo campo non arrivano a risultati univoci, soprattutto sui rapporti causa-effetto.
Di sicuro la famiglia allargata nella quale ci sono pochi anziani e molti bambini non è più la norma, e per una coppia di genitori con poco supporto è difficile crescere più di uno o due bambini. I matrimoni sono in calo un po’ dappertutto e sembra che famiglie meno vincolate siano anche meno fertili. Poi sono crollate le gravidanze indesiderate, e questo era esattamente lo scopo della diffusione di metodi contraccettivi o della legalizzazione dell’aborto, cioè permettere alle donne di avere figli soltanto quando li vogliono.
Inoltre, soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti, i genitori investono moltissimo sui figli. Quando i bambini fornivano manodopera non retribuita da usare nei campi o nelle terribili fabbriche della rivoluzione industriale inglese, averne tanti era un buon investimento anche per le famiglie più povere.
Ma se invece sui figli si investe per un periodo di formazione lunghissimo, fino all’università o magari al dottorato, è normale che pochi possano permettersi di fare un simile investimento su più di uno o due bambini.
Poi c’è il fatto che l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e l’apertura di nuove opportunità ha consentito di trovare altre opzioni possibili di realizzazione oltre alla maternità. Sposarsi e fare figli non è più un percorso obbligato: studio e carriera per le donne hanno anche dilatato nel tempo le scelte riproduttive, con inevitabili effetti sulla fertilità, che declina col passare degli anni.
Ma tutto questo è stato fortemente voluto dalle donne stesse. Infatti uno famoso studio del 1994 dell’economista Lant Pritchett ha riscontrato che la variabile con il maggiore potere predittivo sul numero di figli che una donna avrebbe avuto nella vita era il numero di figli che voleva avere.
Insomma, forse le donne fanno meno figli perché – semplicemente – vogliono farne meno e non essere schiacciate sul ruolo di madri per tutta la fase centrale della loro vita. Attenzione, questo vale in aggregato, anche se ciascuno di noi conosce qualche donna a cui questo ragionamento non si applica. Ma le statistiche rivelano una sorta di volontà collettiva, della quale i singoli individui possono essere persino inconsapevoli.
A seconda di quale causa si identifica come preminente, e di quale schema valoriale si applichi alla questione, le risposte in termini di politiche pubbliche possono essere molto diverse.
Alessandra Minello è una ricercatrice in Demografia all’Università di Padova, con Tommaso Nannicini ha pubblicato per Feltrinelli Genitori alla pari. Cosa abbiamo imparato dagli studi sulle politiche di sostegno alla natalità in giro per l’Europa? Cosa funziona e cosa no?
Per quanto siamo abituati a sentire parlare di politiche pronataliste, dobbiamo essere consapevoli che queste agiscono poco sulla fecondità. Possono avere effetti indiretti, ad esempio se aumenta la partecipazione femminile al mercato del lavoro, aumenterà anche se di poco la fecondità, ma effetti diretti è difficile vederne. Ad esempio, anche nel nostro Paese l’aumento dei fondi agli asili nido non ha un effetto diretto sull’aumento della fecondità.
In questo momento agire con una politica unica che vada a aumentare la fecondità non è più efficace. C’è bisogno di agire in maniera complessiva mettendo le famiglie nella condizione di maggior possibile benessere e vedere se poi questo eventualmente riduce il fertility gap, ovvero la distanza tra il numero di figli desiderato e il numero di figli realizzato. Ma dobbiamo anche tenere conto che c’è un numero crescente di persone che figli non ne desidera.
La bassa natalità è un imprevisto, un problema da correggere, o è l’effetto in qualche modo voluto e necessario del progressivo ingresso delle donne nel mercato del lavoro e del loro graduale, ancora incompiuto, percorso verso una parità in termini di carriera e compensi con gli uomini?
La bassa natalità è un dato di fatto. In parte è dovuta al restringersi delle coorti di potenziali genitori e genitrici, come conseguenza della bassa natalità delle generazioni precedenti. Poi c’è una fecondità che si sta abbassando, quindi un numero di figli per donna più basso, che vediamo in Italia ma anche in altri contesti in cui potenzialmente ci sono tutte le risorse dal punto di vista economico e culturale perché invece la fecondità venga realizzata.
Verso un nuovo equilibrio
Non ci sono soluzioni facili, neanche immaginando uno spettro di possibili politiche drastiche che vadano dal vietare l’aborto – come chiedono sempre più conservatori negli Stati Uniti – a lasciar entrare più immigrati. Se le persone fanno meno figli perché ne vogliono meno, è difficile convincerle a fare diversamente.
C’è quindi una comprensibile tentazione di abbandonarsi al pessimismo catastrofista: forse abbiamo costruito un modello di sviluppo e un’idea di progresso che porta all’estinzione? Il desiderio di aumentare i consumi combinato con l’idea di una parità tra uomini e donne e un approccio liberale che favorisce l’autodeterminazione produce società libere, aperte ma condannate all’estinzione?
Di sicuro dobbiamo attrezzarci per i decenni che ci aspettano, perché sarà molto complesso gestire società con anziani ultranovantenni bisognosi di costose cure e assistenza pagata dai redditi generati da pochissimi lavoratori attivi. Ma non dobbiamo fare lo stesso errore di Malthus e di immaginare che alcune variabili siano fisse e immutabili. Malthus non aveva considerato l’aumento della produttività dovuto alla tecnologia: la Terra oggi sfama oltre 8 miliardi di persone, 7 miliardi in più che al tempo di Malthus, grazie a un’agricoltura più efficiente.
Così anche il calo demografico non è inevitabile, perché le variabili del contesto possono cambiare. Con meno persone, e meno bambini, tra qualche anno i prezzi delle case crolleranno, città oggi inavvicinabili come Milano o Londra torneranno alla portata di giovani coppie, non sarà un problema trovare posto negli asili nido comunali, i salari saranno più alti per mancanza di lavoratori, i datori di lavoro non potranno permettersi di discriminare le neomamme, ci saranno nonni e bisnonni ancora attivi per molti anni pronti a fornire una qualche forma inedita di welfare familiare intergenerazionale.
La crisi climatica forse sembrerà meno inevitabile, visto che il numero degli inquinatori si ridurrà. E allora, forse, come nel finale ottimistico di certi film apocalittici hollywoodiani, torneranno a nascere più bambini di oggi.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 2 gennaio 2025
Fecondità! Natalità! Decremento! Demografia! Fertility gap! Il picco! Lo spopolamento! Il clima! La forza lavoro! I migranti! Ma si sta parlando di fare l’amore o di cosa altro? “Amore ti amo! Facciamo un figlio?” “Amore voglio un figlio tuo!” I figli nascono dall’amore tra un uomo e una donna. Se non nascono vuol dire che Amore è andato via! Finito! Puf! Svanito. E cosa succede allora? I generi finiscono per ignorarsi. L’uomo si orienta verso uomini. E le donne comprano Toy boy o cercano altre donne. I figli? Se servono nascano in provetta! Banche dello sperma, banche di ovuli, inseminazione artificiale, uteri robotici e incubatrici iper tecnologiche. Eugenetica, selezione e automazione. Deumanizzazione e sterilizzazione di un processo creativo totalmente artificiale. Uomini utili solo se castrati e donne alfa per dominare il mondo. Piu’ macchine, silicio, litio, indio, scandio, ittrio, lantanio, cerio e ogni elemento raro per costruirne sempre più autonome e intelligenti. Computer quantistici, satelli artificiali, automobili a guida automatica, droni, animali clonati e tanto altro. Spazio per figli? Nessuno! Il concetto di figlio, di discendenza, di generazione o etnia e gia’ obsoleto oggi. Se nei wikipidia del futuro si cercherà la parola “amore” leggeremo solo “sinonimo di Eros, divinita’ pagana di era post paleolitica.
La ragione del crollo delle nascite è unicamente l’ipergamia femminile.
Il femminismo e l’emancipazione delle donne, le hanno portate a poter avere rapporti liberi con più e più partner nella vita. Ciò comporta, da parte della femmina, un continuo tentativo di scegliere il partner migliore.
Lo vuole la natura.
Così gli anni passano, le femmine si accoppiano liberamente con la ristretta fetta di uomini di bell’aspetto e la stragrande maggioranza degli uomini (a posto economicamente e che vorrebbe figli) resta a guardare senza poter fare nulla.
Le motivazioni economiche sono ridicole, grottesche; anzi, proprio nelle società più povere si fanno più figli!
Ora invece è valido il contrario: le ragazze sono troppo benestanti e non necessitano di legarsi ad un uomo per poter campare.
Detto questo, ben venga un calo demografico mondiale.
Scusi, ma cosa le salta in mente??
Solo le ragazze cercherebbero continuamente partner migliori, e questi ultimi invece cosa cercherebbero?
Cosa c’ entra se le ragazze hanno una autonomia economica, la quale può essere solo positiva dato che con un solo stipendio spesso non si vive.
E poi cosa dovrebbero fare? Legarsi ad un uomo per ragioni economiche?
La sua analisi mi sembra un capolavoro di ” fuorezza”
La denatalità trova le sue cause principalmente nella mancanza di lavoro per molti giovani anche validamente qualificati: ne sanno qualcosa i tanti che lasciano l’Italia per stabilirsi in Paesi che offrono migliori opportunità. Niente lavoro, niente figli: logico e giusto. Per quanto riguarda le donne, è più che giusto che pensino prima di tutto a studiare e rendersi autonome. La maternità non è l’unico modo in cui una donna può realizzarsi e non è un obbligo, ma una scelta eventuale da prendere in maniera ben ponderata. Resta fermo il diritto delle donne di decidere in materia di riproduzione, sia tramite i metodi contraccettivi sia mediante la legge che riconosce il loro inviolabile diritto di decidere se portare avanti o interrompere una gravidanza.
La denatalità è un fenomeno che non si può banalizzare come imputabile alla mera questione lavorativa ed economica, ne è riprova il fatto che paesi ricchi dove il collocamento non è problema, per di più con welfare straordinari, vivono il problema in modo dirompente (Svezia, Norvegia, Giappone, etc…).
Donne e uomini hanno diritti e doveri nei confronti della società al tempo stesso pari, ma differenti; non si possono rimuovere prerogative e singolarità per le quali gli uni non possono sovrapporsi pienamente alle altre e vice versa. La diversità è una ricchezza che il femminismo stoico fa di tutto per perdere; essa, la diversità, implica che alcuni diritti siano differenti, come ad esempio quello dell’interruzione di gravidanza, che è chiaramente femminile e non potrà mai essere maschile, giusto? Su quest’ultimo tema sono d’accordo con quanto dice, seppure Lei rimuove un tratto se vogliamo romantico: l’avere un figlio non si può ricondurre ad un qualcosa di esclusivamente meccanico. Voglio sperare che sia un desiderio che coinvolge due persone in modo eguale, perché senza l’una e senza l’altro esso non può concretizzarsi; il fatto che la gestazione sia condotta dalla donna la pone certamente in una posizione centrale, è oggettivo, nella quale vi sono diritti imprescindibili, peculiari del genere femminile. Generalmente ci sono diritti speculari tra i generi ed altri peculiari di ogni genere. Vi sono al pari prerogative, capacità, modalità differenti che vanno rispettate, valorizzate, non negate.
Inviolabile diritto di uccidere il bambino che porta in grembo? Siamo al “diritto” di vita o di morte del figlio da parte della madre? Allora vuol dire che siamo ritornati all’antico paganesimo.
Anche:
E considerare che nel mondo la specie umana sta debordando?
E considerare che paesi ultrabitati forse possono avvalersi della riduzione delle nascite( come avviene per ogni specie)?
E considerare che guardare il mondo solo dalla prospettiva anglo-europea é l’ultimo capitolo del vecchio e caro colonialismo?
” Con meno persone, e meno bambini, tra qualche anno i prezzi delle case crolleranno, città oggi inavvicinabili come Milano o Londra torneranno alla portata di giovani coppie,”
Anche qua sulla base di quale dato? Al contrario, data il loro numero ridotto i giovani sono costretti a spostarsi in massa nelle città in grado di offrire maggiori opportunità economiche e sociali, già oggi è vero che si abbassano i prezzi delle case in periferia o in campagna (ogni anno aumenta il numero di borghi abbandonati) ma si alzano vistosamente quelli dei grandi centri urbani. Articolo un po’ meh…
I salari saranno tenuti bassi dall’aumento dei sistemi di automazione. E non solo per i blue collar, anche i posti più prestigiosi risentiranno dell’impatto delle AI. Basti pensare a quello che è successo con lo sviluppo dei traduttori automatici.
La denatalità è solo uno dei tanti frutti avvelenati di oltre 45 anni di aborti legalizzati.
In Polonia l’aborto è praticamente illegale e anche lì hanno problemi di denatalitá
Se in Italia, dal 1978, si sono effettuati più di 6 (sei) milioni di aborti, significa che sono mancati sei milioni di cittadini. Molti dei quali sarebbero a loro volta stati padri e madri di altri cittadini. Ma forse hai ragione tu e tutto questo non c’entra nulla con il calo delle nascite e la diminuzione del numero di cittadini che, evidentemente, resta un mistero imperscrutabile.
Uno ha fatto la prova contraria* abolendo l’aborto e vietando la contraccezione aumentare la natalità, ed a parte un breve picco delle nascite ha fallito miseramente.
È la storia del decreto 770 della Romania di Ceasescu
Ma la demografia è un corpaccione molto lento, è praticamente impossibile che alcuni interventi randm abbiano risultati immediati. Il calo delle nascite attuale è il risultato delle politice demografiche degli ultimi decenni del ‘900. Credo faccia scuola soprattutto la Cina e i paesi dell’est hanno ovviamente subito il forte influsso del regime comunista sovietico, che più o meno ha adottato le stesse dinamiche di controllo.
Poi boh, non so se sia stato un bene o un male, mi pare però abbastanza assurdo non vedere nel calo delle nascite il risultato di politiche ben precise, di tipo (per capirci in modo un po’ rozzo) maltusiano.
Ma senza aborto in Italia avremmo almeno (stimato per difetto) 7,5 milioni di cittadini in più rispetto ad ora. È matematica.
Non sono molto d’accordo con l’ ultima affermazione per cui meno lavoratori, seguirebbe un aumento del salario.
In realtà sappiamo già che, nonostante i lavoratori ci siano ancora, i salari tendono al contrario a scendere nel potere di acquisto e questo nonostante ci sia anche una ricerca di lavoratori.
In realtà con lo sviluppo tecnologico servono sempre meno lavoratori, perchè sostituiti da macchine, al massimo servono 1 o 2 tecnici per aggiustarle o aggiornarle, ma non c’è spesa sull’ istruzione e soprattutto non c’è una politica del lavoro capace di intercettare le richieste e i bisogni di chi offre lavoro e di chi lo cerca.
Il vero problema globale è un estremo egocentrismo generale, che spinge l’ individuo a pensare solo a se, al proprio giardino di casa e se va bene giusto a quei pochi parenti prossimi e poi e poi, nemmeno a loro, visto che ora si ammazzano le mogli i figli ecc ecc… il punto è che in una società incapace di pensare agli altri, a un bene comune, dove conta solo tirare acqua al proprio mulino, non si può credere che ci sia spazio per gli altri, tanto meno per i figli che nemmeno esistono ancora, non sappiamo più nemmeno accogliere chi scappa dalla fame, e che lavorerebbe volentieri anche per pochi spicci, o magari frustato da qualche caporale, figuriamoci se si può mai pensare ai figli. Si può parlare di donne che possono abortire o di pochi asili, ma il vero punto è che c’è in giro una sottile aria cattiva che ispira le persone a farsi i cavoli propri, e il prossimo o è un fastidio oppure è un oggetto da usare finche non si rompe e si butta.
Articolo interessante, con dati e fonti. Buona ricostruzione. Come emerge dall’excursus il problema è complesso e, come tale, non è indagabile e risolvibile con le ricette semplici che Destra e sinistra, come ben tratteggia Feltri, propongono sulla stregua delle proprie vetuste intenzioni ideologiche, ricette tanto irrilevanti ed inutili quanto irritanti per la sciocca leggerezza e la convinzione con cui vengono propagandate.
Sì, si tratta di propaganda. La soluzione non è alla portata dei politici e dei loro tecnici, che non sono mai i migliori; ci vogliono fisici, matematici, informatici, sociologi, psicologi di livello; serve visione, servono politiche non fini alla vittoria all’elezione dietro l’angolo. In soldoni necessitiamo di statisti, veri politici appassionati. Non ce ne sono.
Eccepisco a Feltri il fatto di dare un carico di responsabilità troppo forte alle donne, nel merito. Il problema complesso è un combinato disposto che include sì l’emancipazione femminile, ma soprattutto, per quanto riguarda l’Occidente, il benessere, che si vuole godere con intensità più che si possa, tra viaggi, serate, palestre, corsi, etc.., per scoprire ad oltre quarant’anni di aver voglia di proliferare per dar senso di prosecuzione a sé stessi ed a quanto creato materialmente. Peccato però che a quell’età si rientri nel novero delle lotterie perché la fertilità della donna, ma anche dell’uomo, è ineziale rispetto a quella dei vent’anni. Si matura il desiderio di concepire troppo vecchi.
Aggiungiamo il non facile percorso nel trovare posto all’interno della società: lavori bassamente remunerati, necessità di spostarsi per trovare un minimo di dignità, obbligo di qualificarsi in continuazione in questa rincorsa continua a divenire non si sa che cosa. Si approccia il mondo del lavoro tardi, dopo il percorso universitario, che andrebbe riformato nella sua struttura perché dispersivo e inutilmente lungo, dopo master, dopo altri corsi di perfezionamento, stage, tirocini e chi più ne ha più ne metta. Prima di avere un impiego dignitoso si arriva ad almeno trent’anni; poi c’è il problema casa.
Non si tratta quindi di sole questioni economiche, ma più generalmente di un falso desiderio di libertà per vivere appieno la ricchezza, di una società mai statica nelle sue dinamiche, che non contempla la certezza delle consuetudini, a differenza del passato, inoltre di un cronoprogramma infinito; questo percorso è estremamente faticoso, forse proprio per questa fatica il desiderio dei figli si manifesta nel momento in cui si ha un po’ di tregua, ma questa tregua arriva quando per moltissimi, la maggior parte, è già troppo tardi.
Secondo me c’è poca speranza nel futuro. Gli scenari futuri sono inquietanti. Perché mettere al mondo figli se il loro futuro sarà infelice tra eventi climatici fuori controllo e autocrazie bellicose pronte alla guerra?
Articolo molto interessante. Manca qualcosa. Prima di indicarlo, copio quello che diceva Giovanni Paolo II al Parlamento Italiano il 14 novembre 2002 nel lungo discorso, in cui toccava anche questo tema. “Non posso sottacere, in una così solenne circostanza, un’altra grave minaccia che pesa sul futuro di questo Paese, condizionando già oggi la sua vita e le sue possibilità di sviluppo. Mi riferisco alla crisi delle nascite, al declino demografico e all’invecchiamento della popolazione. La cruda evidenza delle cifre costringe a prendere atto dei problemi umani, sociali ed economici che questa crisi inevitabilmente porrà all’Italia nei prossimi decenni, ma soprattutto stimola – anzi, oso dire, obbliga – i cittadini ad un impegno responsabile e convergente, per favorire una netta inversione di tendenza”. Così è evidente che almeno dal 2002 nulla o poco è stato fatto e ai nostri governi NON interessa intervenire per davvero. E qui indico cosa manca a mio avviso. Sarebbe utile che articoli di analisi sul calo demografico, indichino delle misure concrete e coordinate che potrebbero aiutare un’inversione di tendenza. Mi sembra che questo serva: mostrare la fattibilità di interventi possibili, sostenibili economicamente, magari guardando ad esperienze straniere o del passato. In alternativa, gli economisti (che ci stanno a fare, altrimenti????) dovrebbero dire con quali misure CONCRETE e POSSIBILI, il calo delle nascite potrebbe convivere con la sostenibilità del sistema lavoro e del sistema pensionistico.
Malthus. Ferguson, Eberstadt, Voltolina, etc.
La deve dichiarare Giovanni Di Simone la vera concreta ragione del calo globale delle nascite. Semplice. La meccanizzazione agricola. Nel senso che nel mondo medievale una profusione di figli era necessario affinché lavorassero in campagna e la madre non era altro che una produttrice di trattorini agricoli per procurare braccia per l’agricoltura. Ora questa necessità economica è sorpassata con la rivoluzione industriale e, per fredda e cruda Anima dell’Uomo, intrinsecamente, i figli non hanno lo stesso valore di prospettiva del mondo contadino perché persino sostituiti anche dai robots se già prima dai motori. Tutte le altre analisi sono sociologicamente aria fresca .