L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace offre una chiave di lettura alla tragica fine di Simona, la ragazza sbranata da un branco di cani selvatici.
Catanzaro, 29 agosto
Morire a vent’anni sbranata da cani randagi, è un evento terribile, tanto più che la ventenne era andata in zona per preparare una successiva escursione di gruppo.
Il primo sentimento è di orrore per la morte tragica di una giovane e di solidarietà con tutti i sopravvissuti. Il mistero della morte diviene mysterium iniquitatis, anche perché ci fa interrogare sul rapporto uomo e animali, particolarmente con quelli che l’essere umano ha fatto diventare parte integrante della vita quotidiana e che hanno provocato una vera e propria divaricazione tra eletti alla domesticazione e destinati al branco del randagismo, in un contesto ambientale che non riesce a garantire il monitoraggio veterinario e i minimi esistenziali di sopravvivenza per i randagi.
La fame da lupi porta esseri percettivi ma non razionali a fare branco e assalire chi è diventato, piuttosto che preda, un nemico.
Le ferite mortali inerte a questa nostra ragazza sono anche la messa a nudo tragica dei nostri ritardi, delle nostre inadempienze. Ma soprattutto sono il grido della natura a riequilibrare i rapporti e i valori.
Riposa in pace, cara Simona, strappata prematuramente ai tuoi cari e ai tuoi amici. La tua fine sia per noi, poveri sopravvissuti, un appello all’ecologia integrale.