Sappiamo tutti molto bene che la pandemia del Coronavirus è una minaccia, che ci provoca insicurezza e paura. Questo non ha bisogno di molte spiegazioni. Lo stiamo vivendo. Ma questo non è solo ciò che stiamo vivendo. Oltre alla minaccia, forse con più forza di questa stessa minaccia, stiamo sperimentando anche un’esperienza che ci umanizza.
La minaccia è così evidente che tutti la percepiamo in modo palpabile. L’umanizzazione, d’altra parte, non è così chiara. Perché siamo in troppi a non renderci neanche conto del dislivello così profondo di disumanizzazione che stiamo vivendo. E non è un problema di buoni e cattivi. È un problema culturale.
Siamo nati, siamo cresciuti e viviamo in una società ed in una cultura che ci instilla, persino nelle vene di questa società e di questa cultura, la naturale e spontanea convinzione che ciò che conta nella vita è guadagnare denaro ed essere importanti. Perché questi sono i pilastri su cui è costruito – secondo molti – ciò che deve interessarci tutti. Vivere in modo solido e sicuro. E avere i mezzi più efficaci per farlo il meglio possibile.
Ossia, è un progetto di vita in cui il soggetto ha il proprio centro in se stesso. E il centro della vita sta in se stesso. Un progetto di vita che si nutre dell’economia, della politica, della religione, del lavoro che ognuno ha, della famiglia in cui nasce, dei parenti che ama tanto o di cui si vergogna. Tutto, tutto, assolutamente tutto al servizio del mio buon vivere. E colui che rimane indietro, affretti il passo.
In questa società e in questa cultura siamo nati, siamo stati educati e tutto il resto è organizzato al servizio di questo progetto di vita. Non sto dicendo che tutti i cittadini siano così e vivano così. Né possono essere così. Perché la conseguenza più forte che deriva da quanto detto è proprio la disuguaglianza. In questa società, nella quale le libertà sono così importanti, il pesce grosso inevitabilmente si mangia il pesce piccolo. E la conseguenza è che ogni giorno sempre di più l’economia, la ricchezza ed il benessere si stanno concentrando nelle mani di sempre meno privilegiati. Mentre i più sfortunati crescono e crescono in sempre più grande abbandono. In modo che quelli che vivono meglio sono sempre meno, mentre aumentano i derelitti, al punto che ci portiamo le mani alla testa perché in Spagna a causa del virus sono morte trenta persone lo stesso giorno in cui nel cosiddetto “terzo mondo” ne sono morte trentamila di fame e di miseria.
Questo non ha né testa né coda. E noi sconvolti dalla pandemia! Il che è perfettamente comprensibile. Ma arrivo a dire che la pandemia ha qualcosa di positivo: è venuta a dirci che dobbiamo ripensare – e ripensare molto a fondo – quale cultura, quale società, quale economia, quale politica, quali valori, quale diritto, quale religione… quale forma per vivere (insomma) abbiamo organizzato, persino la cosa più naturale del mondo, quando in realtà questo è la disumanizzazione più selvaggia che sia stato possibile inventare. E altrimenti, come si spiega che c’è tanta gente che preferisce una festa, una bottiglia o una baldoria in discoteca, anche se questo le costa andarsene infestata dal virus che spaventa noi tutti?
E ora – a dire il vero –, siccome ho dedicato la mia vita alla religione e alla teologia, mi chiedo (impressionato e anche spaventato) come sia possibile che in questo panorama ci siano così tanti chierici (retrogradi e progressisti, di destra, di centro e di sinistra) che si mettono a spiegare il Vangelo e non so cosa dicono, ma di fatto troppe persone escono dalla Chiesa più tranquille in coscienza, ma pensando come pensavano prima del sermone.
Giustamente è stato detto che «non ci si deve più fidare dell’esperienza religiosa di tutti noi». E non ci si deve fidare, perché ci rafforza nella convinzione che ciò che conta è che la pandemia finisca e che si recuperino la bella vita e il lusso. E le centinaia di milioni che muoiono di fame si arrangino come possono. Ma non vengano qui a disturbare. E mi chiedo: con questa religione e questa spiegazione del Vangelo dove andiamo? Nemmeno la terribile disgrazia della pandemia modifica il nostro modo di pensare con riferimento a ciò che ci umanizza. E a ciò che ci disumanizza.
Il futuro è chiaro: usciremo dalla pandemia. Ciò da cui temo non usciremo è dal nostro modo di pensare e di vivere l’importanza del denaro e il recupero del vivere bene. E non importa che i più infelici siano sempre più infelici ogni giorno.
- Articolo pubblicato lo scorso 20 agosto 2020 nel blog dell’autore in Religión Digital (www.religiondigital.com). Traduzione italiana a cura di Lorenzo Tommaselli.