A un anno dall’incendio il cantiere di ricostruzione della cattedrale parigina Notre-Dame si è fermato per l’emergenza del Covid-19. Fra le molte e fantasiose ipotesi del restauro un dibattito sul giornale cattolico La Croix ha sintetizzato con tre voci i possibili esiti: una precisa ripresa del pre-esistente come chiesa cattolica; la trasformazione museale del territorio viciniore; la cessione del manufatto al turismo e alla simbolica statuale.
Le ore cruciali
Il racconto di quella giornata (15 aprile 2019) inizia con un malinteso degli addetti alla cattedrale: il segnale di incendio (18.18) viene falsamente localizzato e rimosso come falso allarme. Il fuoco lavora i materiali del cantiere di restauro, il tetto della cuspide e aggredisce via via gli elementi più infiammabili per oltre mezzora prima di essere avvertito. La colonna di fumo nero del tetto diventa fiamma viva e alla 19.06 la guglia maggiore cede di schianto con la straordinaria carpenteria lignea chiamata “la foresta” rovinando sul pavimento interno.
La fortunata assenza di una buona parte delle statue e il coraggioso prelievo degli elementi più preziosi all’interno avviene dentro fiumi d’acqua che i pompieri utilizzano per raffreddare le pareti e l’impalcatura di restauro. Per evitare il collasso delle torri gli addetti arrivano alla cella campanaria il cui crollo avrebbe significato il cedimento strutturale di gran parte dell’edificio. La temperatura nel cuore dell’incendio sale a 700-800 gradi. Alle 23, nonostante la grande nube nera che sovrasta la città, i responsabilità tirano un sospiro di sollievo: la cattedrale è profondamente ferita, ma salva. Il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, si affaccia sulla piazza e in televisione annuncia la volontà di ricostruire il tutto entro cinque anni.
Su Settimananews abbiamo dato nota delle emozioni, dello smarrimento e delle inquietudini di quei giorni («Notre-Dame»; «La reliquia dei post-moderni»). La folla che si accalcava nei dintorni, la comunicazione mediale in Francia e nell’intero globo alimenta improbabili voci complottiste, interpretazioni apocalittiche, tormenti ecclesiali. Chi sogna la riapertura (si udrà di nuovo il campanone, suonerà il grande organo, torneranno le liturgie); chi sottolinea il fondo religioso che emerge sotto l’interesse culturale e nazionale; chi ammette una perdita simbolica per una Chiesa che nei decenni e secoli ha perso ben più che un edificio.
I materiali e il significato
I restauri fin’ora avviati hanno mostrato la straordinaria solidità della cattedrale, la tenuta del materiale murario nonostante l’altissima temperatura, la robustezza dell’intelaiatura delle vetrate e dei vetri, la composizione variegata dei legni della “foresta”, l’utilizzo massiccio del ferro e dei metalli.
Come tutte le chiese francesi costruite prima del 1905 la cattedrale è proprietà dello stato, condivisa con la città di Parigi, anche se concessa in perpetuo al culto cattolico. Costruita alla fine del XII costituisce uno degli esempi migliori del gotico. Variamente modificata e allargata conobbe un particolare splendore con Luigi XIV. Fortemente danneggiata con la rivoluzione francese venne ricostruita nel XIX secolo diventando nei secoli il riferimento simbolico della monarchia prima e poi della nazione. Nel 1804 vi fu incoronato Napoleone, nel 1944 si cantò il Te Deum della vittoria, nel 1970 vi si celebrarono i funerali di C. De Gaulle e nel 1996 l’omaggio nazionale a F. Mitterand. Fino alla messa per le vittime degli attentati terroristici del 15 novembre 2015.
Chiesa, museo o simbolo civile?
Il dibattito urbanistico, architettonico e artistico ha quindi molte sponde e riferimenti e vive un contesto culturale che non si nega a innovazioni anche azzardate. In questo quadro si colloca il dibattito accennato all’inizio fra l’arcivescovo, mons. Michel Aupetit, l’architetto Jean.Marie Duthilleul, e lo storico Michel Pastoureau. Per il vescovo della città l’edificio è perenne memoria della dimensione trascendente dell’uomo, casa comune del popolo nelle occasioni più solenni, invito alla concordia civile.
La sua funzione essenziale è il riferimento al Dio cristiano e alla comunione fra gli uomini. Nella sua forma ricorda il mistero della croce e del suo messaggio di salvezza universale. «Quale cattedrale per il XXI secolo? Quella che è sempre stata, per il significato della sua costruzione: la lode di Dio e la salvezza degli uomini. Se non resta fedele a se stessa, perderà la propria anima».
L’architetto Duthilleul evidenzia la volontà dei suoi costruttori di sintetizzare la realtà della creazione e l’opportunità di renderla, al suo interno, libera, senza sedie e banchi, per il cammino del visitatore e del pellegrino. Il cantiere della ricostruzione dovrebbe allargarsi all’intero territorio circostante in un coraggioso progetto architettonico e urbano che valorizzi spazi museali coerenti per «uno scrigno a misura del gioiello che lo abita». Più radicale il pensiero dello storico Pastoureau.
L’ormai evidente impossibilità di coabitazione fra i credenti che pregano e i turisti che passano obbliga a una scelta. O si lasciano i turisti all’esterno (dove peraltro vi sono le opera d’arte più pregevoli) privilegiando il culto per l’interno, o si lascia allo stato il ruolo di riferimento simbolico dell’edificio e ai turisti il suo utilizzo, accettando che i fedeli si ritrovino altrove. Questo permetterebbe una rivisitazione significativa dell’interno e un coraggioso gesto architetturale capace di esprimere il simbolo della nuova vita dell’edificio.
Il Covid-19 allungherà i tempi e contribuirà a ridefinire il coagulo emotivo che l’incendio ha favorito: immagine della fine, angoscia indeterminata, valore estetico, religiosità laica. Una sorta di reliquia di un passato umanistico cristiano davanti all’ignoto che conosce i tratti della distruzione (incendio, virus) e l’attesa di un umano ancora ospitale.