Per l’uomo d’oggi e di tutti i tempi, credente e non credente, cristiano o no, il fenomeno del camminare, del pellegrinaggio, è sempre di grande attualità. L’essere pellegrino, in particolare, è intrinseco all’identità dei cristiani, «quelli della via» (At 9,2), quelli che camminano dietro a colui che propone se stesso come via da percorrere (Gv 14,6). In cammino è ogni uomo alla ricerca del “luogo del senso”: tra il simbolico e il sensibile, tra il reale e il virtuale, il camminare è paradigma dell’impegno a divenire se stessi. L’homo viator, pellegrino per vocazione, è l’inesausto cercatore di un incontro.
Su questo tema si è svolta la giornata di studio dal titolo “Quo vadis? Cammino, paradigma per Dio e per l’uomo” (15 dicembre 2020), promossa dal biennio di specializzazione della Facoltà teologica del Triveneto – Licenza in Teologia spirituale in collaborazione con la Licenza in Teologia pastorale –, con gli interventi del sociologo Enzo Pace, Giuseppe Milan (ordinario di pedagogia all’Università di Padova) e Lorenzo Voltolin (docente di comunicazione alla Facoltà teologica del Triveneto).
I cammini, vie larghe per riconoscersi
Enzo Pace (Cammini e cammino. Un fenomeno in crescita, analisi e lettura) ha mostrato come il fenomeno del pellegrinaggio attraversi tutte le grandi religioni mondiali e le epoche storiche e dica qualcosa sulla natura stessa della religione. Le pratiche di cammino, infatti, appaiono come un nucleo universale al di là dei confini delle religioni: si tratta di un fatto sociale.
Ci sono qua e là nel mondo, lungo le vie dei cammini, dei luoghi aperti e condivisi, anche se connotati dal punto di vista religioso, che rivelano la volontà di persone, anche di religioni diverse, di non dimenticare le radici e le tradizioni, di riscoprire e riappropriarsi di una memoria. I cammini di Santiago in Spagna o di sant’Olaf in Norvegia, per citarne un paio, sono “vie larghe” dove le persone sostengono una prova fisica e lo fanno insieme, per darsi coraggio nei passaggi difficili e farsi accompagnare nella fatica.
«Le vie antiche, luoghi di devozione secolare – ha spiegato il sociologo –, aprono a forme moderne del credere, al desiderio di riappropriarsi di parole, usate e abusate, della tradizione non rielaborandole concettualmente ma facendone esperienza diretta e lasciando riaffiorare l’interiorità». E in questa esperienza si lasciano coinvolgere tutti: credenti alla ricerca, credenti in mobilità, non credenti, credenti diversamente, credenti di altre fedi.
«La modernità dei cammini – ha spiegato Pace – sta nelle possibili, varie e impreviste combinazioni di tre dimensioni: corpo, mente-spirito, festa. Accanto alla prova fisica e al coltivare lo spirito, va posta la dimensione festiva – ha concluso – cioè l’esperienza del tempo liberato dal dominio dell’utile e dalla logica del calcolo, l’interruzione del tempo ordinario, e l’esperienza di una comunità di persone che si riconoscono per aver condiviso la prova fisico-spirituale del cammino».
L’homo viator e il viaggio educativo come ricerca del sé e dell’altro
Giuseppe Milan (Verso dove e per quale incontro. Il pellegrinaggio come itinerario della ricerca, del sé e dell’altro/Altro) ha affrontato il tema del cammino dall’angolatura pedagogica, evidenziando innanzitutto come la stessa domanda educativa chiede all’essere umano di essere “viator”, di uscire dal proprio spazio. Nel viaggio educativo la meta è il viaggio stesso: «Il cammino esistenziale, educativo – ha affermato – è autentico quando io lo abito e il cammino mi abita, quando incontro l’altro e l’altro mi abita: siamo mendicanti dell’incontro».
La nascita è la madre di ogni viaggio e l’educatore «è l’ostetrico che avvia il cammino intenzionale, dialogico, che dà vita al legame attraverso gli “interruttori dell’amore”; l’adulto è colui che rafforza l’autonomia e la progettualità di chi viene educato, allargandone lo spazio cognitivo, affettivo e sociale, e lo conduce a oltrepassarsi nel cammino di miglioramento».
L’esortazione educativa risveglia dal torpore, dall’assenza di domande e rimette nel cammino della ricerca, che è sempre incompiuto. «Il cammino educativo è difficile – ha sottolineato Milan –, conduce alla responsabilità, alla necessità di non restare spettatori di fronte al mondo ma di farci attori nella “dis-comfort zone”. L’educatore deve essere disponibile alla perdita delle certezze, a lasciare sempre una sedia vuota per ospitare l’imprevisto».
Ogni incontro autentico lascia un’eredità, un segno: insegna. «La lotta educativa – ha concluso – è incontro delle differenze per migliorare e creare tra di noi legami di umanità».
Viaggiare nel mondo web, il cammino virtuale come finzione
Lorenzo Voltolin (Viaggiare nel mondo web. Confronti tra viaggi paralleli. Nuovi interrogativi) ha letto il tema del viaggio alla luce delle moderne forme di comunicazione multimediale ponendo l’attenzione sulla struttura del mondo digitale e l’estetica virtuale.
«I linguaggi virtuali, con la loro struttura reticolare, immersiva e complessa – ha esordito –, vorrebbero essere il nuovo grande medium capace di riconfigurare l’esperienza dell’uomo, quindi anche il cammino».
I media digitali sono estensioni elettrificate dei sensi estetici e sostanzialmente essi tendono a proiettaree a far giungere le facoltà estetiche dell’umano oltre il “qui” e “ora”.
«I media digitali toccano il corpo e in questo sono molto simili al pellegrinaggio tradizionale, che si attua solo a partire dal corpo». Ma come e fino a che punto lo toccano? «La cosiddetta “rivoluzione digitale” si comprende solo superficialmente se la si intende come utilizzo di nuovi e più aggiornati strumenti – ha spiegato –. Essa piuttosto va a mutare il rapporto tra intra-corporeo e inter-corporeo, che viene mediato dall’elettricità. Come il pellegrinaggio tradizionalmente inteso ha sempre congiunto cammino del corpo (significante) con cammino dello spirito (significato), così i media digitali, in forza dell’elettricità, si muovono su una medesima grammatica di una correlazione tra “dentro” e “fuori”».
Ogni racconto – ha proseguito Voltolin – è un’opera di finzione letteraria nel senso che esso, libero dai soli intenti descrittivi e finalistici, soprattutto nella forma estetica dell’oralità, rimette in circolo cause, mezzi e fini, divenendo così un continuo produttore di senso. «Ciò accade anche nel racconto della storia della salvezza, che continuamente riconfigura gli eventi fondanti operando una finzione narrativa e producendo significati per la contemporaneità dell’uomo.
Se così non fosse, la Scrittura sarebbe legge, descrizione, definizione, quindi lettera morta. Il virtuale e i media digitali – ha concluso – indubbiamente hanno un potere riconfigurante: essi, facendo leva sulle facoltà estetiche, ovvero sul significante, riconfigurano rendendo percepibili esteticamente cause, mezzi e fini, producendo così significati per l’uomo contemporaneo».