I nuovi italiani e la morale

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I nuovi italiani fanno parte della società. E non si tratta di un elemento statico, tantomeno di un gruppo omogeneo: ci sono tanti individui che rappresentano le nuove generazioni e tanti tipi di morale. Esordisce così Youssef Sbai, sociologo dell’islam, al secondo appuntamento del ciclo “Dove va la morale? – Etica delle generazioni”, promosso a Padova da Facoltà teologica del Triveneto, Fondazione Lanza, Formazione all’impegno sociale e politico della diocesi di Padova.

Nel dialogo con Gaia De Vecchi, docente di teologia morale all’Università Cattolica di Milano, il sociologo ha evidenziato innanzitutto come la morale in Italia sia governata da fattori diversi quali il contesto geografico, il fattore politico, l’appartenenza religiosa: la morale – ha affermato – è complessa, al di là della questione dei nuovi italiani e delle loro generazioni.

Youssef Sbai: verso modelli globali di morale

Qualche dato: sono 826 mila gli alunni stranieri nel nostro paese e il 60% sono nati in Italia, quindi, al compimento dei 18 anni, diventeranno cittadini italiani. Nel 2017 i nuovi cittadini italiani sono stati 146.605.

«Questi individui – sottolinea Sbai – non hanno dato un taglio alla loro biografia e alla loro cultura, ma continuano a portare il fardello della loro origine; portano la loro complessità in una società complessa e il loro passaporto, sia il vecchio che il nuovo, non ci dà una chiave di lettura del codice morale del soggetto».

La morale al plurale degli italiani, l’interconnessione del mondo, la convivenza fra religioni e culture diverse, le origini diverse dei nuovi italiani sono tutti fattori che influenzano la morale.

Il sociologo individua quattro “ideal tipo” che inquadrano la reazione sociale di un individuo di origine straniera in un contesto spazio-temporale: il tradizionalista (crede nella morale della sua cultura d’origine); l’opportunista (crede nei valori morali della sua cultura d’origine e fa uso dei valori morali occidentali in alcuni casi); l’ibrido, che è il più diffuso (crede nei valori universali e li applica alla sua cultura d’origine); il secolarizzato (ha rotto i legami con la cultura d’origine). «Oggi fra i nuovi italiani più spesso della religione parla la libertà personale – afferma Sbai –, che è la nuova morale delle nuove generazioni».

Nuovi sono anche i canali di trasmissione dei valori morali: i social network, la musica, i raduni… «Stiamo andando verso dei modelli globali di morale – conclude il sociologo –. Non ci saranno più le morali italiana o musulmana o occidentale o civile, ma ci saranno dei nuovi modelli, che troveranno il loro percorso e il loro strumento di trasmissione tramite questi nuovi canali.

Il motore della convivenza dell’umanità rimane nella morale: quando c’è un codice morale condiviso – e nella globalizzazione questo diventa molto più forte –, allora possiamo guardare al futuro con un occhio di speranza».

Gaia De Vecchi: l’etica della com-prensione

«La differenza tra una società multiculturale (multireligiosa) e una società interculturale (interreligiosa) non è solo questione terminologica – interviene Gaia De Vecchi –. Si tratta della abissale differenza in cui “l’altro” è qualcosa di subìto o qualcuno di accettato; è l’abissale differenza tra il sopportare e il rispettare, tra lo standardizzare e il valorizzare, tra il giustapporre e l’integrare… Si tratta del modello di una società respingente verso quello di una società accogliente».

Indubbiamente il passaggio dal “multi” all’“inter” non può avvenire senza conoscenza reciproca (dove, tra l’altro, il conoscere il diverso aiuta il singolo a comprendere meglio se stesso e la propria identità).

È un passaggio che richiede forza, allenamento e anche uno stile, quello che Jacques Maritain definiva «umanesimo integrale».

«Occorre trasmettere ai ragazzi – afferma De Vecchi – quella conoscenza che porta al reciproco rispetto anche dove il valore non sia condiviso, ma solo semplicemente riconosciuto. L’educazione dovrà mirare all’“unitas multiplex”, che concretamente si tradurrà in atteggiamenti di accoglienza e capacità di decentrarsi».

Fondamentale è il ruolo della scuola e degli approcci pedagogici che possono essere messi in atto: dall’apprendimento cooperativo (cooperative learning) all’educazione fra pari (peereducation), dall’apprendimento del servizio (service learning) all’educazione alla cittadinanza globale (global citizenship).

«L’obiettivo, e il grande sforzo – conclude De Vecchi –, è l’etica della com-prensione: un’arte di vivere che richiede il grande sforzo di comprendere in modo disinteressato e non può aspettarsi alcuna reciprocità. Elementi fondamentali ne sono il ben pensare e l’introspezione, cioè l’autoesame permanente di sé. Se scopriamo che siamo tutti fallibili, fragili, insufficienti, allora possiamo scoprire di avere un reciproco bisogno di comprensione. L’autoesame critico ci permette di riconoscere e giudicare il nostro egocentrismo».

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