Calci, 5 maggio 2017
Parte il Giro d’Italia del centenario, ma parte sotto una cattiva stella. Mancherà alla partenza, e mancherà per sempre, Michele Scarponi, che sarebbe stato uno degli uomini più significativi della carovana. Un ex-vincitore diventato gregario di lusso, chiamato a fare il capitano dell’Astana per l’incidente occorso a Fabio Aru. E invece qualcosa di ben più grave, di irreparabile è successo all’esperto, forte e generoso atleta marchigiano, travolto da un automezzo mentre si allenava sulle strade di casa. Mancherà al Giro non solo un bravo corridore, ma un uomo onesto, simpatico, capace di portare allegria in corsa e fuori.
Senza Scarponi per sempre, senza Aru per questo giro che partiva dalla Sardegna apposta per lui, le italiche speranze sono tutte appese a Vincenzo Nibali, alla ricerca della terza vittoria al Giro che gli consentirebbe di eguagliare Bartali, Magni, Gimondi. Il siciliano è una delle poche note rosee di una corsa che sembra prediligere le tante sfumature del grigio.
Più grigio che rosa
Corsa grigia per la presenza (pardon, per l’assenza) di ciclisti italiani, 43 su 197 partenti, poco più di un quinto dell’intero lotto. Ancor più grigia per la latitanza di quella che è sempre stata una delle regioni leader del movimento ciclistico, con appena due toscani ai nastri di partenza: lo stagionato aretino Bennati e l’empolese Sbaragli; per restare in Toscana, nessun arrivo di tappa ma solo una partenza da Ponte a Ema, il paese di Bartali: un campione assoluto che avrebbe meritato un ben più adeguato ricordo.
Il grigio più cupo di un Giro che vorrebbe essere “d’Italia” si spalma sulle maglie delle due sole formazioni nostrane: la Bardiani-CSF (con doverosa menzione d’onore per allineare al via solo atleti italiani) e la Wilier Triestina-Selle Italia; nell’olimpo del ciclismo, che si chiama pro-tour, non abbiamo più una squadra che è una.
Un grigio incomprensibile offusca l’oro olimpico conquistato a Rio da Elia Viviani, estromesso da un assurdo ordine di scuderia proprio quando una bella volata al Tour di Romandia lo accreditava tra i possibili vincitori di tappa.
In Italia, meno d’Italia
La gamma dei grigi sarebbe incompleta senza parlare delle biciclette: sempre più tecnologiche, sempre più aerodinamiche, sempre più leggere (nei limiti del consentito), sempre più brutte (anche l’occhio vuole la sua parte!) e sempre meno italiane, per fabbricazione e per accessori. Come in tanti altri campi dell’industria, sono lontani i tempi in cui gli italici manufatti si imponevano nel mondo e soprattutto in America, dove bici da corsa era sinonimo di Italia; qualcosa di buono e di bello sopravvive, grazie ad alcuni artigiani diventati imprenditori coraggiosi, ma sono i marchi stranieri a farla da padrone.
Non ci resta che puntare tutto su Nibali che ha i numeri per arrivare a Milano in maglia rosa, essendo improbabili altri motivi di speranza, legati a qualche coraggioso capace di un traguardo di giornata: una sparata di Formolo, una volata di Modolo o un acuto di Battaglin, tre validi atleti allineati – guarda caso! – in squadre straniere.
Vincenzo Nibali, siciliano ciclisticamente sbocciato in Toscana alle pendici del San Baronto (autentica palestra del ciclismo minore), se la vedrà col forte scalatore colombiano Quintana, un indio che non molla mai, cresciuto a pane (poco) e salite (tante).
Dalla sua Nibali, che pure in montagna sa fare cose egregie, ha la miglior predisposizione per il cronometro, due tappe per un totale di sessanta chilometri. Come pure il fatto di trovare il primo arrivo in altura nella sua Sicilia, scalando l’Etna fino alla quota 1892 del rifugio Sapienza. Vincenzo, salvaci tu!
PS: Come se i nuvoloni grigi gravanti sul Giro non fossero bastati, eccone un altro che incupisce ancor più l’orizzonte: Pirazzi e Ruffoni della Bardiani-CSF non prendono il via perché risultati positivi all’antidoping. Sul Giro è notte fonda.