Pandemia: esodo o esilio?

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Con tutto il cuore desidero che queste povere considerazioni siano presto smentite dalla cronaca. E più avanti dalla storia.

Senza alcun argomento a sostegno, do voce semplicemente a una percezione, probabilmente dettata da una certa preferenza per un atteggiamento pessimista, non fosse che per il gusto di essere, appunto, smentito.

E la mia nuda impressione è che passeranno ancora molti mesi, temo anni, prima che si possano abbandonare i comportamenti individuali e collettivi che trattengano la diffusione del Covid-19. Pur tenendo conto che con l’anno prossimo si possa disporre di un vaccino, elemento che può fare differenza. Ma tenendo anche conto che i vaccini a contrasto dei Coronavirus possono esaurire a breve la loro efficacia.

Sento ripetutamente il linguaggio che descrive la nostra situazione attuale come “ritorno alla normalità”. Temo che questo sia atteggiamento ancora prematuro. Abbiamo già sperimentato la riapertura di attività che suppongono per sé stesse assembramento (tipo discoteche) e abbiamo dovuto in fretta (comunque tardi) chiamare “carta su”.

Stanno riaprendo le scuole e altre attività che ci devono vedere compatti nell’adozione di comportamenti prudenti per non dare l’avvio a una nuova fase di contagio diffuso.

Abbiamo certamente necessità (psicologica, sociale, economica) di una “fase 4”. Forse possiamo chiamarla, con un certo azzardo, “ripartenza”, ma non credo ancora “ritorno alla normalità”. La mascherina è parte ormai del nostro abbigliamento, corporeo e simbolico.

Se davvero i tempi di “attenzione” se non di “chiusura” sono ancora lunghi davanti a noi, allora quello che stiamo vivendo è interpretato meglio dalle metafore bibliche dell’esilio, piuttosto che da quelle dell’esodo (iniziato con grande forza simbolica a Quaresima).

«Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere» (Ger 14,18). Invoco “profeti” che ci aiutino a leggere il disegno salvifico di Dio nei frangenti di una storia dolorosa.

Sarà un altro Mosè o un altro Geremia? Quel Geremia che scriveva agli esiliati a Babilonia (cap. 29): «Così dice il Signore degli eserciti: Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie, e costoro abbiano figlie e figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro. (…) Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore –, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò. Mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; mi lascerò trovare da voi. Oracolo del Signore. Cambierò in meglio la vostra sorte e vi radunerò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho disperso. Oracolo del Signore. Vi ricondurrò nel luogo da dove vi ho fatto deportare».

«Costruite case e abitatele»: riorganizzare la città. «Piantate orti e mangiatene i frutti»: l’ambiente. «Prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie»: ripensare le relazioni.

L’invito di Mosè è quello di consumare la Pasqua in piedi, con i fianchi cinti, pronti al cammino di liberazione. L’invito di Geremia è quello di assestarsi nella condizione di esilio, senza tempio, senza culto e senza sacerdoti; certi di poter trovare il Signore se lo cerchiamo con il cuore anche senza riti.

Solo profeti, che esortano a vivere questa condizione “accomodata” nell’esilio conservando la nostalgia della condizione benedetta nella propria terra e nella libertà. E soprattutto mantenendo il popolo vigile per essere pronto a rispondere al momento nel quale il Signore appianerà la strada nel deserto, abbattendo i colli e appianando le valli, perché si possa finalmente “ripartire”.

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2 Commenti

  1. Roberto Mela 16 settembre 2020
  2. Giampaolo Centofanti 16 settembre 2020

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