Pandemia, salute e psiche

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La pandemia da Covid-19, sin dal suo esordio, non ha avuto eguale impatto sulle popolazioni del pianeta, da stato a stato, neppure nello stesso stato: in Italia – paese che ha il vanto di consentire ai suoi abitanti un’alta aspettativa di vita (seconda al mondo dopo il Giappone) -, le persone più avanti in età sono state colpite molto più duramente: una vera e propria strage.

Ma anche bambine e bambini, ossia le giovani generazioni, ne stanno risultando pesantemente segnate, a motivo delle negative ricadute sulla salute psicofisica complessiva, a causa, in particolare, della chiusura prolungata degli asili e delle scuole, col confinamento obbligato nelle abitazioni delle famiglie.

Parliamo di più di 8 milioni di piccoli le cui abitudini, il cui tempo, le cui relazioni e frequentazioni quotidiane – normalmente a scuola con i coetanei – sono state stravolte, interrompendo l’effetto di socializzazione. Siamo di fronte ad una inedita e sicuramente traumatica esperienza collettiva di deprivazione e di isolamento. Si pensi che le scuole non rimasero chiuse in Italia nemmeno nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Nessun paese al mondo era peraltro preparato e quindi attrezzato ad affrontare una sfida di questo tipo, non solo sul piano sanitario, bensì soprattutto relazionale e sociale.

Così, giocoforza e repentinamente, insegnamento e apprendimento – arti da sempre sviluppate “in presenza” – hanno preso a svolgersi “a distanza”, ciascun docente e discente, solo davanti al proprio PC, se dotato, almeno, della strumentazione e dei collegamenti adeguati. Dovremmo sapere infatti che l’11% delle famiglie italiane non dispone di connessioni internet efficaci.

A questo dato va aggiunta la costatazione che non tutte le abitazioni in cui vivono i nostri piccoli godono di condizioni sufficientemente raccolte per lo sviluppo della “didattica a distanza”, perché le case sono evidentemente assai diverse per dimensioni e per numero di abitanti, con spazi non sempre personalizzabili secondo le specifiche esigenze, specie quelle dei bambini. In molte situazioni, le stesse abitazioni si sono trasformate in ambienti di lavoro e in uffici, oltre che in “aule” scolastiche. Tutto questo aveva ed ha a che fare col reddito.

L’insieme di questi fattori, delle loro interazioni, del loro impatto sull’esistenza quotidiana delle persone piccole e grandi, a ridosso le une delle altre, ha generato fonti di stress intenso, continuo e prolungato per settimane e per mesi, alterando radicalmente gli equilibri preesistenti. Siamo ormai in grado di raccogliere osservazioni e primi studi al riguardo.

Gli effetti su bambini e ragazzi

Sono segnalati – dai servizi specialistici – significativi incrementi dei casi di irritabilità nei bambini al di sotto dei 6 anni, insieme ai disturbi del sonno (paura del buio, risvegli notturni, difficoltà di addormentamento) e disturbi d’ansia. Dai 6 ai 18 anni sono segnalate alterazione del ritmo veglia-sonno, aumento della instabilità emotiva, irritabilità appunto, disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia)[1].

Segnalato e ovviamente molto temuto da parte degli specialisti è pure il rilievo dell’aumento del consumo di sostanze psicotrope in grado di determinare dipendenza. Una analisi approfondita meriterebbe la condizione attraversata dai piccoli allievi con esigenze educative speciali.

I dati preliminari raccolti da uno studio dell’Istituto Gaslini-Università di Genova dal titolo Impatto psicologico e comportamentale sui bambini delle famiglie in Italia, condotto su 6.800 soggetti maggiorenni – di cui 3.245 genitori con figli minorenni – evidenziano come il confinamento “abbia determinato una condizione di stress molto diffusa, con ripercussioni significative a livello non solo della salute fisica, ma anche di quella emozionale e psichica dei genitori e dei bambini”.

Un analogo studio condotto in Cina direttamente su 1.241 bambini e adolescenti prima e dopo la chiusura delle scuole a causa della pandemia, ha rilevato nei minorenni un incremento consistente dei sintomi depressivi, delle lesioni auto-procurate, dei pensieri suicidi, ma anche dei veri e propri tentativi di suicidio.

I primi dati, sinora raccolti, confermano dunque quanto stiamo facilmente percependo: una situazione generalmente difficile di per sé per l’intera popolazione, diviene particolarmente drammatica quando investe bambine, bambini e adolescenti, vale a dire le generazioni che vanno incontro al futuro della nostra umanità.

Il vaccino e l’animo

Ora stiamo confidando negli effetti benefici della vaccinazione. Ma stiamo attenti: non esiste vaccino per curare l’equilibrio alterato della salute mentale. É necessario ed urgente mettere perciò a punto strategie, programmi, azioni per la salute globale di tutti e di ciascuno, a partire appunto dai più piccoli e fragili, con la consapevolezza che i servizi di salute mentale dell’età pediatrica e dell’adolescenza, da sé, non sono in grado di reggere l’impatto di una così diffusa sofferenza, anche se solo in una minoranza significativa di casi questa arriva alla evidenza clinica.

Viene da sé – specie alla luce dei dati che stanno chiaramente affiorando – chiedersi se, quando si è deciso di chiudere le scuole, sia stata fatta una seria e lungimirante valutazione della salute, in senso globale, dei piccoli, dei giovani e della popolazione, ossia se sono stati preventivamente considerati i rischi di un prolungato isolamento sociale.

Evidentemente non è andata così. In una economia specialistica e in una cultura parcellizzata delle competenze e dei saperi, probabilmente non poteva andare che in tal modo. Ma ben per questo dovremmo aver capito e imparato qualcosa.

Vivace è il dibattito al riguardo. Secondo Sara Gandini, epidemiologa e biostatistica della Statale di Milano, le ricerche mostrerebbero come il famoso indice RT non sia stato modificato dalla chiusura delle scuole[2].

Mentre altri epidemiologi sono tuttora decisamente contrari alla riapertura delle stesse. A mio modo di vedere la sintesi deve vedere impegnata una più ampia gamma di competenze. Lo specialismo ha mostrato tutti i propri limiti. L’ultima parola deve essere sempre più di una politica saggia, autenticamente interessata al bene comune, alla salute complessiva dei cittadini e al loro futuro, specie se piccoli e fragili.


[1] Emanuele Garoppo, Psiche, scuola e relazioni sociali: l’impatto del Covid-19 su bambini e adolescenti, «Sanità 24», 10 dicembre 2020.

[2] Sarah Numico, Chiudere o non chiudere la scuola? «SIR news»,17 marzo 20121

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