Non si può dire sorprendente, perché papa Francesco ci ha ormai abituato a molte sorprese nel suo spaziare, con mente e cuore di pastore, su tutto ciò che riguarda le persone e la società. Sta di fatto che il contenuto dell’intervista rilasciata al principale quotidiano sportivo italiano è denso di messaggi sia per il mondo dello sport, sia per la Chiesa e la società contemporanee.
Se la Chiesa ha da essere davvero in uscita, se nelle periferie dell’esistenza c’è terreno buono di semina e di raccolto per ciascun cristiano, ecco che il mondo dello sport davvero ci riguarda, non può non starci a cuore. Nella logica conciliare secondo cui la Chiesa, nella sua relazione con il mondo, ha sia da insegnare che da imparare.
Non è solo una questione di buon vicinato da parte della Chiesa né dovrebbe trattarsi, da parte del mondo dello sport, della ricerca di benedizioni a buon mercato.
Lo sport è parabola della vita, e la lettura degli aspetti atletici, agonistici, tecnici e sociali può rivelarsi preziosa occasione per verificare se la pratica sportiva è vissuta alla leggera o con passione e amore e, dal versante della fede, se essere cristiani è una mano di vernice data senza curarsi di quel che c’è sotto oppure qualcosa che incide sulla sostanza di quel che si fa e si è.
Le sette parole chiave
Il tipo di approccio col fenomeno sportivo è subito chiaro dalle sette parole chiave con cui si apre l’intervista: sette modi di essere non solo sportivi praticanti o comunque addetti a tutto ciò che si muove attorno al fenomeno sportivo, ma di concepire tutta la vita, le relazioni sociali, i vissuti ecclesiali.
Francesco parte da esempi calzanti presi dalle varie discipline per proporre un’etica che travalica l’ambito sportivo:
- la lealtà è lottare contro tutte le scorciatoie per raggiungere un risultato (e qui il messaggio si fa preciso e perfino impietoso nei confronto del doping);
- l’impegno è quello che aiuta a far fruttare i talenti di ogni sorta, ben sapendo che «Gesù è un allenatore esigente»;
- il sacrificio, un «termine che lo sport spartisce con la religione», è ciò che aiuta a vedere al di là della fatica;
- a proposito di inclusione, il papa ravvisa nelle Olimpiadi «una delle forme più alte di ecumenismo umano, di condivisione della fatica per un mondo migliore;
- lo spirito di gruppo accomuna molte discipline sportive e l’esperienza religiosa, perché «nessuno si salva da solo»;
- anche a proposito di ascesi papa Bergoglio collega aspetti agonistici e dimensione spirituale, perché scalare una montagna, immergersi negli abissi o attraversare gli oceani sono «tentativi per ricercare una dimensione diversa, più alta, meno abituale»;
- il riscatto è quello di «gente che non vuole farsi raccontare la vita, vuole vederla con i suoi occhi… è quella di certe vittorie che portano a commuoversi».
I campioni
L’aspetto emotivo, sentimentale e passionale emerge più volte quando il papa passa a rispondere alle numerose domande degli intervistatori, fino a farsi vibrante ricordando della vittoria nel campionato argentino del 1946 da parte della squadra del San Lorenzo, per cui faceva il tifo andando allo stadio insieme a tutta la famiglia con «la gioia, la felicità sul volto, l’adrenalina nel sangue».
Francesco racconta di aver giocato a calcio e anche a basket e di nutrire simpatie per il rugby, ma non cede alla tentazione di dichiararsi tifoso di singoli campioni.
Però ne cita tre emblematici per aspetti diversi: Gino Bartali, di cui ricorda l’impegno per salvare gli ebrei dalla barbarie nazista a proprio rischio e pericolo, «uno sportivo che ha lasciato il mondo un po’ meglio di come lo ha trovato»; il connazionale Maradona, di cui ricorda l’impegno per una fondazione benefica e afferma che «in campo è stato un poeta, un grande campione che ha regalato gioia a milioni di persone», senza dimenticare che «era anche un uomo molto fragile»; e Alex Zanardi, al quale mesi fa già aveva rivolto un pensiero e a partire dalla cui vicenda sottolinea l’importanza del movimento paralimpico che dà l’occasione di raccontare «storie di uomini e donne che hanno fatto delle disabilità l’arma di riscatto».
Dall’intervista emergono altri temi ricorrenti nel magistero di Francesco: l’amore per i poveri e la giustizia sociale. I poveri, così come spesso gli sportivi, «sono un esempio spettacolare di che cosa voglia dire non arrendersi… continuano a combattere per difendere la loro vita».
E proprio i poveri il papa li ritiene suoi personali maestri per affrontare la propria fragilità: «penso a tutti i poveri che dormono attorno al Colonnato di Piazza San Pietro: la loro resistenza è la mia ispirazione, la loro presenza è la mia protezione… dentro quella carne fragile e ferita, Dio si nasconde, anzi si manifesta, per suggerirmi lo schema di gioco vincente».
La forte sensibilità di Francesco per i problemi sociali emerge anche qui: richiamando la Fratelli tutti torna a precisare che «il mercato, da solo non risolve tutto», nonostante il «dogma di fede neoliberale» a causa del quale «il valore economico detta legge, nello sport come in tanti altri aspetti della nostra vita». Non senza ricordare che «abbiamo visto tutti nei mesi scorsi come la pandemia abbia evidenziato che non tutto si risolva con la libertà di mercato».
Lo sport come ascesi
Il Bergoglio sportivo è inseparabile dal Bergoglio uomo di fede. Oltre che nelle sette parole chiave con cui si apre l’intervista, il tema dell’ascesi e della spiritualità ritorna più volte nelle risposte, con alcune pertinenti citazioni bibliche a cominciare da san Paolo; da buon gesuita non dimentica sant’Ignazio di Loyola («esercizi, addestramenti, allenamenti… anche lo spirito, come il corpo, va allenato») e poi ricorda don Bosco e gli oratori salesiani, luoghi di uno sport che «incoraggia un giovane a dare il meglio di sé, a porsi un obiettivo da raggiungere, a non scoraggiarsi, a collaborare in un gruppo».
L’intuito psicologico di Bergoglio propone interessanti concetti sull’allenatore, senza il quale «non nasce un campione: occorre qualcuno che scommetta su di lui, che ci investa del tempo, che sappia intravedere possibilità che nemmeno lui immaginerebbe… occorre sapere parlare al cuore, motivare, correggere senza umiliare».
Forse gli animatori, i catechisti e gli educatori attivi nelle parrocchie e nelle associazioni cattoliche potrebbero trarre ottimi spunti per il loro servizio da queste pagine della Gazzetta dello Sport. E anche i preti giovani, che somigliano un po’ meno a quelli che un tempo andavano in campo a giocare partite vere per allacciare legami che duravano fuori dallo spogliatoio.