La Conferenza episcopale tedesca ha affidato la cura pastorale digitale a Elisabeth Keilmann per offrire assistenza agli atleti e alle atlete durante le Paralimpiadi di Tokyo. Questo compito viene promosso in collaborazione con gli assistenti pastorali della Chiesa protestante. In che modo si svolge questa assistenza e quali sono gli insegnamenti che si traggono da questa esperienza? Lo spiega Elisabeth Keilmann in questa intervista rilasciata a Carsten Kopp e trasmessa il 25 agosto scorso dall’emittente Dom Radio di Colonia. (Traduzione di p. Antonio Dall’Osto).
– Signora Keilmann, durante le Olmpiadi della scorsa estate a Tokyo, a causa del coronavirus, lei non ha potuto essere presente in Giappone. Lo stesso è avvenuta ora per le Paralimpiadi, in cui il contatto con gli atleti avviene in forma solo digitale. Cosa ha potuto offrire agli atleti paralimpici?
Come per gli atleti ai Giochi Olimpici, abbiamo preparato una tabella con indicati dei dati di contatto. Questi dati sono inseriti anche nella Guida della squadra per gli atleti con i relativi riferimenti ai colloqui personali e all’assistenza pastorale.
La domenica offriamo anche un servizio online. E, assieme al mio collega della Chiesa evangelica, abbiamo preparato dei testi per ogni giorno, come parole di benedizione o frasi tratte dalla Bibbia o anche una parola personale.
Siamo molto contenti di avere l’opportunità di poter renderli disponibili alla famiglia paralimpica tramite l’app del team. E, siccome non siamo presenti fisicamente, saranno il parroco cattolico e la coppia protestante ad essere disponibili sul posto per ogni evenienza.
– Cosa ha fornito agli atleti come accompagnamento?
Abbiamo inviato un video di saluto al team D delle Paralimpiadi presso la base olimpica di Wattenscheid. Sia noi sia i responsabili pastorali ci siamo presentati brevemente e ci siamo scambiati gli auguri.
– Le Paralimpiadi sono i momenti culminanti della vita degli atleti e delle atlete. In vista di questo evento essi si sono allenati a lungo concentrandosi su di esso. In questo modo è aumentata in loro la pressione per fornire una performance perfetta. Esiste in certo senso una ricetta su come gestire questa pressione o, meglio ancora, come usarla in modo positivo?
Sì, la competizione internazionale è forte e gli atleti si sono preparati a lungo e ovviamente ora vogliono anche vincere e dare il meglio di sé. Non so se esiste una ricetta, ma penso che diversi fattori giochino un ruolo importante. Non si tratta solo di essere ben preparati dal punto di vista sportivo per esibirsi bene, ma anche mentale. Ci vuole forza interiore e concentrazione. E penso anche all’importanza di saper credere in se stessi: ‘”Posso farcela. Farò del mio meglio”.
– Quanto è grande la differenza nel suo lavoro tra i Giochi Olimpici e quelli Paralimpici? Ne esiste una?
Non c’è alcuna differenza, né nella preparazione né nello svolgimento delle Paralimpiadi. E a questo punto vorrei nuovamente sottolineare la buona collaborazione con i miei colleghi protestanti, e anche con il DOSB (Ente federale sportivo e olimpico tedesco), e l’Associazione tedesca per gli sport delle persone con disabilità.
– Deve saper ascoltare per così dire le conversazioni che riguardano Dio e il mondo. E questo non si limita agli atleti. C’è di più, ossia la famiglia, ci sono gli allenatori, gli assistenti. Qual è la sua ricetta per trovare il rapporto giusto e appropriato?
Dipende sempre dalla situazione individuale. Per me è importante tenere presente tutta la persona. La persona sta al centro e io dedico molto tempo ad ascoltare e al fatto che sono lì per le persone: apprezzo il loro interesse per il loro sport, ma soprattutto per loro stessi quando si tratta di problemi di vita e di fede. La gamma è molto ampia: saper incoraggiare, confortare e condividere la gioia. Questo è importante per me.
– Che significato hanno i giochi per gli atleti che forse non sono così competitivi o per le persone con disabilità in generale?
Penso che lo sport paralimpico sia cresciuto di importanza di recente. E, al di là dello sport, credo che le Paralimpiadi possano anche fungere da modello. Gli sportivi mostrano ciò che c’è in loro, cosa è possibile e che va oltre lo sport. Per me, le Paralimpiadi hanno un potere simbolico di ottimismo e forse mostrano anche un’opportunità per promuovere l’uguaglianza in tutti i campi e sullo stesso piano. Naturalmente devono essere abbattute le barriere mentali e strutturali e saper mettere insieme persone in condizioni di vita diverse, perché ognuno è un essere prezioso!
– Creare condizioni di vita uguali per le persone con disabilità e quelle non disabili è un obiettivo che non è stato ancora sufficientemente raggiunto. E ora nei Giochi Paralimpici, gli atleti fanno vedere ciò che una persona è in grado di realizzare, con o senza disabilità. È forse questa un’occasione per crear la parità dei diritti anche al di fuori dello sport?
Sì, assolutamente. Lo sport è senza dubbio un aspetto importante della nostra società. E, poiché non si tratta solo di successi, riconoscimenti e motivazioni personali, ma anche del potenziale per l’inclusione delle persone con disabilità, questo offre una grande opportunità per l’uguaglianza in tutti gli ambiti della vita, sia nell’istruzione, nel lavoro e nel tempo libero. Lo sport ovviamente serve per accettare le nostre differenze e anche le nostre forze.
Ogni individuo è un essere speciale e unico con tutte le sue potenzialità e le sue debolezze. Ma io mi chiedo: chi è normale, cosa è normale in questo contesto? Credo che ogni persona abbia bisogno di essere percepita e valorizzata; i pregiudizi e l’esclusione devono essere ulteriormente abbattuti. Per me sono importanti la tolleranza, l’onestà, l’apertura e il rispetto reciproco.