In vista della Giornata Mondiale dei Poveri (domenica 14 novembre), intervistiamo Walter Nanni: sociologo, capo ufficio studi di Caritas Italiana. Con Federica De Lauso ha curato Oltre l’ostacolo, Rapporto 2021 su povertà ed esclusione sociale (qui). Le domande sono a cura di Giordano Cavallari.
- Caro Walter, raccontaci brevemente come ti stai prendendo cura del Rapporto delle povertà della Caritas, ormai da anni.
I miei primi dieci anni di lavoro di ricerca sociologica sono stati dedicati a diversi Enti: oltre a Caritas Italiana, Fondazione Zancan, altre fondazioni e associazioni. Nel 2003 sono entrato nella struttura. Conterò quindi, tra due anni, i miei 30 anni in Caritas.
In questo tempo lungo ho avuto modo di occuparmi di tutti i rapporti pubblicati da Caritas Italiana sulla povertà in Italia. Il Rapporto 2021 è il 20° della serie. Ricordo che i primi lavori sono stati orientati ai temi del disagio sociale ed economico, ma non contenevano ancora dati ‘nostri’ originali: non eravamo allora in grado di documentare le attività caritative ecclesiali già peraltro molto diffuse.
Con l’organizzazione sempre più capillare del Centri di ascolto delle povertà Caritas e l’avvento e lo sviluppo della rete informatica, siamo ora, da un po’ di anni, in grado di presentare e commentare – col Rapporto – i dati provenienti da più di 2.600 Centri collegati in rete e distribuiti in tutte le Regioni italiane. Si tratta di qualcosa di unico nel contesto italiano. Consideriamo che non esiste nulla di analogo a livello nazionale che raccolga i dati dei servizi sociali comunali, titolari della assistenza sociale nel nostro Paese.
Possiamo dire inoltre che i nostri dati numerici provengono dall’ascolto di persone – in carne ed ossa – rivoltesi ai nostri Centri Caritas diocesani e parrocchiali. Ciò rende i dati o i numeri particolarmente ‘vivi’.
Le vite dietro i dati
- Da quando esistono dati di fonte Caritas?
Il primo rapporto contenente dati Caritas risale al 2012. In quel periodo si è lavorato molto per allestire, in tutte le diocesi, i Centri di ascolto delle povertà insieme agli Osservatori delle povertà, quale strategia pastorale integrata che vedeva nei Laboratori Caritas parrocchiali il perno del coinvolgimento delle comunità cristiane nel servizio dei poveri.
- Per presentare il Rapporto ti propongo di partire dal titolo: perché ‘Oltre l’ostacolo’?
Oltre l’ostacolo vuol essere un titolo che trasmette seria preoccupazione ma anche una certa positività cristiana. Il nostro Paese e la gente tutta ha dovuto affrontare nel 2020 un ostacolo assai alto sul proprio cammino, a motivo della pandemia. Chiaramente i poveri sono quelli che hanno fatto più fatica e continuano a fare più fatica a passare quello e tanti altri ostacoli nella loro vita. Ma molte persone – questo siamo a dire col Rapporto – anche con l’aiuto delle realtà Caritas del nostro Paese, ci sono riuscite o ci stanno riuscendo. E Questa è una buona notizia!
Con una metafora, si può dire che affrontare un ostacolo vuol dire misurare l’altezza dell’ostacolo, prendere la rincorsa, superarlo, cadere senza farsi male, rialzarsi e riprendere a camminare. I bei momenti dello sport italiano durante l’estate – specie nel corso delle paraolimpiadi – ci hanno suggerito l’icona del Rapporto.
Questo testo costituisce innanzi tutto una valutazione della misura dell’ostacolo: Caritas è in grado di dire che cosa ha rappresentato la pandemia in termini di difficoltà che i più poveri hanno dovuto affrontare, così come è in grado di dire quali interventi – affatto irrilevanti – sono stato messi in campo nella e dalla Chiesa italiana. Ovviamente non è finito nulla: restano tanti altri ostacoli, appunto, da superare, per molte persone.
Il Rapporto 2021 – come da consuetudine – fissa lo sguardo negli ‘occhi’ di alcune categorie umane che hanno particolarmente sofferto nel salto: gli occhi di chi ha subito l’usura, l’indebitamente, la crisi del turismo. Questi sono alcuni eloquenti titoli dei nostri capitoli.
- Quali dati sono stati incrociati?
Abbiamo analizzato due tipi di dati: i dati pubblici – soprattutto da fonte ISTAT e da Banca d’Italia – e i dati “nostri”, appunto, dai Centri di ascolto delle povertà: 3.300 Centri in totale, di cui 2.600 direttamente collegati in rete informatica a Caritas Italiana; a questi dati sono stati aggregati altri dati provenienti da diversi servizi assistenziali e/o di accoglienza gestiti o promossi dalle Caritas diocesane. Possiamo quindi parlare di 210.000 persone direttamente incontrate, ascoltate nei loro bisogni, servite, orientate, accompagnate.
- Riusciamo a dare un’idea delle proporzioni della povertà nel 2020 con qualche dato?
Nel corso del 2020, attraverso i Centri di ascolto delle povertà e delle realtà a cui ho accennato, sono state raggiunte – direttamente e indirettamente attraverso le rispettive famiglie – circa 2 milioni di persone: un numero enorme. Possiamo dire di un record, naturalmente un record assai preoccupante.
Sono state incontrate, ascoltate, servite, accompagnate, come ho detto, 210.000 persone. Lo possiamo ritenere un campione molto significativo. Il 44% di queste persone – questo il dato rilevante! – ha fatto riferimento per la prima volta nella propria vita ad un servizio della Caritas. Si tratta perciò dei cosiddetti nuovi poveri. Facile vedere in questo dato il riflesso degli effetti più immediati economici della pandemia. I poveri “cronici” – ossia quelli che si rivolgono abitualmente alla Caritas – costituiscono, nel mentre, il 27% del campione.
L’età media delle persone ascoltate risulta di 46 anni: anche questo è un dato in parziale controtendenza rispetto ai tempi precedenti la pandemia. Gli anziani over 65 sono solo il 10% del campione sociale, mentre, appunto, il 66% degli adulti è compreso tra i 35 e i 64 anni, ossia si tratta di persone in età attiva che si aspetterebbe fossero impegnate a lavorare, anziché rivolgersi alla Caritas. Questo dà già un’idea della dimensione della povertà rappresentata dalla Caritas: una ‘povertà assoluta’, ovvero un grave stato di indigenza.
Altro aspetto che risulta ben evidente dalla lettura dai dati è lo scarso capitale formativo di cui sono dotate queste persone: il 57% dei frequentanti i nostri Centri possiede al massimo la licenza di scuola media inferiore. Viene da sé chiedersi quale alto ostacolo debba affrontare una persona di 40 anni, dotata soltanto di terza media, nella sua ricerca di un lavoro e nella sua permanenza nel mondo del lavoro.
Un altro dato da evidenziare è la presenza di figli nelle famiglie delle persone che si sono rivolte ai Centri Caritas. Il 65% di loro è risultata avere figli a casa. Chiaramente la presenza di figli a carico ci dà pure una misura del carico di responsabilità – e del carico umano psicologico – che sta dentro al dato numerico. Peraltro, stiamo scoprendo che tra i nuovi frequentanti i Centri ci sono i figli di vecchi frequentanti. È una costatazione molto triste, peraltro confermata dai dati pubblici, circa l’ereditarietà della povertà.
Le molte facce della povertà
- Che cosa ci dicono i dati circa l’attività dei servizi sociali comunali?
Un terzo delle persone seguite dalla Caritas sono risultate pure assistite dagli Enti locali. Questo dato ha una duplice lettura, in positivo e in negativo. Le responsabilità pubbliche sono note. È pure noto il ruolo di advocacy che da sempre Caritas cerca di svolgere. Sempre ricordiamo il monito della Apostolicam actuositatem al n. 8, più volte citato da Paolo VI, il papa che ha voluto la Caritas: “non sia dato a titolo di beneficienza ciò che è dovuto a titolo di giustizia”.
Questo dato ci dice quanto la presenza ecclesiale Caritas sia capillare nei territori e quanto sia più facile – spesso – rivolgersi ad essa piuttosto che ai servizi sociali comunali, specie nelle parti più interne e remote del Paese. Di positivo c’è il fatto che tante persone non si sono sentite umiliate ad ‘andare alla Caritas’; di negativo c’è la lontananza e la difficoltà che ancora sussistono tra i poveri e i servizi pubblici. Spesso non è solo la distanza fisica ad allontanare, quanto l’ufficialità e la burocrazia. Specie in tempi di pandemia e di lockdown è stato così.
- Riguardo alla povertà di genere che cosa si può dire?
Si è sempre registrata una prevalenza di genere femminile nei Centri di ascolto delle povertà. Nel Rapporto 2021 registriamo tuttavia una sostanziale parità: la quota delle donne è al 52%.
Sicuramente le donne nel tempo della pandemia hanno maggiormente patito la perdita del lavoro, il doversi fare maggiormente carico dei figli che non potevano andare a scuola, oltre che della cura dei parenti anziani e ammalati. Ma questo non appare immediatamente dal dato globale.
Andando a scavare scopriamo, ad esempio, come molte donne straniere impiegate nel lavoro di cura degli anziani abbiano dovuto andarsene o come molte altre, impiegate nel turismo, abbiano incontrato lo stesso ostacolo e abbiano lasciato il nostro Paese, probabilmente, per non tornare più.
- Riguardo ad italiani e stranieri?
Anche per quanto riguarda italiani e stranieri rileviamo un sostanziale equilibrio. Gli stranieri immigrati risultano il 52% del totale con un dato globale in crescita. Pensiamo che sino a qualche anno fa la quota degli stranieri poteva raggiungere anche il 70%. Ciò ci dice chiaramente che è cresciuto notevolmente il numero di italiani che, proprio di fronte dell’ostacolo della pandemia, si è rivolto alla Caritas. I nuovi poveri sono soprattutto italiani: questo risulta molto chiaramente. L’analisi della crisi del turismo nel periodo della pandemia lo evidenzia chiaramente.
L’intervento pubblico
- È possibile, dai dati Caritas, esprimere qualche valutazione circa l’efficacia delle misure pubbliche, quale il Reddito di cittadinanza?
Nella emergenza si può dire che una misura quale il Reddito di cittadinanza – unita ad altre di ammortizzazione sociale – sia stata sicuramente positiva. Rileviamo che 1 ospite su 5 dei Centri di ascolto delle povertà ha fruito nel 2020 del contributo del Reddito di cittadinanza. Consideriamo che, nella stragrande maggioranza dei casi, si è trattato di contributi di bassa entità di 100, 200 euro al mese. È quindi scorretto ritenere che questi contributi abbiano incoraggiato questi beneficiari a stare a casa a far niente. In questi casi i Centri Caritas hanno saputo valutare e integrare l’aiuto, a fronte della effettiva indigenza, con misure non monetarie.
Riteniamo pertanto che il Reddito di cittadinanza sia utile, ma con aspetti critici che andrebbero corretti. Abbiamo, al riguardo, prodotto una ‘agenda’ di revisione della misura: sia perché non aiuta in maniera adeguata le famiglie numerose, sia perché è troppo restrittiva nei confronti degli stranieri, sia perché non tiene conto delle differenze nord/centro/sud Italia, erogando le stesse entità in contesti completamenti diversi.
Rispetto al Reddito di inclusione che prevedeva la presa in carico dei servizi sociali comunali, lamentiamo l’automatismo nazionale e la meccanicità burocratica del Reddito di cittadinanza.
Sicuramente va rivisto l’aspetto della ricerca di lavoro dei fruitori. Ma ricordiamo che, come ci dicono i dati di una recente Indagine flash Istat, il 77% delle persone in età attiva continua a cercare lavoro attraverso amici e conoscenti piuttosto che attraverso i Centri per l’impiego, esattamente come negli anni ’50. Vanno pertanto riviste le politiche attive per il lavoro, agganciandole decisamente a percorsi mirati di formazione, specie per i giovani. Ricordiamo che il nostro Paese ha il maggior numero di Neet in Europa, ossia di giovani che né studiano né lavorano.
- I criteri di ricerca pubblici possono funzionare anche per i poveri ospiti dei Centri di ascolto?
Dobbiamo dire che i poveri che frequentano i nostri Centri di ascolto delle povertà risultano difficilmente collocabili nel mondo del lavoro così come esso è tuttora. Pensiamo davvero che serva una nuova fantasia della carità e del metodo sociale. Dobbiamo inventare dei settori di lavoro decisamente nuovi, per cui si possa parlare di ‘ecologia integrale’, ossia di esperienze di lavoro pensate per persone di fatto svantaggiate nel mercato del lavoro ordinario: queste dovrebbe avvenire in collegamento all’ambiente, alla cura dei terrori, alla valorizzazione dei prodotti e delle caratteristiche locali. Si stanno sperimentando già forme diverse e alternative di turismo e di produzione agricola, in rispetto dell’ambiente e degli animali, con criteri di riuso, di riciclo, di cura. È possibile.
I poveri e la Chiesa
- Un’ultima domanda: la ‘conoscenza’ dei poveri come può essere, secondo te, portata dentro al dibattito sinodale della Chiesa in Italia?
Portiamo ancora forti evocazioni dei padri fondatori di Caritas. Come non ricordare figure come monsignor Nervo e monsignor Pasini che io ho personalmente conosciuto?
Siamo andati sicuramente verso una crescente professionalizzazione della carità e della assistenza dei poveri. Ciò sicuramente è positivo. Ma abbiamo perso un po’ di smalto rispetto a quelle evocazioni.
Penso che il dibattito sinodale possa essere una buona occasione. Senza perdere, in competenza e professionalità, vanno secondo me recuperati gli elementi di profezia che le figure che ho ricordato hanno saputo introdurre nella Chiesa italiana.
Vorrei che questo ricordo sia oggetto di discussione sinodale, in maniera decisamente più forte di quanto – per ora – ci è dato di sentire.