In Germania, ogni anno, si verificano circa 10.000 suicidi, ma molto più alto è il numero di coloro che tentano di compierlo. È un dato che interpella non solo la società, ma anche la Chiesa. Per questo la Chiesa evangelica e la Conferenza episcopale tedesca, dal 1994, si sono fatte promotrici ogni anno della cosiddetta “Settimana per la vita” alla scopo di sensibilizzare la gente al rispetto della vita umana in tutte le sue fasi e intensificare una collaborazione ecumenica per offrire insieme proposte di aiuto e proporre alcuni suggerimenti per una migliore prevenzione. Si tratta di una iniziativa a livello nazionale che si celebra sempre due settimane dopo il Venerdì santo.
Lo scorso anno aveva come tema “Desiderio di bambini. Il bambino desiderato. Il nostro bambino”. Il tema di quest’anno invece riguarda la prevenzione dei suicidi. Dice infatti: “Proteggere la vita. Accompagnare le persone. Impedire il suicidio”. In particolare si vuole andare alle cause della depressione e del desiderio di morire e indicare vie per una migliore prevenzione.
Cattolici ed evangelici insieme
La Settimana è iniziata il 4 maggio e si concluderà il giorno 11. Si è aperta con una liturgia ecumenica congiunta nella Marktkirche di Hannover, guidata dal presidente della Conferenza episcopale, card. Reinhard Marx, e dal presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, Heinrich Bedford-Strohm, presenti anche il vescovo cattolico Heiner Wilmer, di Hildesheim, e il vescovo regionale evangelico Ralf Meister.
«Come cristiani vogliamo assistere i nostri simili a riflettere su ciò che sentono e portano dentro, e su ciò che è fragile e oscuro», scrivono Reinhard Marx e Bedford-Strohm nella prefazione congiunta ad un opuscolo speciale preparatorio alla Settimana.
Bedford-Strohm nella liturgia introduttiva ha affermato: «La Chiesa una sua “colpa storica” per il fatto che, per secoli, ha condannato le persone che si toglievano la vita e rifiutava loro il funerale». Il card. Marx, tuttavia, ha precisato che oggi c’è una sensibilità diversa. La Chiesa sente come sua missione accompagnare ogni persona e cerca di offrire diversi aiuti con la Caritas, la diaconia e pastorale attraverso il telefono. «Noi – ha aggiunto – vogliamo essere presenti là dove c’è bisogno, come ci ha insegnato Gesù di Nazaret».
Intervista al vescovo Herwig Gössl
In un’intervista all’agenzia cattolica KNA, il vescovo ausiliare di Bamberg, Herwig Gössl, spiega la ragione per cui quest’anno le Chiese prendono in considerazione questo argomento e che cosa si aspettano da questa Settimana per la vita.
Se ogni anno in Germania circa 10.000 persone si suicidano, vuol dire che questo è un argomento indilazionabile di cui dobbiamo occuparci nella “Settimana per la vita”. Tutte queste sono persone che dicono no alla loro vita. Un fatto del genere non può lasciarci indifferenti come Chiesa e come società. Certo, occuparsi di questo argomento richiede una particolare sensibilità, perché le risposte semplicistiche sono inaccettabili. Non giova tuttavia né scandalizzarsi né considerare tabù queste azioni e, tanto meno, rimanere indifferenti. Importante è invece che su questo complesso problema si formuli una «parola di vita».
Ecco il testo dell’intervista al vescovo Herwig Gössl, raccolta da Paula Konersmann il 31 gennaio scorso in preparazione alla “Settimana per la vita” di quest’anno.
– Mons. Gössl, molti continuano a credere che la Chiesa condanni coloro che si suicidano. Come è cambiato dal punto di vista della Chiesa il modo di trattare questo problema?
Non è mai stato e nemmeno oggi è compito della Chiesa condannare qualcuno. Tuttavia essa ha il dovere di annunciare e di testimoniare gli insegnamenti di Dio. Dio è amico della vita. Ha creato tutto; la nostra vita è nelle sue mani, non nelle nostre. Per questa ragione la Chiesa ha la missione di proteggere e di promuovere la vita e fare di tutto affinché nessuno la getti via.
– In passato c’erano delle regole severe…
In passato potevano forse aiutare norme e divieti severi, non lo so. Oggi tuttavia questi gesti minacciosi della Chiesa certamente non giovano a nulla. Bisogna invece consigliare e accompagnare le persone che coltivano l’idea del suicidio affinché possano dire nuovamente sì alla loro vita. Sappiamo dalle conoscenze attuali della psicologia che coloro che si suicidano spesso non sono più liberi nelle loro decisioni e perciò manca un presupposto per un peccato grave, ossia la libertà.
– Quindi vuol dire che la Chiesa giudica oggi un suicido in maniera diversa.
Sarebbe sbagliato dedurre che oggi il suicidio agli occhi della Chiesa non è più un male. Naturalmente il fatto in sé resta un male, per la stessa persona in questione che non vuole continuare a vivere, ma anche per i suoi parenti e amici, che si domandano: che cosa abbiamo sbagliato? E anche per gli estranei che, a volte, sono coinvolti in un suicidio e ne rimangono traumatizzati. Tutto ciò ha bisogno di essere elaborato dal punto di vista terapeutico e pastorale. Soprattutto noi, come Chiesa, dobbiamo testimoniare il significato e il valore della vita. Questo è il nostro primo importante compito come messaggeri del Risorto.
– Quali gruppi dovrebbero essere raggiunti in particolare dalla “Settimana per la vita”?
Il tema è sostanzialmente rivolto a tutte le persone della società, credenti oppure no. Tutti possono essere messi a confronto con la problematica del suicidio e hanno bisogno di una sensibilizzazione per percepirne indizi e presagi. In particolare, occorre naturalmente tenere di vista le persone che pensano al suicidio e che spesso non sanno a chi rivolgersi. Io spero che, attraverso questa attenzione al problema, molti diventino attenti alle richieste di aiuto. In definitiva, spero che la Settimana incoraggi tutti coloro che già ora sono impegnati nel lavoro di prevenzione nell’accompagnamento delle persone a rischio di suicidio o dei loro parenti. Sono persone che spesso compiono un eccellente lavoro di salvataggio.
– A suo parere, la società è sufficientemente sensibilizzata al problema?
Penso che questo argomento nella nostra società sia ancora un tabù. La gente non ne parla volentieri, non gradisce di sentirne parlare ed è difficile sapere come comportarsi al riguardo. È un buon segno nel senso che fa capire chiaramente che nella nostra società non vogliamo abituarci al suicidio. D’altra parte, questo timore impedisce l’eventuale percezione dei segnali, delle richieste nascoste di aiuto inviate da coloro che sono in pericolo. In questo senso, una maggiore sensibilizzazione è certamente auspicabile. Ciascuno dovrebbe sapere dove trovare aiuto in caso di bisogno, rapidamente, senza burocrazia e, se lo si desidera,anche in modo anonimo.
– Cosa augura alla società nel suo insieme?
Non saprei dire quando una società è sufficientemente sensibilizzata su questo argomento. Forse sarebbe già un passo importante se noi, per la nostra tipica tendenza tedesca a problematizzare tutto e ogni cosa, potessimo semplicemente avere più spesso la gioia di vivere. Più gioia per la vita così com’è, pur con tutte le sue limitazioni, e più interesse e considerazione per la vita del prossimo: ciò sarebbe un forte segnale che potrebbe favorire un atteggiamento positivo verso la vita e una più intensa convivenza. Questo costituirebbe una specie di prevenzione di base, che fa bene a tutti.