Sta suscitando inquietudine e indignazione la notizia secondo cui «sarà presto formata – secondo il canale Telegram Mash – una società militare privata che agirà sotto il vessillo della Chiesa ortodossa e affiancherà le truppe regolari di Mosca in Ucraina. Ne faranno parte battaglioni ribattezzati “Croce di Sant’Andrea”, elementi “benedetti” da esponenti religiosi e destinati a partecipare alla mobilitazione strisciante (Andrea Marinelli e Guido Olimpio – Corriere della Sera)».
La notizia sarebbe da verificare e non ho gli strumenti per farlo. Potrebbe anche trattarsi di una delle tante fake news che accompagnano i conflitti e, qualora fosse tale, ne saremmo decisamente lieti. In ogni caso, al di là dell’indignazione, decisamente legittima, possiamo cogliere l’occasione per cercare di comprendere il senso di tale o simili operazioni.
Tra l’altro, il riferimento al patriarca Cirillo, in alcune rappresentazioni dell’informazione, forse andrebbe quanto meno relativizzato, poiché non è dato registrare esplicite e pubbliche adesioni del patriarcato di Mosca all’iniziativa, anche se è difficile sostenere che accada qualcosa nell’ambito russo-ortodosso senza che il patriarca ne sia almeno a conoscenza. Un punto di vista seriamente cattolico su questa contingenza condurrebbe ad interrogarsi sul senso della propria appartenenza credente.
Confessionalismo
Coloro che intendano avviare un’iniziativa come quella sopra indicata, penso siano chiamati a rispondere ad una logica secondo la quale bisogna essere prima russi e ortodossi e quindi cristiani. Ed è qui il nocciolo della questione: il prima e il dopo. Sul piano ontologico non ci dovrebbe essere alcun dubbio: siamo prima di tutti credenti nell’unico Signore Gesù il Cristo; dopo, e molto dopo, ortodossi, cattolici o evangelici.
Sul piano cronologico: abbiamo ricevuto questa fede che ci salva in un contesto storico particolare, come quello del cattolicesimo, dell’ortodossia o del protestantesimo. Nel momento in cui il piano cronologico offusca e preclude quello ontologico allora siamo incastrati in un orizzonte decisamente conflittuale e inautentico.
Possiamo come cattolici dimenticare di essere innanzitutto cristiani? Possiamo essere prima ortodossi e poi cristiani? Prima russi e poi credenti? Ma anche, e al tempo stesso, prima ucraini e poi cristiani? È qui il nocciolo del problema! Con chi mi legge potrei eventualmente condividere l’idea che è una mia tentazione quella di voler essere più occidentale che cristiano. La mia “modernità” può travalicare la mia fede? E qui le cose si complicano: siamo così sicuri che il destino dell’Occidente – e quello del Cristianesimo – siano così omogenei e speculari?
Le mediazioni della storia
La comprensione del fenomeno va oltre: il primo cronologico non è irrilevante, nel senso che il nostro approccio e la nostra appartenenza alla fede cristiana è passata e passa attraverso il nostro essere cattolico-romani, ortodossi o evangelici, ovvero occidentali-mediterranei, orientali o mitteleuropei.
Ne siano affezionati e disposti a lottare per questa ulteriore appartenenza, ma siamo, nello stesso tempo, disposti a combattere per la radice che la fonda, nella consapevolezza che il fondamento stia nella pace senza se e senza ma? La “comunione nelle differenze” diviene quindi un compito imprescindibile per il cristianesimo dell’oggi e del domani.
In questa prospettiva le modalità storiche e contingenti in cui si esprime la fede in Gesù Cristo vanno pensate come dei veicoli o, tommasianamente, delle vie attraverso le quali ci ha raggiunto la parola di salvezza.
Nel momento in cui la via si identifica con la meta, sprofondiamo nell’ideologia e scendiamo in campo, anche in maniera bellicosa, non per difendere e annunziare il messaggio di salvezza, ma semplicemente e banalmente per affermare la nostra appartenenza. Tesi facilmente deducibile da una lettura critica anche della storia della Chiesa cattolica, con le sue violenze perpetrate ai danni di quanti non ne condividevano l’appartenenza.
Credere in Gesù
Prima di essere cattolici dobbiamo cercare di essere cristiani: questo annunzia papa Francesco allorché afferma che il cristianesimo non è una dottrina né una morale, ma l’adesione ad una persona che interpella tutti, per il tramite delle esperienze storicamente date nelle Chiese: cattoliche, ortodosse ed evangeliche.
Vogliamo bene alla nostra comunità di appartenenza, al tempo stesso le siamo riconoscenti solo e perché ha innestato nelle modalità che le sono proprie, compreso il rosario e le devozioni, l’Evangelo nella nostra esistenza storica.
Quando nel 1054 accadde lo scisma d’Oriente con il patriarca Fozio -al grido “dal solo Padre”, riferito alla processione dello Spirito santo, contro il Filioque dei cattolici occidentali- l’unica Chiesa cattolica si divise e il cristianesimo divenne “duale”. La pluralità di cristianesimi si impose poi con lo scisma d’Occidente a causa delle Riforma protestante. Sono comunità (e “chiese”) cristiane non cattoliche. Il cristianesimo- originato nell’evento dell’Incarnazione del Figlio eterno nella carne umana- vive nel tempo umano come vita di carne realizzata nella potenza dello Spirito del Risorto (cioè la fede testimoniale della sequela di Gesù). La differenza tra le confessioni è giustamente collegata alla propria storia personale, al proprio linguaggio e alle proprie dottrine. Il cattolicesimo – che conosco meglio- è “sacramentale”, ritiene (in tutta verità io credo) che la vicenda della presenza di Gesù (=ontologia cristiana) continui nel tempo con un “realismo” che altre confessioni cristiane non riescono ad accettare. I sacramenti sono il cristianesimo cattolico che non fallisce mai, già “oggettivato” per sempre nella vita dei santi, passati, presenti e futuri. Leggendo Lorizio non mi pare che opponga storia a ontologia anzi proprio in virtù di quell’unione è portato a “distinguere prima per dopo meglio identificare” il cristianesimo dal cattolicesimo. Di sicuro il cattolicesimo sarà comunque cristiano (i Santi lo attestano e i sacramenti lo fondano) e tuttavia nella vita dei singoli cattolici o di gruppi cattolici e di popoli interi può perdere progressivamente lo smalto cristiano fino a rendere “irriconoscibile” il cristianesimo. Non è difficile comprenderlo se si tiene conto di alcune espressioni del NT. Un esempio: la fede cattolica è Fides quae per caritatem operatur, è fede che opera attraverso la carità. Cosa è una fede che non opera attraverso la carità? È una fede morta (San Giacomo). Sarà sicuramente per questo che il principio luterano dell’autopistia della Scrittura (cioè la Scrittura si presenta da sé) escludeva la Lettera di Giacomo dall’essere rivelazione di Dio. Un cattolicesimo che si presentasse (nei singoli, nei gruppi e talvolta anche nei capi- vescovi e papi) senza la “sequela Christi”, cioè la volontà di obbedire al comandamento di Gesù, cosa sarebbe? Diventerebbe un cattolicesimo “convenzionale”, una forma barbara di religione cristiana o una chiara forma di cristianesimo irreligioso e ateo, non resterebbe (nei singoli, nei gruppi nei popoli e nei capi) il cristianesimo di Gesù e dunque il cattolicesimo cristiano originatosi con Gesù e proseguito nel tempo attraverso la Traditio eucaristica.
Ora la questione è la sequente: predicare (da parte di Kirill, senza dimenticare che papi e vescovi cattolici predicarono la stessa cosa cfr le crociate) che andando in guerra e uccidendo persone ci si purifica dai peccati e si va in Paradiso perché Dio o Gesù “lo vuole” (e lo vuole perché i capi -interpreti della volontà di Gesù lo hanno stabilito) appartiene al cristianesimo o ne rappresenta un tradimento, una perversione, una mortificazione? A parte che questa cosa assomiglia molto al sentire religioso dei Vichinghi (per riferimento al Valalla e a Odino), per non dire che è l’evidente giustificazione dell’integralismo islamico dei Kamikaze, non risulta per nulla dalla storia di Gesù e dal suo messaggio evangelico dell’amore per i nemici e della negazione di ogni vendetta. D’altronde Papa Francesco nella sua “Teologia popolare” lo ammette sempre: agire con violenza in nome di Dio è satanico, anticristiano perché c’è l’Anticristo in ballo, ma non Dio. Anche Benedetto XVI nella sua lezione di “Teologia scientifica” lo ha precisato a Regensburg: “agire con violenza è contrario alla natura dell’anima e di Dio”. Così proclamare come cristianesimo la necessità- possibilità di fare violenza (in qualunque forma) significa sfigurare il volto santo di Dio, rivestirlo di una maschera e perdere la Rivelazione cristiana di Dio-agape, solo e sempre amore (ontologia).
E come poi dimenticare che le stesse forme storiche più singolari del cristianesimo di tutti (=dare i propri averi ai poveri, come suggerisce Gesù al giovane ricco) o dare il proprio corpo a bruciare, non dice ancora nulla sulla “carità” (ontologia, cioè luogo in cui appare davvero la verità dell’essere cristiano) che si potrebbe non avere… e allora non servirebbe a nulla, il cristiano sarebbe un cembalo che squilla, il cattolicesimo senza cristianesimo, perché il cristianesimo è questa “carità” (San Paolo).
E allora “ritorniamo a pensare”, chiedeva un grande pastore Cataldo Naro. Dialoghiamo teologicamente restando aperti a comprendere sempre più e sempre meglio… costruiamo nelle parrocchie “cenacoli teologici”, non per fare teorie, ma per vivere meglio il cristianesimo, perché la fede cattolica è fides ex auditu (viene dall’ascolto della Parola di Dio sempre incarnata in tutti i tempi) ed è fides quaerens intellectum (Sant’Anselmo) (caritatis)… è fede che cerca l’intelligenza del proprio sapere di Dio, del mondo e della relazione umana… perché fides nisi cogitatur nulla est… la fede che non si pensa è nulla, secondo Agostino. Ritornando a “pensare la fede” si apriranno nuovi orizzonti per il vissuto della fede testimoniale e anche, a partire dalla fede, ci si impegnerà nel compito comune che oggi abbiamo -camminando insieme con tutti gli uomini di buona volontà- di “ripensare il pensiero e il pensare”, perché forse la “grammatica e la logica” a cui lo abbiamo costretto gli impedisce di manifestare (rivelare) l’infinita potenza dei significati delle parole, e parlo di quei significati attraverso i quali Gesù di Nazareth ha già salvato il mondo una volta per tutte.
+Antonio Staglianó
(Presidente della Pontificia Accademia di Teologia)
Eccellenza, con tutto il dovuto rispetto vorrei far notare questa espressione dell’Autore: “le modalità storiche e contingenti in cui si esprime la fede in Gesù Cristo”.
Ora se la Chiesa Cattolica si ritiene una delle tante “modalità contingenti” allora dovrebbe immediatamente sciogliersi.
Questo è tutto.
La violenza, la guerra santa, il Patriarca Cirillo non c’entrano nulla col succo del discorso.
Sono questioni tragiche ma banali: la violenza in nome di Dio è una bestemmia!
La Chiesa Cattolica è la Chiesa di Gesù Cristo o no?
Oppure è una delle tante “modalità”?
La differenza è esistenziale.
A sostegno della riflessione di Mons Lorizio, sempre di rara ricchezza, preferisco commentare con uno stralcio della illuminante dichiarazione del senato dell’Istitute de Theologie Orthodoxe Saint-Serge di Parigi, autorevole punto di riferimento non solo per la Teologia ortodossa ma anche per tutte le confessioni cristiane. La dichiarazione, che vuole essere una risposta all’affermazione del patriarca Kirill I, del 25 settembre, condanna il sostegno alla guerra che, non è mai giusta né Santa: “Per il Senato accademico, è teologicamente inaccettabile considerare chi, In fedeltà ai propri obblighi patriottici, muore sul campo di battaglia nell’esercizio delle sue funzioni militari, come il compimento di un atto equivalente a un sacrificio che purificherebbe tutti i peccati. L’assoluzione dei peccati non dipende da una compensazione meccanica fra i peccati e gli ‘atti meritori’, è piuttosto un mistero che appartiene solo alla Misericordia del Dio Creatore”…
Come non essere concordi?
Dopo tanti interventi illuminati ed illuminanti vorrei poter esprimere il mio povero pensiero e chiedere perché noi tutti cristiani ucraini, russi , orientali tutti ed occidentali non condanniamo pubblicamente , attraverso i medi e manifestazioni e chi è nei posti di comando perché non si rifiuta di obbedire al diktat degli ordini superiori perché si fermi ogni guerra ?
Si tratta di coerenza con la propria fede, non possiamo continuare ad essere sepolcri imbiancati!
Il prima e il dopo è realmente crux interpretum del mentre che ogni testimone è chiamato a vivere. Crux perché ogni volta si tratta di colmare lo iato tra due appartenenze – religiosa e nazionale – ricorrendo al felice chiasmo tra fides qua e fides quae; ché può verificarsi (ed è stato riprovato con il necessario disappunto anche su questa rivista blog) una inquietante inversione semantica dei simboli cattolici, ad esempio, quando si ostendono come feticci di una visione politica non immediatamente assimilabile con il Vangelo e la pietà popolare e ancora di più con la dottrina sociale della Chiesa Cattolica.
«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Questa provocazione di Gesù ci spinge a comprendere su cosa dobbiamo concentrare i nostri cuori e le nostre menti. A quanto pare la sopravvivenza o meno della chiesa o delle chiese non sembra essere la preoccupazione principale del Signore. E’ vero che per i cattolici la chiesa è segno e strumento di salvezza. Ma questo vuol dire proprio che è una via, magari quella maestra, ma non è essa a salvarci. La salvezza viene da colui di cui la chiesa è segno e strumento. Il primo cronologico, il luogo dell’incontro, è rilevante per me e per noi, ma chiede di andare oltre verso la relazione con colui che è l’origine e il fine della nostra esistenza.
Se il cattolicesimo è soltanto una delle tante, tutte ugualmente valide, vie che conducono a Cristo allora perché dovremmo essere cattolici?
Se è sufficiente essere cristiani allora il cattolicesimo è inutile, anzi dannoso perché non fa altro che aumentare la confusione.
Allora dobbiamo batterci per mettere in liquidazione la Chiesa cattolica.
È una semplice conseguenza logica.
Il papa deve dimettersi, i vescovi andare ognuno a casa sua e i preti mettersi finalmente a lavorare.
Amen.
Il problema si pone quando la religione sposa gli estremismi e la politica. Gesù ha dato a Pietro il denaro per pagare il tributo, e non ha mai incitato le folle ad andare contro i romani; ma ha pure scacciato i venditori dal Tempio definendo il limite tra ciò che è sacro e ciò che non lo è. Oltrepassare quel limite porta il cristiano a dimenticare ciò che è e chi sta seguendo. Non si possono fare le crociate contro i propri fratelli, tutti, ma specialmente coloro che vivono la vita in Cristo.
L’articolo ben sottolinea la sfida del cristianesimo di questo tempo presente. Dobbiamo tornare ad assere “Uditori della Parola” per ridare alla Storia verità, giustizia e pace. La Chiesa (Corpo di Cristo, con le sue membra : cattolici, ortodossi e protestanti) deve assumere in modo responsabile una volta per tutte la grande costituzione donata da Gesù per la Comunità in Mc 10,35-45. Quel “Tra voi Non è cosi” significa, che nessuna religione cristiana, può ritenere il potere mondano come modello. Bisogna essere coerenti nel rigettare e denunciare senza sconti e in modo forte ogni potere demoniaco che non porta pace ma divisione, distruzione e morte. A chi benedice armi, oppure è connivente con il male il Signore Gesù ripete:“se è così, voi non siete la mia comunità!”. Questo compito, come spiega bene il teologo Lorizio, spetta a ciascuno di noi nel proprio piccolo, portando a quella che Bonhoeffer chiamava “Etica della Responsabilità”. La responsabilità della Chiesa, non deve limitarsi a curare le ferite e consolare i sopravvissuti, come affermava il martire di Flossembürg, deve gettare sabbia negli ingranaggi della macchina di morte, cercando con ogni mezzo di farla inceppare o di fermarla prima che si metta in moto. Ma solo se le membra operano unite tra loro e assieme a chiunque sia contrario alla guerra potrà essere ascoltata.
Una volta concordato sul fatto che le differenze confessionali non debbano mai dare luogo a conflitti – ne va di mezzo la disobbedienza ad un comando diretto del Signore – debbo dissentire fortemente dalla visione del cattolicesimo come di una pura e semplice contingenza storica. La presenza reale di Cristo nell’Eucarestia non è un accidente della mia fede; il sacramento della riconciliazione (al di là della sua attuale versione auricolare) o il suffragio delle anime defunte non sono contingenze. L’elenco potrebbe continuare. Penso che lo stesso potrebbero dire gli evangelici e gli ortodossi del loro modo di essere cristiani. Il Signore non ci ha chiesto di amare l’altro senza amare noi stessi ma l’esatto opposto: in definitiva non è sminuendo la dimensione chiaramente ontologica (e non contingente) di tanta parte della nostra fede che andremo incontro all’altro.