L’illetterato Leonardo da Vinci, nella prima parte del Trattato della pittura (ricomposto dal suo allievo Francesco Melzi), conosciuta come il “Paragone”, confronta pittura, scultura e musica, al fine di legittimare la pittura come scienza. Qui egli coglie nel togliere l’essenza della scultura, nell’aggiungere l’essenza della pittura.
Secoli dopo, Sigmund Freud paragonerà il percorso psicoanalitico all’opera dello scultore: si tratta di “togliere” ciò che impedisce all’essere umano di fare e di godere, non di appesantirlo con ulteriori regole, vincoli, suggerimenti.
Si tratta del passaggio che, più di tutti, mi ha indotto a sentire mio l’approccio psicoanalitico.
Eppure oggi il terapeuta si trova sempre più di frequente dinanzi a situazioni e individui nei quali sembrerebbe prevalere l’aspetto deficitario: la carenza della funzione genitoriale, ad esempio; più in generale la mancanza, la lacuna. E a ciò spesso corrispondono, non a caso, vissuti di vuoto. Il Disturbo borderline è emblematico, in tal senso.
Ciononostante, resto convinto che “il togliere” rappresenti un momento centrale della terapia. L’apprendimento – la psicoterapia, qualsiasi psicoterapia è (anche) un lavoro di apprendimento – consiste soprattutto nel selezionare. Un oceano di stimoli, al tempo dei new media e della complessità, rischia in ogni istante di travolgerci (un “Niagara di dati”, scriveva Piero Angela). Compito nostro, dunque, è quello di orientarci, selezionare e scegliere. Il terapeuta, in ciò, fungerebbe da “facilitatore”, rendendo più agevole la “selezione” stessa.
Anche per colmare i deficit, quindi, le lacune, i “vuoti” grazie a nuovi e opportuni “apprendimenti”, occorre “togliere”, schivare quel che non serve. Si tratta, proprio come nella scultura, di dare forma. Anzi: di darsi una forma.
Le stesse neuroscienze ci indicano che lo sviluppo del Sistema Nervoso Centrale si svolge attraverso la “selezione”, lo “sfoltimento”, il superamento delle “ridondanze”. Alla metafora della scultura, così, potremmo aggiungere quella della potatura. Come dire: tagliare i “rami secchi”, provare a “rinvigorire” quelli più promettenti.
E il paziente, o l’analizzando, è al tempo stesso “potatore” e “pianta”, “pietra” e “scultore”. Allo psicoterapeuta, o allo psicoanalista, spetta di conseguenza il compito di “agevolare”, “facilitare”, appunto, accompagnare.