Negli ultimi mesi, grazie alle denunce di alcune donne del mondo del cinema, si sono accesi i riflettori su abusi e molestie che troppo spesso rappresentano la normalità nel mondo dello spettacolo.
La pioggia di denunce ha come alzato il sipario e fatto entrare nella discussione pubblica un tema che non sempre è stato preso con la giusta serietà: quello delle molestie e dei ricatti a sfondo sessuale ai danni delle donne nei luoghi di lavoro.
Sappiamo bene, infatti, che quello che succede nel mondo dello spettacolo non è molto diverso da quello che succede in altri ambienti lavorativi, in cui lo squilibrio di potere porta alcuni uomini a sfruttare la propria posizione attuando comportamenti molesti, lesivi della dignità e dell’integrità fisica e psicologica delle lavoratrici, accompagnati spesso da ricatti, vessazioni e mobbing.
È una realtà cui le lavoratrici fanno fatica a sottrarsi non solo per lo squilibrio di potere spesso esistente, ma anche per l’assenza di strumenti adeguati.
La violenza perpetrata attraverso le molestie e i ricatti sul luogo di lavoro colpisce tutti i tipi di lavoratrici, dalle libere professioniste alle dipendenti, a tutte le latitudini, in maniera particolare quando la lavoratrice si trova in una condizione di debolezza perché disoccupata, in cerca di lavoro o nei momenti di avanzamento di carriera.
L’Indagine Istat 2016 sulla sicurezza dei cittadini ha permesso di stimare il numero delle donne che, nel corso della loro vita e nei tre anni precedenti all’indagine, sono state vittime di molestie e ricatti sessuali in ambito lavorativo.
Le donne che hanno subito molestie sul lavoro o ricatti sessuali sul lavoro
Sono un milione 404 mila le donne che, nel corso della loro vita lavorativa, hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Nei tre anni precedenti all’indagine, ovvero fra il 2013 e il 2016, hanno subito questi episodi oltre 425 mila donne (il 2,7%).
La percentuale di coloro che hanno subito molestie o ricatti sessuali sul lavoro negli ultimi tre anni è maggiore della media del 2,7% tra le donne da 25 a 34 anni (3,1%) e fra le 35-44enni (3,3%) (Grafico 1) .
I ricatti sessuali sul lavoro
Con riferimento ai soli ricatti sessuali sul lavoro, sono un milione 173 mila (il 7,5%) le donne che, nel corso della loro vita lavorativa, sono state sottoposte a qualche tipo di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera. Negli ultimi tre anni, ovvero fra il 2013 e il 2016, invece, il dato risulta in lieve diminuzione: sono infatti 167 mila, pari all’1,1%, le donne che li hanno subiti.
Donne da 15 a 65 anni che hanno subito ricatti sessuali nel corso della vita
|
Il fenomeno dei ricatti sessuali appare più frequente al centro Italia, nei grandi comuni delle aree metropolitane e in quelli con più di 50 mila abitanti.
Il 32,4% dei ricatti sessuali viene ripetuto quotidianamente o più volte alla settimana, mentre il 17,4% si verifica all’incirca una volta a settimana, il 29,4% qualche volta al mese e il 19,2% ancora più raramente. Negli ultimi tre anni, la quota di donne che ha subito ricatti tutti i giorni o una volta a settimana è ancora maggiore (rispettivamente, il 24,8% e il 33,6%).
Ricatti vissuti in silenzio
Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro, un dato in linea con quello rilevato nel 2008-2009 quando questa percentuale era dell’81,7%.
Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle Forze dell’ordine: appena lo 0,7% delle vittime di ricatti nel corso della vita (l’1,2% negli ultimi tre anni). Un dato che si riduce ulteriormente se si considera chi ha poi effettivamente firmato un verbale di denuncia, il 77,1% di chi ha dichiarato di essersi rivolto alle Forze di polizia.
Le motivazioni più frequenti per non denunciare il ricatto subito nel corso della vita sono la scarsa gravità dell’episodio (27,4%) e la mancanza di fiducia nelle Forze dell’ordine o la loro impossibilità di agire (23,4%).
La gravità e le conseguenze
Il ricatto è stato grave per la maggior parte delle vittime: lo ritiene molto o abbastanza grave il 69,6% delle vittime e il 72,8% delle donne che lo hanno subito negli ultimi tre anni.
Il 24,2% delle donne che hanno subito ricatti nel corso della vita (il 36,9% negli ultimi tre anni) ha preferito non rispondere alla domanda su quale sia stato l’esito del fatto. Tra coloro che hanno subito i ricatti nel corso della vita e hanno risposto al quesito, il 33,8% delle donne ha cambiato volontariamente lavoro o ha rinunciato alla carriera (Grafico 2), il 10,9% è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta.
Le nuove tutele
L’occasione per tornare a parlare del tema[1] è offerto dalle nuove misure a tutela delle donne vittime di molestie sessuali negli ambienti di lavoro introdotte dalla legge 27 dicembre 2017 n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), in vigore dal 1° gennaio 2018.
Tre sono le disposizioni introdotte, a decorrere dal 1° gennaio 21018, rispettivamente dai commi 217, 218 e 219 dell’articolo 1 della citata legge n. 205/2017:
- estensione alle lavoratrici domestiche del congedo retribuito di tre mesi per le donne vittime di violenza “di genere” previsto dall’articolo 24 del D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 80;
- garanzie alle lavoratrici che agiscono in giudizio in presenza di discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere nei loro confronti;
- incentivi per l’assunzione di donne vittime di violenza di genere da parte di cooperative sociali.
Congedo retribuito per le vittime di violenza di genere
La dipendente di datore di lavoro pubblico o privato, ovvero domestico, inserita nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio,[2] ha diritto di avvalersi di un congedo indennizzato nella misura del 100% dell’ultima retribuzione per un periodo massimo di tre mesi al fine di svolgere i percorsi di protezione certificati. I tre mesi di congedo (equivalenti a 90 giornate) possono essere fruiti entro l’arco temporale di tre anni decorrenti dalla data di inizio del percorso di protezione certificato.
Le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa hanno diritto alla sospensione del rapporto contrattuale per motivi connessi allo svolgimento del percorso di protezione, per il periodo corrispondente all’astensione, la cui durata non può essere superiore a tre mesi.
Analogo diritto è riconosciuto alle lavoratrici autonome le quali, per la durata della sospensione del rapporto contrattuale, hanno diritto a percepire un’indennità giornaliera dell’80% del salario minimo giornaliero.[3]
La vittima che denuncia non può essere licenziata
Modificando il “codice delle pari opportunità tra uomo e donna”,[4] la legge 205/2017 dispone una nuova e specifica tutela per chi agisce in giudizio per aver subito una molestia sessuale in azienda.
La nuova norma prevede che la lavoratrice che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale sul luogo di lavoro non può essere sanzionata, demansionata, licenziata, trasferita o sottoposta ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro, se tale misura è la conseguenza della denuncia stessa.
L’eventuale licenziamento ritorsivo o discriminatorio nei confronti della lavoratrice denunciante è nullo e va tempestivamente impugnato. La lavoratrice, pertanto, ha diritto non già al risarcimento del danno, ma alla reintegra sul posto di lavoro. Allo stesso modo sono nulli anche il mutamento di mansioni nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti della denunciante.
Le suddette tutele non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l’infondatezza della denuncia.
È, inoltre, espressamente fatto obbligo al datore di lavoro di assicurare condizioni lavorative tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità delle lavoratrici, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ogni persona e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza.
Incentivi per l’assunzione di lavoratrici vittime di violenza di genere
La terza disposizione, introdotta dalla legge 205/2017, prevede l’attribuzione di un contributo in favore delle cooperative sociali per le assunzioni di donne vittime di violenza di genere e inserite nei relativi percorsi di protezione, con contratti di lavoro a tempo indeterminato, aventi decorrenza dopo il 31 dicembre 2017 e purché stipulati entro il 31 dicembre 2018.
L’agevolazione consiste in uno sgravio contributivo per un periodo massimo di 36 mesi. Il limite di spesa è pari a un milione di euro per ciascuno degli anni 2018-2020.
Questa misura si aggiunge alla fruizione di congedo lavorativo indennizzato.
[1] Cf. SettimanaNews.it n. 3/2018 (dal 15 al 21 gennaio) e SettimanaNews.it n. 47/2017 (dal 20 al 26 novembre).
[2] Di cui all’ articolo 5-bis decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119.
[3] Articolo 1, commi 241 e 242 della legge 11 dicembre 2016 n. 232.
[4] Di cui al Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198.