Nel corso del lockdown in Germania si è riacceso un dibattito, a dire il vero mai sopito, sulla rilevanza sistemica delle Chiese nella vita del paese. Come al solito, gli spiriti si sono divisi: da un giudizio di irrilevanza complessiva, tratto dalla scelta politica di sospensione delle celebrazioni pubbliche (sostanzialmente accettato, e in alcuni casi anticipato, senza polemiche dai vescovi e dalla Conferenza episcopale), a uno più sfumato che incita comunque a un impegno mirato per incrementare il rilievo delle Chiese all’interno dei vari sistemi che compongono il corpo sociale del paese.
In ogni caso, il dibattito interno al cattolicesimo tedesco sembra essere fortemente concentrato sulla sua rilevanza sistemica – abbracciando in questo modo una certa versione di comprensione sociologica del funzionamento dei corpi sociali e delle interazioni fra essi. Non è certo questa la sede per entrare nel merito di questa adesione “teologica” a un modello di configurazione sociale; quello che comunque si deve tenere è la consapevolezza che il vissuto ecclesiale deve essere pensato e praticato come parte del più ampio vivere associato degli uomini e delle donne all’interno di un determinato contesto culturale e politico.
Un limite di questa adesione “teologica” al modello sistemico, per quanto riguarda la Germania (ma probabilmente valido anche al di fuori di questo caso), è quello di una concentrazione eccessiva sulle forme istituite del cattolicesimo – ossia su quelle misurabili e percepibili a livello sistemico. In questo modo, la preoccupazione ecclesiale per la rilevanza sistemica del cattolicesimo rischia di dedicare poca attenzione e poche forze a tutti quei momenti del vissuto cristiano che sfuggono, quasi per natura, a una quadratura sistemica del loro darsi.
In questo senso, una domanda che dovrebbe attraversare il cattolicesimo tedesco in questo momento è quanto questi fenomeni extra-sistemici siano determinanti per approdare a una calibrata rilevanza sistemica della Chiesa cattolica all’interno della società tedesca. Ossia, quanto un investimento sulle pratiche di vita quotidiane generate dall’adesione fiduciale al Vangelo sia necessario, all’istituzione stessa, per un rilancio in vista di ridisegnare il significato sistemico complessivo della presenza cattolica e della Chiesa in Germania.
Investimento che richiederebbe di lavorare non solo sugli indicatori sistemici di apprezzamento del ruolo della Chiesa nella società tedesca, intorno ai quali a mio avviso rischia di risolversi il cammino sinodale messo in atto dalla Chiesa locale, ma anche su quegli scarti profetici che fanno del cristianesimo e della fede una traiettoria di attraversamento critico e non conformistico delle strutture di fondo intorno alle quali si organizza una società. Questo modo di attraversare la realtà e la configurazione sociale implica una marginalità che il cattolicesimo non sembra ancora aver imparato a maneggiare come chiave di volta costruttiva per riposizionare il significato della sua permanenza anche in regime di secolarità diffusa e di riduzione numerica dell’appartenenza.
Concentrarsi esclusivamente su una preoccupazione di rilevanza sistemica può rappresentare un ostacolo a questo processo di apprendimento di un significato della fede che trae la sua forza (religiosa e civile al tempo stesso) proprio dalla sua collocazione marginale, dove i confini e le delimitazioni si dissolvono nella loro potenza esclusiva. I margini sono contrassegnati da una porosità non definibile e non controllabile. Assumere con convinzione questa posizione marginale, orchestrando intorno a essa la riconfigurazione istituzionale della fede, potrebbe rivelarsi l’apertura di una nuova stagione del cattolicesimo nell’Europa contemporanea.
Creando anche un effetto di prossimità effettiva, e non solo annunciata, verso il numero sempre maggiore di persone che stanno slittando ai margini del sistema civile ed economico delle nostre società – trovandosi così in una condizione di irrilevanza che ne giustifica la dimenticanza da parte delle logiche che attualmente governano il regime dell’essere al mondo.
L’eventuale “assistenzialismo” che tali logiche potrebbero mettere in campo verso questi ceti della popolazione, al fine di controllare il potenziale sovversivo della “rabbia sociale” che inevitabilmente verrà coltivata da essi nei confronti dell’ordinamento costituito, rappresenterebbe solo un incremento della loro marginalità sistemica – amplificando la portata delle ingiustizie sociali attraverso la loro presa in carico come eccezioni che disturbano gli equilibri degli interessi di pochi.
A queste procedure anestetiche, che producono irrilevanza proprio gestendola sistemicamente, il cattolicesimo dovrebbe opporsi con tutte le sue forze di prossimità e cura per la giustizia del vivere di tutti. Per questo esso dovrebbe guardarsi dal farsi catturare completamente da un’ossessione per la sua rilevanza sistemica, diventando così parte integrante del meccanismo di marginalizzazione di strati sempre più ampi di persone e gruppi sociali; quello che invece dovrebbe fare è il recupero di una sana coltivazione dell’ingiunzione sovversiva inscritta nelle pagine evangeliche: dove il rischio dell’irrilevanza sistemica coincide con l’albeggiare della giustizia del Regno nella vita quotidiana della gente.