Nell’insegnamento si ha «la fortuna di frequentare, grazie agli studenti, due tempi diversi, forse opposti, perché ogni adolescente contiene fisiologicamente l’eternità, si confronta con le domande assolute, chi sono, dove vado, che senso ha questo mondo, perché mi sono innamorato di quella là che non mi vede proprio, perché soffro così tanto, perché penso alla morte? E d’altronde l’adolescente è una spugna che si imbeve dell’acqua limpida o sudicia del presente… canta le canzoni dell’estate e ama o odia il campione del momento».
Le battute di Marco Lodoli (Il rosso e il blu. Cuori ed errori della scuola italiana, Torino 2009) danno già bene il senso di ciò che una volta veniva segnato come errore grave (la matita blu) o leggero (la matita rossa).
Se la scuola poteva ben essere considerata una società in miniatura, riproducente comportamenti e gerarchie della società nel suo insieme e nella sua complessità, ad essa si sarebbero presto affiancate ben altre aule multimediali, in grado di tener incollati alla TV decine di milioni di spettatori, e ben altri testi, quelli delle canzoni – quelle che Edoardo Bennato chiamava, nel 1980, canzonette: «Ma che politica, che cultura/ Sono solo canzonette/ Non mettetemi alle strette».
Gesti e testi
In Diario minimo, Umberto Eco (Milano 1963), quale esercizio di fantasia, immaginava un mondo in cui, per ricostruire la storia, si sarebbe dovuto fare affidamento sugli unici libri rimasti, quelli, con i testi delle canzoni di Sanremo.
Volendo riproporre quell’esercizio fantastico, quale storia, oggi, sarebbe possibile ricostruire partendo dall’ultima kermesse sanremese?
Se non pochi gesti, abiti e modi di fare di attori e cantanti di questa 73ª edizione hanno suscitato giuste critiche nei commentatori e spettatori, resta il fatto che un festival musicale manifesta generi musicali, armonie, orchestre, movimenti coreografici e, in tutto questo, soprattutto testi da ripetere.
Ora, al di là di gesti diseducativi e della mediocrità di molti testi, emergono non pochi significativi profili di ordine antropologico e perfino spirituale e, a volte soltanto per fare rima, compare anche la parola Dio (magari nel cattivo ruolo di uno che pesta come un tango, come ripete Tananai).
Nelle rime musicate si allude più volte all’ospite inquieto della depressione, che è stato il grande invitato di pietra negli anni della pandemia globale e della guerra qua fuori (come ripete ossessivamente il testo di Sethu).
Si prenda, ad esempio, il canto dell’anima proposto da Anna Oxa – intitolato proprio così. A Sali farà eco, nel prosieguo, la parola Resuscita: «Sali, uomo, sali e dimentica/ Sali e ritorna alla (tua) nascita/ Occhi dell’ambiguità dei nostri tempi/ Vite frammentate senza verità/ Sali, donna, sali e resuscita/ Sali e ritorna alla (tua) nascita/ Libera l’anima/ Come rondini la sera».
All’ambiguità, frammentazione, falsità, crisi della dignità umana viene opposto il bisogno di liberare l’anima dalle menzogne e dalle ingiustizie e di ritornare alla propria vera essenza.
Certo, la vita è una guerra, fuori e dentro di noi, lotta che non si può combattere da soli, di fronte a cui il cuore è come un’armatura che ci protegge ma che si consuma. Lo vanno ripetendo le generazioni dei boomers e zeta: «Si nasce soli e si muore nel cuore di qualcun altro/ Siamo angeli con un’ala soltanto e riusciremo a volare solo restando l’uno accanto all’altro».
Paura di cadere, voglia di volare.
«A piedi scalzi sulla neve/ Non ho paura di cadere», recita il testo di Sara Mattei.
Nonostante tutto, vecchie e nuove generazioni sperano, seppur con la paura di cadere, certamente nutrono la voglia di volare: «Ma se sei in gabbia prima o poi scoppi di rabbia come un bimbo che si porta la palla», cantano ad esempio gli Articolo 31 in Un bel viaggio.
«Ho sorriso tanto/ Dentro a questo pianto/ Ho voglia di credere di poter farcela/ A costo di cedere parti di me/ Ho voglia di cedere a questa speranza/ Per poter credere a tutta la vita che/ Vivo come viene», dichiara il testo “Vivo”, proposto da Levante. Come un faible petit oiseau, un fragile uccellino umano che vorrebbe osare alto, di cui scriveva già Teresina del Bambin Gesù che non ha le ali delle aquile, ma è anche vero che ne ha gli occhi e il cuore.
Insomma, se pure le canzoni restassero l’unico o l’ultimo rigo da scrivere con l’inchiostro delle esistenze degli uomini e delle donne, non verrebbe mai meno l’opera del grande paroliere che è Dio. «Dio mi ha dato una voce per cantare con Lui, e quando hai questo, quale altro trucco ti serve?», osservava – non a Sanremo, ma sempre in ambito musicale – Whitney Houston.
Può certo farle eco, in questo particolare canzoniere, Augusto Daolio, indimenticabile anima dei Nomadi: «Se canti solo con la voce, prima o poi dovrai tacere. Canta con il cuore, affinché tu non debba mai tacere».