“Prevenire e ridurre le perdite e gli sprechi alimentari nel contesto della sicurezza alimentare e nutrizionale. Una sfida intersettoriale”, è il titolo della Conferenza tenuta a Santiago del Cile giovedì 24 agosto, nella sede della Rappresentanza della FAO per l’America Latina e i Caraibi. Ai lavori ha partecipato mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, nella prima tappa del viaggio che dal 23 al 30 agosto ha per itinerario Cile e Argentina. Di seguito l’intervento di mons. Paglia.
Eccellenze, Ambasciatori, Professori, Signore e Signori,
vi ringrazio di vero cuore per essere qui quest’oggi, per aver scelto di dedicare del tempo a un tema così decisivo e che svela una delle contraddizioni di questo nostro tempo.
Grazie al Ministro dell’Agricoltura del Cile, dr. Esteban Valenzuela, grazie al dr. Maximo Torero, capo economista della FAO, che ha attraversato l’oceano per dialogare insieme quest’oggi e grazie agli altri relatori.
Un ringraziamento particolare al dr. Mario Lubetkin, rappresentante regionale della FAO per l’America Latina e i Caraibi, che ha voluto questo incontro qui a Santiago del Cile, mettendo a disposizione la struttura in cui ci troviamo e contribuendo a riflettere sul delicatissimo tema: “Prevenire e ridurre le perdite e gli sprechi alimentari nel contesto della sicurezza alimentare e nutrizionale. Una sfida intersettoriale”.
È un tema attuale e urgente, e vorrei svolgere alcune considerazioni, a partire da quanto ha detto papa Francesco il 18 maggio 2019 nel discorso alla Federazione europea dei banchi alimentari: «Scartare cibo significa scartare persone». Questo cibo sprecato segna, talvolta fino alla morte, il destino di milioni di persone. Anche in America Latina.
«Scartare cibo significa scartare persone». Questo scarto di persone, non di cibo, è intollerabile, insopportabile, esecrabile, fonte di immensa vergogna. E ne siamo responsabili davanti a Dio e alla storia.
E non importa se lo spreco alimentare in America Latina copre solo il 6 % dello spreco mondiale. La percentuale obiettivamente bassa diventa subito tragica se, appunto, smettiamo di pensare al cibo per guardare le persone. I 47 milioni di persone sottonutrite in questo continente, l’aumento del tasso di denutrizione in questi ultimi anni. Le situazioni tragiche di alcuni paesi: due anni fa ero a Haiti; ho visitato gli slums di Port au Prince, ho incontrato persone gonfie di cibo spazzatura o scarnificate da una denutrizione cronica. Come è possibile continuare a far finta di niente, a sopportare, a non fare nulla? Come è possibile trattare Haiti come una tabella di numeri in rosso? È il rosso del sangue di quella gente che pesa anche sulle nostre coscienze.
Superare le logiche di mercato
Il cambiamento di sguardo che mi permetto di proporre alla vostra attenzione, dallo spreco del cibo allo spreco di vite umane, impone un secondo cambio di paradigma che ci aiuta ad affrontare con serietà e responsabilità la questione.
Non possiamo più permetterci di affrontare il tema del cibo in una logica meramente economica e di mercato. Certo, la produzione, la distribuzione, la trasformazione del cibo chiede e, per certi versi, si fonda su una struttura economica che funziona ed è efficace grazie a una serie di dispostivi e di forme. Ma, al contempo, la eccede, è più grande.
Poiché l’ambito agro-alimentare segna direttamente la vita delle persone, rispondendo ai loro bisogni primari, più che in altri campi, appare evidente come l’economia non può essere considerata come fine ultimo, ma come mezzo a servizio della vita delle persone e dell’edificazione di una società giusta. Men che meno, può essere padrone unico e indiscusso di tali processi una logica di mercato.
Scrive papa Francesco: «La lotta contro la fame esige di superare la fredda logica del mercato, incentrata avidamente sul mero beneficio economico e sulla riduzione del cibo a una merce come tante, e rafforzare la logica della solidarietà» (Messaggio giornata alimentazione 2021).
Ma, attenzione! Il papa non sta semplicemente richiamandoci a essere più caritatevoli, a devolvere, ad esempio, una parte dei profitti in opere sociali. No, la solidarietà non è un semplice sentimento di benevolenza e di attenzione verso chi è più debole e svantaggiato. Piuttosto, esso allude al fatto che ogni esperienza umana, quella economica compresa, si innesta e coopera alla costruzione di una famiglia umana fraterna (così il papa nella sua coraggiosa enciclica Fratelli tutti).
Logica della solidarietà significa, quindi, che anche gli attori economici riconoscono la responsabilità sociale del loro operare, l’interconnessione tra soggetti diversi, la custodia delle persone e del mondo che abitano.
Affronteremo seriamente lo spreco alimentare solo quando riconosceremo che esso non è riconducibile a una sola questione di mercato, a qualcosa che possa essere definito e misurato in tabelle, statistiche e performance. Le vite umane eccedono tutto questo. Impongono superamenti di logiche di profitto e di budget. Chiedono la serietà di processi economici realistici e praticabili, ma non fanno di questi i fini dell’agire.
Denunciare la cultura dello scarto
La predominanza di logiche mercantili con cui affrontiamo lo spreco alimentare ma, di fatto, gestiamo e contabilizziamo lo spreco di vite umane, mostra uno dei suoi esiti più deleteri in uno dei temi che papa Francesco ha più a cuore, nella sua lucida analisi della cultura occidentale: «Lottare contro la piaga terribile della fame vuol dire anche combattere lo spreco. Lo spreco manifesta disinteresse per le cose e indifferenza per chi ne è privo. Lo spreco è l’espressione più cruda dello scarto. Mi viene in mente quando Gesù, dopo aver distribuito i pani alla folla, chiese di raccogliere i pezzi avanzati perché nulla andasse perduto (cf. Gv 6,12). Raccogliere per ridistribuire, non produrre per disperdere» (2019).
La logica dello scarto è quanto di più lontano esista dal messaggio evangelico. Sin dalla prima pagina, la Bibbia dice che ogni cosa che è sulla terra è buona. Lo scarto, al contrario, dice che qualcosa può anche essere perso, che qualcosa va scartato.
E, in riferimento all’uomo, la Bibbia dice che è «molto buono». La pienezza di questo giudizio si rivela nell’agire e nell’insegnamento di Gesù, dove tutti sono accolti e amati, apprezzati e custoditi, anche quando inutili, ai margini, perfino marci.
Gesù non scarta nessuno e i suoi discepoli, di ogni tempo, pur con tutte le debolezze, sono chiamati a ribadire con forza questo suo insegnamento: non si spreca niente, non si scarta nessuno, non c’è nessun motivo – nessuno motivo! – per lasciare indietro qualcuno. Nessuno è scartato alla tavola. Deve sempre esserci posto per tutti. La parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone – come proposta dal Vangelo – denuncia con severità ogni emarginazione.
Combattere la rassegnazione
Il mero approccio mercantile, invece, mette già nel conto perdite, resi e prodotti di scarto. Lo insegnano sin dal primo anno di economia. Questo elemento economico produce, a livello culturale e politico, una sorta di rassegnazione. Tutti dicono che lo spreco alimentare è brutto e annunciano provvedimenti in tal senso; poi però le azioni sono blande, “si fa il possibile, si sa che non potremo mai eliminare del tutto lo spreco”.
Possiamo essere rassegnati davanti ai 47 milioni di persone sottonutrite in America Latina? Possiamo trattare con superficialità il fatto che l’agenzia in cui ci troviamo ci ricorda che con i 69 kg di cibo sprecati annualmente da ogni abitante di questo continente potremmo contribuire significativamente alla nutrizione di 30 milioni di queste persone?
Tre piste di lavoro
A conclusione di questo mio appello – viene dal profondo del cuore – perché nessuno resti escluso dalla tavola della vita anche di questo continente, mi permetto di indicare tre piste concrete di lavoro.
La prima ha a che fare con i numeri, sia in senso quantitativo che qualitativo. Anzitutto, il continente latino-americano è quello in cui si hanno a disposizione meno dati sul fenomeno dello spreco alimentare (e quindi sullo spreco di vite umane che ne consegue).
Accanto ai dati sulla produzione, dovrebbe sempre essere segnalato anche quello dello scarto alimentare. Abbiamo bisogno di sentire il reale peso di questo scandalo. Inoltre, abbiamo bisogno di numeri che indichino il peso sociale di questo fenomeno. Non sono indifferenti il numero di ore di lavoro sprecate o il costo energetico di tali attività non portate al loro fine. Il numero di tonnellate di cibo perso è insufficiente: perché non dire anche quale perdita in termini sociali e umani c’è dietro lo spreco di un prodotto agricolo?
La seconda pista vuol prendere sul serio uno dei termini più usati in questo mondo: la catena alimentare. L’alimentazione, e le sue perdite, è un processo che investe una molteplicità di attori sociali incredibile. Anche questo nostro incontro oggi testimonia, attraverso le molteplici provenienze che ci caratterizzano, quanto questo processo si articolato. Sono convinto che la piaga dello spreco alimentare possa risolversi solo mettendo insieme le forze: non è appannaggio unicamente di uno degli attori, non è responsabilità unicamente di qualcun altro. Quando si assolutizza una responsabilità rispetto alle altre si rischia la deresponsabilizzazione del sistema (si attende sempre che qualcun altro faccia qualcosa) e si condanna l’intero processo al fallimento.
Lo spreco alimentare si può affrontare solo mediante una visione complessiva della realtà. Dobbiamo tenere insieme macro scenari e singole storie, la grande distribuzione organizzata dei supermarket e i mercati informali lungo le strade, le più raffinate tecnologie e le più antiche sapienze contadine. Non è un’operazione semplice, ma è indispensabile se vogliamo raggiungere il risultato di non escludere nessuno.
La terza e ultima pista è, infine, culturale. Guadagneremo il passaggio dalla cura dello spreco del cibo a quello delle persone, solo se sapremo mostrare il valore del cibo e della tavola. L’ho citato prima: «il cibo non è una merce come le altre». Esso è la vita delle persone e della società. Abbiamo bisogno di un approccio responsabile, finanche spirituale.
La decisività del cambiamento emerge chiaramente negli studi che mostrano come uno dei passaggi chiave per la riduzione dello spreco alimentare è l’educazione che permette il cambiamento di pratiche domestiche altrimenti deleterie. Se una persona è cosciente della dignità e della bontà di sé, dei suoi cari e dei beni che ha a disposizione, allora spreca meno, fa dell’alimentazione un atto profondamente umano (la tavola e la cucina), si assume responsabilità nuove.
La cura della tavola, ovvero della forma umana della nutrizione, è decisiva.
Una delle pagine più belle della Bibbia – è nel libro del profeta Isaia – racconta il sogno di Dio per l’umanità: un banchetto di grasse vivande e vini deliziosi cui posso accedere tutti i popoli della terra. Cibo buono e abbondante per tutti. Forse la più bella e vera immagine del paradiso.