Il segreto di Taylor Swift

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Concerto del Eras Tour di Taylor Swift a Milano – Sabato 13 Luglio 2024 (Foto Claudio Furlan/Lapresse)

In questi giorni di Taylor Swift si è detto e scritto di tutto, perfino che sarebbe stata parte di un piano segreto per sostituire Joe Biden come candidato alla presidenza degli Stati Uniti: lei, Michelle Obama e Arianna Huffington avrebbero dovuto organizzare primarie lampo per rimpiazzare l’anziano presidente.

Pare la versione aggiornata delle fantasie complottiste degli estremisti Repubblicani che per settimane si erano preparati a denunciare l’interferenza elettorale di Taylor Swift nella campagna presidenziale perché erano convinti che durante l’esibizione al Super Bowl davanti a milioni di americani avrebbe invitato a votare Biden. Non l’ha fatto, ovviamente.

Ma quello che conta è che ormai Taylor Swift può tutto, o almeno si è fatta questa reputazione. Nessuno è come lei nella musica, ma forse è più corretto dire che nessuno è come lei nell’intrattenimento globale. Prima che un (potenziale) fenomeno politico, Taylor Swift è diventata una potenza economica. In questi giorni è in Italia, 13 e 14 luglio a Milano, per un concerto del suo tour mondiale che ha polverizzato ogni record.

Mi sono occupato di lei nel mio libro Dieci rivoluzioni nell’economia globale (che l’Italia si sta perdendo), uscito nei mesi scorsi per UTET. Taylor Swift era la decima rivoluzione della serie. Credo che quegli appunti oggi possano risultare interessanti a chi sta scoprendo in queste ore dell’esistenza e della rilevanza di Taylor.

Persona dell’anno

Ogni anno la rivista Time sceglie una «persona dell’anno», una volta era «l’uomo dell’anno», ma i tempi cambiano. Oggi i settimanali sono residui di un’editoria del passato, ma almeno una volta all’anno Time riesce a farsi notare con questa copertina. Per il 2023 ha scelto come «persona dell’anno» Taylor Swift, che magari molti di voi non hanno neppure mai sentito nominare, ma è la cantante più importante del mondo, sia per i numeri che muove sia per il modo che ha scelto di gestire la propria carriera.

Taylor Swift sta riscrivendo le regole del settore musicale, ma non solo. Il suo successo planetario è rivelatorio di alcune tendenze più generali nei nostri consumi, in particolare di come la nostra vita analogica – quella nel mondo fisico – si sta integrando con quella digitale, sempre più rilevante.

Time ha scelto Taylor Swift come persona dell’anno perché «sfrutta il medium più efficace del momento – la canzone pop – per raccontare la sua storia». Una storia della quale Taylor Swift è architetta, eroina, protagonista e narratrice.

In un mondo sempre più polarizzato, Taylor Swift riesce a piacere a tutti, o quasi. Non si può dire neppure se sia un personaggio di destra o di sinistra, conservatrice o progressista: a 34 anni, ha già una lunga carriera alle spalle.

Il valore di Taylor

La sua biografia è quella di una tipica icona dell’immaginario popolare americano più conservatore: bionda, bianca, cresciuta in Pennsylvania da una famiglia di pura middle class con qualche problema economico, suona la chitarra con l’aria della ragazza della porta accanto in una scena musicale dove la scorciatoia per la carriera è ammiccare e provocare.

Però Taylor Swift è anche una perfetta icona progressista: donna di enorme successo che sta riuscendo, con fatica, a ribaltare i rapporti di forza in un settore nel quale le donne sono sempre pagate meno dei loro colleghi maschi; è stata vittima di comportamenti aggressivi e umiliazioni pubbliche, la più nota da Kanye West, ma ha reagito, ha trasformato la difficoltà in un disco e in un tour trionfale, canta sentimenti e malinconie per generare consapevolezza, non evocare fragilità.

«Ogni anno contiene luci e ombre, il 2023 ha avuto molte sfumature di oscurità. Ma in un mondo sempre più diviso, dove troppe istituzioni stanno venendo meno alla loro missione, Taylor Swift ha trovato un modo di superare i confini ed essere una fonte di luce: nessun altro sul pianeta oggi può toccare così tante persone in modo così profondo», ha scritto Sam Lansky in uno sterminato ritratto di Taylor Swift nel numero che la celebra.

Il valore artistico di Taylor Swift è anche un valore economico senza precedenti. Il sito del portale Ticketmaster è crollato quando ha iniziato a proporre i biglietti del suo ultimo tour: 4,1 milioni venduti, 2 milioni soltanto il primo giorno.

Nel mercato secondario, quello dove si scambiano biglietti a prezzi molto più alti di quelli di prima vendita, gli intermediari sono arrivati a chiedere 22mila dollari per un posto. La vicenda ha sollevato uno scandalo tale che se ne è dovuto occupare il Senato degli Stati Uniti.

Il tour Eras del 2023-2024, che celebra appunto le diverse «ere» del percorso di Taylor Swift, è uno show di 40 canzoni, 16 cambi d’abito, 180 minuti. Taylor Swift si è allenata a cantare il suo intero repertorio correndo sul tapis roulant per riuscire a gestire il ritmo dello spettacolo dal vivo.

I fan spendono in media 1.300 dollari a persona per ogni concerto, tra biglietto, trasferta, cibo, gadget. L’impatto sul territorio quando arriva Taylor Swift è tale che la Federal Reserve di Philadelphia ha indicato nella cantante una forza capace di cambiare l’andamento del settore turistico locale. In Nuova Zelanda hanno aggiunto appositi voli per favorire l’afflusso di fan. A Singapore i prezzi di hotel e voli sono saliti del 20 per cento in vista del tour di Taylor Swift.

Il risultato è che Eras è stato il primo tour della storia a superare il miliardo di dollari di incassi. Il record precedente era di Elton John che si era fermato a 939 milioni.

Anche il film basato sulle prime tappe del tour è stato un trionfo, ha incassato nel mondo 250 milioni di dollari, cifre da kolossal di supereroi o da cartoon della Disney.

Gli incassi del film sarebbero stati anche più alti se Taylor Swift non avesse imposto alle sale cinematografiche alcuni limiti, cioè la proiezione soltanto nel weekend, da giovedì a domenica, e a un prezzo calmierato: 19,89 dollari per tutti, un prezzo che evoca l’anno di nascita della cantante, e 13 dollari per i bambini, perché Taylor è nata il 13 dicembre.

Il risultato di questa strategia di prezzo è duplice: dare un segnale di attenzione al pubblico, tenendo il prezzo dei biglietti del cinema a un livello sostenibile, e limitare la concorrenza per gli show dal vivo.

Ancora pochi anni fa Taylor Swift cercava di trovare la sua strada in un settore che stava digerendo la transizione allo streaming, dopo la fine dei supporti fisici: CD e DVD sono ormai lontani ricordi, i vinili restano una nicchia, perfino le piattaforme di acquisto delle singole canzoni iniziano a essere parte del nostro passato tecnologico e non certo del futuro, visto che il nuovo consumo di massa è nei servizi su abbonamento come Spotify (o Youtube o Amazon Music).

Nel 2014 Taylor Swift ha lasciato Spotify e ritirato il suo catalogo, nel 2015 ha costretto Apple a pagare gli artisti anche per la loro musica che viene ascoltata durante i tre mesi di periodo di prova dell’utente. Come arma contrattuale ha minacciato di ritirare il suo album 1989 dalla piattaforma.

Nel 2017 è tornata su Spotify, ma rendeva disponibili i suoi album solo a tre settimane dall’uscita, per incentivare l’acquisto su altri supporti.

Quando ha rotto con il suo manager, ha sfruttato la pausa dai tour durante il Covid per registrare di nuovo tutti i suoi primi dischi e recuperare così il controllo sui diritti. Come effetto collaterale, ha inondato le piattaforme di nuove produzioni – anche se erano la nuova versione di dischi già usciti – e così si è insediata in cima a tutte le classifiche.

Perché punta sui tour

Dopo anni di indubitabili trionfi ma anche di sfide commerciali complesse, Taylor Swift sembra aver trovato un equilibrio che si regge sulle perfomance dal vivo: la popolarità negli ascolti in streaming è importante soprattutto perché costruisce e sedimenta una base di pubblico che poi viene monetizzata negli show in presenza.

Taylor Swift è in grado da sola di plasmare le traiettorie dell’industria discografica. Ma la questione più intrigante resta perché i suoi concerti sono così redditizi. Il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, in realtà, ha affrontato la questione dal punto di vista opposto: Taylor Swift è pagata troppo poco?

Già negli anni Cinquanta dell’Ottocento Jenny Lind – l’«Usignolo svedese» – faceva molti soldi con concerti dal vivo organizzati dal celebre impresario P.T. Barnum: 7.000 dollari a concerto, quasi 700.000 complessivi, circa 4,5 milioni di dollari di oggi. Taylor Swift ne incassa in media 13,6 milioni a concerto, e secondo Paul Krugman sono pochi: il pubblico dei concerti oggi è molto più vasto che a metà Ottocento.

Però, questa è la risposta che si dà Krugman, all’epoca non c’era Netflix, non c’era neppure il cinema per la verità: insomma, i concerti dal vivo erano una delle poche attività disponibili per chi poteva investire una parte del proprio reddito nell’intrattenimento. C’era meno domanda di oggi perché in pochi potevano permettersi svaghi, ma anche l’offerta era più ridotta e dunque impresari e artisti avevano potere contrattuale sufficiente a strappare prezzi più elevati.

Già vent’anni fa, però, all’inizio della fine dell’età dei CD e dei DVD, l’economista di Princeton Alan Krueger aveva intuito che nel mondo dei concerti dal vivo stava cambiando qualcosa. Tra il 1996 e il 2003 l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 17 per cento, ma il prezzo dei concerti dell’82 per cento. Come è possibile?

Krueger ha esplorato varie ipotesi. La prima è quella che si chiama «economia delle superstar», secondo l’intuizione di uno dei pionieri dell’economia, Alfred Marshall, poi sviluppata da Sherwin Rosen nel 1981. La teoria delle superstar si concentra sugli effetti della tecnologia: prima la radio, poi la televisione ora i social permettono a tutti di assistere alle performance degli stessi artisti. Mentre quando c’erano barriere fisiche la domanda finiva inevitabilmente per segmentarsi.

Ai tempi in cui c’erano solo gli spettacoli dal vivo, non si poteva scegliere più di tanto: o andavi a vedere quello che c’era a teatro in un certo periodo, oppure aspettavi che il cartellone cambiasse e arrivasse qualcos’altro.

Anche nella tutto sommato breve stagione dei vinili o dei CDd le preferenze erano concentrate: i fan potevano ascoltare soltanto quello che potevano acquistare nel loro negozio di fiducia. Non è così con la radio, la televisione, e soprattutto con lo streaming: tutto è a portata di mano.

La teoria delle superstar prevede che in questo nuovo contesto competitivo le differenze di qualità tra un artista e l’altro producono una maggiore concentrazione del pubblico rispetto al mondo di barriere precedente.

Una fan di Miley Cyrus che scopre Taylor Swift può passare in un attimo dall’una all’altra, abbandonare una cantante per quella che in quel momento apprezza di più. All’epoca dei CD non era così, ci voleva tempo e soprattutto denaro per costruirsi discografie di artisti appena scoperti: persino i CD masterizzati erano una barriera. Masterizzare l’intera discografia di Taylor Swift oggi costerebbe come diversi mesi di abbonamenti a un servizio di musica in streaming che permette di accedere a miliardi di contenuti.

La teoria delle superstar spiega alcuni dei dati che l’economista Alan Krueger osserva negli Stati Uniti: nel 1981 l’1 per cento degli artisti di maggior successo si accaparrava il 26 per cento di tutti i ricavi da concerti, nel 2003 la percentuale era salita al 56 per cento. Quindi si osserva proprio la concentrazione predetta da Alfred Marshall e Sherwin Rosen.

Però si nota anche una cosa strana: il numero dei concerti si riduce. Dunque i cambiamenti non sono soltanto dal lato della domanda, ma anche da quello dell’offerta.

L’ipotesi Bowie

David Bowie aveva previsto che la musica sarebbe diventata qualcosa di simile all’elettricità e all’acqua, disponibile per tutti e ovunque, per questo, diceva, gli artisti devono farsi trovare pronti.

L’ipotesi di Bowie si è rivelata fondata, osserva Krueger, e gli artisti hanno reagito in modo razionale. Taylor Swift e tutti gli altri operano in due mercati, quello della musica registrata e quello della musica dal vivo. Nel primo c’è una concorrenza quasi perfetta, il pubblico può cambiare da una canzone all’altra con un clic.

Nel secondo, quello dei concerti, gli artisti hanno sia margini di guadagno maggiori − perché non devono pagare alcuna piattaforma come intermediario − e anche maggiore potere negoziale, perché gli eventi funzionano come piccoli monopoli locali: se Taylor Swift è in una certa città in una certa data, non è da nessun’altra parte in quel momento.

Quando il mercato della vendita della musica registrata è diventato meno attraente perché troppo competitivo e con margini troppo bassi, gli artisti si sono dedicati di più a quello dei concerti che non servono più a promuovere i CD o i dischi, ma devono sorreggere l’intera attività. La complementarietà tra i due rami di attività si è ridotta, per dirla in gergo economico, e questo ha spinto i grandi artisti a spremere il più possibile dai concerti e a disinteressarsi quasi dei ricavi che arrivano dallo streaming.

Nei settori di nicchia come quello della musica jazz, frequentati da ascoltatori esigenti e con alta capacità di spesa, i download legali e illegali sono cresciuti più lentamente che nella musica pop e anche i prezzi dei concerti hanno seguito una traiettoria meno estrema, a conferma della teoria di Alan Krueger.

Krueger si è ucciso nel 2019 e dunque non è più qui ad analizzare il fenomeno Taylor Swift e le sue evoluzioni. Tutto quello che abbiamo visto finora, però, è coerente con la sua analisi. Sul futuro, però, l’incertezza è maggiore.

Arrivano le Omnistar?

L’Economist prevede l’arrivo della stagione delle «Omnistar»: grazie all’intelligenza artificiale, potrebbero cadere i vincoli all’offerta che hanno dato potere di mercato alle superstar di oggi.

La concentrazione della domanda rimarrebbe la stessa o potrebbe persino aumentare, per le ragioni previste da Marshall e Rosen, cioè perché la tecnologia renderà più facile per tutti accedere a tutte le star vicine e lontane. Già ora esistono chatbot che permettono di conversare con cantanti e attori, o meglio, con intelligenze artificiali in grado di replicare le loro sequenze verbali.

Nel 2022 il gruppo degli Abba ha investito 175 milioni di dollari per costruire uno spettacolo basato su avatar più giovani dei cantanti. Per mesi l’Abba Arena di Londra, costruita per l’occasione, ha registrato il tutto esaurito con i suoi 3.000 posti, fattura 2 milioni a settimana: «L’investimento è stato uno dei più lungimiranti della storia della musica recente», ha scritto Bloomberg.

L’idea è stata di Simon Fuller, già manager delle Spice Girls e produttore dello show American Idol, che ha visto nel 2013 una performance olografica del rapper Tupac Shakur, morto nel 1996. E così Fuller ha iniziato a cercare di costruire repliche digitali di artisti scomparsi, da Michael Jackson a Elvis Presley.

Gli Abba sono stati finora il suo più grande successo, perché non si è limitato a una replica olografica ma ha creato una esperienza immersiva totale: la combinazione tra immagini appositamente riprese di corpi giovani, per catturare le movenze giuste, effetti speciali digitali, luci e sensori dell’arena riesce a ricostruire una nuova realtà, non soltanto una imitazione minore.

Anche Now and Then indica un passaggio di fase: una nuova canzone dei Beatles, non soltanto una registrazione recuperata in qualche cassetto e restaurata. L’intelligenza artificiale ha reso possibile separare la voce di John Lennon dal pianoforte con cui faceva esperimenti negli anni Settanta per usarla in un nuovo prodotto, con John Lennon, George Harrison, anche lui morto, Paul McCartney e Ringo Starr.

La canzone ha conquistato le classifiche, ha commosso gli appassionati, ha sollevato alcuni dilemmi etici: John Lennon avrebbe apprezzato? È legittimo prendere l’equivalente di un appunto, di un prodotto grezzo, e completarlo senza che l’autore possa partecipare al processo?

La risposta non è ovvia, perché quello che fa l’intelligenza artificiale è offrire − su base probabilistica − proprio le risposte che l’autore avrebbe dato. Non siamo forse tutti il prodotto delle nostre scelte passate, dei pensieri che abbiamo avuto e delle esperienze che abbiamo vissuto? Oggi gran parte di tutto questo è digitalizzabile o accade online.

Ipotesi sul futuro

Peter C. Baker sul New York Times si chiede se questa possibilità di accedere ai talenti del passato non stimoli una certa pigrizia creativa: «Il timore è che per le aziende che condizionano la nostra vita culturale l’intelligenza artificiale funga soprattutto da strumento per riciclare quello che già esiste invece che investire su qualcosa di nuovo e su persone che non hanno alle spalle un catalogo già consolidato da spremere».

Se il timore di Baker è fondato, il settore della musica potrebbe andare incontro a una ulteriore concentrazione.

Pochissimi artisti − viventi o anche già morti − potrebbero assorbire il grosso dell’attenzione del pubblico, sia nella musica registrata che in quella dal vivo, se la tecnologia riuscirà a offrire una esperienza immersiva coinvolgente (già ora, in fondo, i concerti vivono di altoparlanti e maxischermi, solo una piccola parte dell’esperienza è priva di mediazioni). In questo caso la teoria delle «superstar» spingerà il mercato a essere dominato da pochissimi soggetti.

Ma potremmo anche vedere qualcosa di molto diverso. L’intelligenza artificiale applicata alla musica potrebbe aumentare la concorrenza in modo drastico: gli eventi virtuali potrebbero competere con quelli fisici. Tra un concerto di Taylor Swift da 1.3000 dollari, per vedere da lontano la cantante in uno stadio da 50.000 persone, e un concerto immersivo e digitale dei Beatles in pieni anni Sessanta a 50 dollari potrebbe essere difficile scegliere.

Per Taylor Swift, comunque, non c’è molto da preoccuparsi. Potrebbe essere l’ultima dei grandi talenti della generazione pre-intelligenza artificiale. O potrebbe essere l’apripista anche di questa nuova fase, e continuare a organizzare concerti e macinare ricavi per decenni a venire. Ha già dimostrato di sapersi reinventare, come toni, musica e personaggio senza supporto tecnologico, figurarsi cosa potrebbe fare con l’intelligenza artificiale.

Le ragazze che oggi vanno ai suoi concerti potrebbero offrire la stessa esperienza – mediata dalla tecnologia – anche alle loro figlie o perfino alle loro nipoti. Magari con una Taylor Swift che avrà sempre 33 anni, come sulla copertina di Time, che canta, citando Robert Frost, «la strada non presa adesso mi sembra quella migliore».

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