Se uno ti chiede un pane o un pesce, perché gli dai una pietra o una serpe?
Questa la domanda che avrei voluto porre ai componenti di un dibattitto televisivo su Rai Tre. Argomento: le droghe!
Descrivo le scene proposte e le profonde convinzioni espresse. Zone di degrado, “zombi che non camminano”, invocazioni di maggior controlli, lamentele per le immediate dimissioni dal carcere e per la non obbligatorietà della cura.
Dei presenti, chi parla del suo libro, chi del giornale per cui scrive, chi dei tanti viaggi da cui ha attinto la sua competenza e chi si accomoda il ciuffo esibendo nello stesso tempo la veste e il colletto bianco per comunicare la specificità della sua fede.
Riconosco una certa ironia (anche un po’ di rabbia) in questa mia descrizione. A rincarare la dose, sottolineo il fatto che non si è parlato di coloro che il colletto bianco l’hanno portato e lo portano a discapito di tanti sfruttamenti a livelli diversi. Comportamenti anche per merito dell’assunzione di “qualcosa d’altro” che rafforza ed esalta l’immagine dominate di sé.
Negli anni ottanta questi “zombi” li incontravo sui gradini di San Petronio della mia città. Poi si sono spostati. In luoghi visibili, invisibili e in molte viuzze collaterali.
Credo sarebbe opportuna questa domanda: se uno ti chiede un pane o un pesce, perché gli dai una pietra o una serpe? E per trovare una risposta adeguata a questa domanda, forse sarebbe opportuno aggiungerne un’altra: di che cosa uno ha fame?
Necessarie le analisi sociologiche e di contesto per una sicurezza territoriale e di convivenza. Ma indispensabile anche l’analisi del diffuso “star male dentro” che rende faticoso il vivere. La comprensione degli insopportabili buchi neri aiuterebbe a scoprire i vuoti relazionali preesistenti. E da parte di tutti – me compreso – il coraggio di chiedere aiuto quando occorre.
L’obbligatorietà della cura è un controsenso e il solo contenimento come soluzione fa comodo a chi è sempre impegnato a giudicare e a condannare gli altri.
In un gruppo di amici si parlava della necessità di passare dalla teologia all’antropologia. Che poi, nel Vangelo, le due cose stanno insieme!
Il nostro contesto promuove il “non sapete chi sono io” e, nello stesso tempo, nega o non promuove la vera valorizzazione di sé.
Impegnati a essere adeguati a tutto quello che ci viene richiesto – molti bisogni sono indotti – dimentichiamo la valorizzazione di quello che siamo, dei bisogni di relazioni gratificanti che abbiamo e della necessità di trovare senso nella gran parte di quello che facciamo.
Favolosa la domanda di Gesù ai suoi: e voi chi dite che io sia? Forse, parte significativa della nostra fame sta nella necessità di personalizzare le relazioni.