Il bullismo, fenomeno di inquietante attualità, al pari degli “atti persecutori”, è di fatto l’espressione di una società in cui sono dominanti i valori della sopraffazione e dell’arbitrio del più forte sul più debole, in cui i modelli vincenti sono quelli dell’arroganza e del non rispetto per l’altro. Esso va contrastato anche a costo di colpire con sanzioni penali i ragazzi, ancorché giovani e minorenni, che lo perpetrano.
È questo l’orientamento, particolarmente severo, della Corte di Cassazione, confermato da una sentenza, depositata giovedì 8 giugno.[1]
Anche in assenza di una legge ad hoc,[2] ai bulli che, con aggressioni fisiche e psicologiche, costringono il compagno di classe a cambiare scuola non prima di averlo sopraffatto al punto da indurlo ad “accettare” passivamente tali condotte, può essere contestato il reato di “atti persecutori”, di cui all’art. 612 bis c.p.[3]
Nel procedimento penale sfociato in Cassazione i giudici di legittimità dichiarano inammissibile il ricorso di quattro ragazzi contro la decisione della Corte di appello di Napoli, sezione per i minorenni, che li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia (dieci mesi di reclusione, con pena sospesa) per “atti persecutori” – complesso fenomeno socio/criminale enucleato dalla letteratura psichiatrica e da quella criminologica come stalking –, ai danni di un loro compagno di classe.
La vicenda, avvenuta nel 2009 in un istituto professionale di Alife (Caserta) e portata all’attenzione della massima autorità giurisprudenziale nazionale, è una storia di ordinario bullismo, come tante ne sono accadute e ne accadono, ma non vengono denunciate.
Nel caso in questione, invece, un ragazzo letteralmente preso di mira da un gruppo di bulli con comportamenti vessatori ripetuti, che vanno dalla semplice denigrazione per il modo di portare i capelli o per il modo in cui si comporta, sino a vere e proprie aggressioni fisiche, decide di denunciare, dopo essere stato costretto a trasferirsi in una scuola del Piemonte per proseguire gli studi.
Clima scolastico di connivenza e insipienza
A far da cornice alla penosa vicenda, forse uno degli aspetti che desta più preoccupazione e che dimostra quale sia il degrado sociale generale che si vive in alcuni istituti scolastici è il clima, accertato, di «connivenza» e «insipienza» – sono queste le parole usate nella sentenza – in capo a coloro che «dovendo vigilare sul funzionamento dell’istituzione, non hanno fatto nulla».
Al riguardo, infatti, va ricordato quanto recita l’articolo 28 della Costituzionale italiana: «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazioni di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli altri enti pubblici».
Dal punto di vista civilistico trova, poi, applicazione quanto previsto all’art. 2048 del Codice civile, secondo comma, che stabilisce che «i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza».
Si tratta di una responsabilità aggravata in quanto la presunzione di colpa può essere superata solamente laddove si dimostri di aver adeguatamente vigilato, ovvero si dia la prova del caso fortuito. Per superare la presunzione, l’istituto scolastico deve essere in grado di dimostrare di aver adottato “misure preventive” atte a scongiurare situazione antigiuridiche. Nella consapevolezza che non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stati in grado di predisporre un intervento correttivo o repressivo, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di situazioni pericolose.[4]
Bullismo: specificazione del reato di “atti persecutori”
Per la Corte di Cassazione, gli atti di bullismo – quale aggressione o molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime, idonee a provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, minacce o ricatti, offese o derisioni per ragioni di condizioni personali della vittima – integrano il reato di “atti persecutori” previsto dall’articolo 612 bis c.p.
A quanto consta, è la prima volta che la Corte di Cassazione si pronuncia su una questione del genere.
Nel caso portato all’ultimo grado di giudizio, le condotte reiterate di bullismo hanno generato nel ragazzo uno stato di perdurante ansia e timore comprovati da elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili sia dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, sia dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dai bulli, sia dal filmato di uno degli episodi persecutori realizzato con il cellulare da uno dei ragazzi partecipanti allo stalking.
Punto significativo della decisione del Tribunale napoletano, ritenuto altrettanto valido anche dai giudici della Cassazione, sono le dichiarazioni della vittima che aveva riferito come, ormai succube della violenza, dopo un’iniziale tentativo di ribellione, aveva accettato con rassegnazione le condotte di sopraffazione «per evitare altre botte».
Il fatto che il ragazzo, vittima del branco di bulli, abbia continuato a frequentare la scuola, nonostante il timore di ulteriori molestie (come anche l’assenza di tempestive denunce e di certificati medici), è stato ritenuto privo di decisività, alla luce dello stato di soggezione psicologica ampiamente argomentata dai giudici di merito. La circostanza, peraltro, è stata condivisibilmente letta alla luce del finale abbandono dell’istituto, teatro delle vicende.
Dal bullismo ci si può difendere
Come è noto, il reato di “atti persecutori” (art. 621 bis c.p.) è stato introdotto nel nostro ordinamento solo nel 2009.[5]
Da uno studio della Direzione statistica del Ministero della Giustizia svolto nel 2014 risulta che la maggior parte delle vittime di stalking siano donne, mentre gli stalkers risultano essere prevalentemente uomini. A tale dato, si accosta quello della frequenza dell’abbinamento della condotta criminale con la fase successiva alla rottura di legami di natura affettiva o sentimentale. Inoltre, si è pure constatato che sono più a rischio di stalking le categorie professionali impegnate nell’assistenza al prossimo (psichiatri, psicologi, assistenti sociali…).
Tuttavia, a commettere il delitto può essere “chiunque”. E anche il soggetto passivo, cioè chi subisce l’esecuzione del reato, è indicato dalla legge con un termine privo di carattere selettivo, come “taluno”. La scelta del legislatore di non precisare le qualità dei soggetti coinvolti è condivisibile. Non esiste, infatti, una sola tipologia di autore di atti persecutori, ma ne esistono diverse, così come diverse sono le tipologie di vittima. Accanto all’area più diffusa di punibilità (rapporti domestici, affettivi e sentimentali), proprio grazie alla formulazione asettica preferita dal legislatore, l’impiego della fattispecie ha trovato, può trovare e sta trovando più ampi orizzonti.
È significativo che la sentenza, decisa il 27 aprile, sia stata depositata l’8 giugno, a una decina di giorni dall’entrata in vigore della legge n. 71/2017 che introduce importanti disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno, altrettanto grave, del cyberbullismo. E come se i giudici di legittimità volessero ricordare che gli atti di bullismo, esclusi per volontà del legislatore dall’ambito di operatività della legge n. 71/2017, possono e debbono essere efficacemente contrastati e repressi utilizzando quanto la legge penale stabilisce in materia di “atti persecutori”.
[1] Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 28623 dell’8 giugno 2017.
[2] La recente legge 29 maggio 2017, n. 71 (pubblicata il 3 giugno 2017 ed entrata in vigore il 18 giugno 2017) recante “disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, ha deliberatamente scelto di non affrontare “di petto” il fenomeno del bullismo, concentrandosi, appunto, su disposizioni finalizzate a prevenire e contrastare il cyberbullismo. Cf. SettimanaNews.it n. 22/2017.
[3] Sul reato di stalking, cf. SettimanaNews.it n. 49/2016.
[4] Cassazione civile, Sez. III, sent. n. 5668 del 18 aprile 2001 e n. 2657 del 21 febbraio 2003. Sotto il profilo della responsabilità civile, va ricordato anche il ruolo dei genitori del minore, i quali, al pari degli insegnanti, sono passibili di condanna al risarcimento danni alla vittima per colpa (culpa in educando per i genitori; culpa in vigilando per gli insegnanti). L’esonero dalla responsabilità consegue alla dimostrazione (particolarmente difficile per i genitori, tenuti ai loro obblighi educativi) di non avere in alcun modo impedito il fatto.
[5] Con il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modifiche dalla legge 23 aprile 2009, n. 38.