Di fronte alle perdite più amare di persone care si sceglie – più o meno consapevolmente – di rimuovere le immagini di chi è scomparso e cercare i segni di chi non è più presente come prima. Nel primo caso spesso affiorano tentativi volti a lenire o zittire un dolore patito. Nell’altro decollano indagini volte a superare un’assenza e le sue ferite. A volte poi si scoprono tracce che fanno rinascere.
Avvertii quest’ultimo vissuto quando una mia ex alunna liceale, oggi brava fotografa e dottoranda in architettura, mi invitò ad una mostra che aveva allestito in una biblioteca comunale alle porte di Milano, nel marzo del 2019. Si intitolava “Noi. Fotografie di una ragazza degli anni ‘70”. In seguito alla prematura scomparsa della madre ella aveva trovato una scatola con una quarantina di negativi, un migliaio di fotografie ben catalogate e scattate da sua madre alla fine degli anni ‘70.
Sono il racconto visivo di una ragazza di allora, sensibile alle iniziative per la difesa dei diritti femminili, partecipe di relazioni affettive e di manifestazioni sociali in anni in cui il privato era vissuto pubblicamente. E il pubblico diventava presto impegno politico.
Ho conservato qualcosa di quella piccola e intensa mostra. Non c’era un catalogo ma semplici fogli colorati formato A4, ciascuno con 14 piccole fotografie e una didascalia che indicava la data (sempre il 1978) e luogo. Interni ed esterni tra Milano e la Brianza. Strade di città e di periferie, piazze affollate di ragazze e ragazzi durante una manifestazione. Camere e cucine casalinghe con giovani donne legate da amicizia. Le loro voci immaginarie narravano episodi e confidenze di vita personale e collettiva.
Il tutto è confluito in una mostra più importante “Caro Amore”, presso la Fabbrica del Vapore di Milano nel marzo scorso (cf. qui) e anche in un photobook (Nicoletta Grillo, Noi, Boite Edition). Vi rintracciamo un’affettuosa ricerca di senso laddove il senso manca perché la morte ha interrotto il prezioso colloquio tra chi ha generato e la sua amata figlia.
Difficile non pensare a questa esperienza creativa nel bilanciare la deriva consumistico-zuccherosa che la tradizionale Festa della Mamma innesca ogni anno tra immancabili fiori e cuoricini. Il pensiero femminista che ha individuato la differenza come tema centrale, accanto all’uguaglianza, ha indagato la fecondità e la criticità del rapporto tra madre e figlia.
Segnalo, fra i tanti, il libro di Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1991 e 2006 II edizione): un ringraziamento verso chi è stata matrice di vita e parola. Gli scritti raccolti in AA.VV Diotima, L’Ombra della madre (Liguori 2007) rimandano ad analisi e riverberi letterari e artistici: le scrittrici si firmano anche con il cognome della propria madre. Saltando indietro di qualche secolo ricordiamo le lettere alla lontana figlia, scritte tra 1671 e il 1690 da una nobile francese, Marie Sévigné in quella “civiltà della conversazione” ben illustrata dalla storica Benedetta Craveri. La parola, declinata al femminile, aveva allora la sua preziosa incubazione.
La maternità trascende simbolicamente il legame biologico: ci sono vere madri che non hanno mai partorito e donne che non hanno saputo favorire e valorizzare né scelte di libertà né parole di vita delle figlie nate dal loro grembo.
Ci sono due figli maschi sulla via di Emmaus, disillusi, inquieti, in ricerca. Colgono gli echi di Chi aveva dato loro vita. Li interpretano. Non abbandoneranno più quel Padre – (che è anche Madre) che restituirà loro la vitalità smarrita. La loro corsa avrà inizio e sarà sia personale che collettiva.
Antonella Cattorini Cattaneo ha il dono di impreziosire ogni argomento che tratta, dal più quotidiano e prima di lei nascosto, all’argomento di più alta portata come un tema storico. Serena Moroni