Ho letto e riletto con attenzione la splendida Lectio Degasperiana tenuta dall’arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, il nostro Ivan Maffeis, a Pieve Tesino il 18 agosto (cf. SettimanaNews, qui).
Mi permetto di proporre un umile contributo alla riflessione su alcuni passaggi, poiché credo siano di importanza vitale per il futuro della nostra democrazia e della nostra autonomia e perché questo “dono di pensiero” possa animare un sano dibattito sulla nostra società.
Parto dallo stimolante accostamento che don Ivan (mi scuserà se continuo a chiamarlo così) ha proposto fra la figura di Alcide De Gasperi e Mosè.
«Fu investito – dice don Ivan – della missione di attraversare il deserto per condurre un’accozzaglia di schiavi a riconoscersi popolo (e forse è questa la vera Terra Promessa, condizione che conta più del possesso della terra…)».
Ebbene io penso che questa, oggi, rappresenti la questione più importante e determinante. Qualche giorno fa, Tommaso Baldo, ricercatore e storico della Fondazione Museo storico del Trentino, dialogando sulla fine del grande Impero Austro-Ungarico, osservava come con esso venne a dissolversi il concetto di “popolo” (tanto caro al vecchio kaiser da portarlo, nell’ora più buia della proclamazione della guerra, a rivolgersi «Ai suoi popoli») e lentamente si affermò l’idea di “nazione”; meccanismo che inesorabilmente spostò il concetto sociale di “identità” verso quello di “appartenenza”.
Mosè vagò 40 anni nel deserto; ma il deserto prima che fisico e geografico fu deserto di coscienza e di valore. Non posso non pensare che, oggi, anche la nostra società viva drammaticamente questo deserto.
E in questo deserto, come accadde al popolo d’Israele, pullulano i falsi profeti e i falsi idoli.
De Gasperi – ricorda l’arcivescovo Ivan – era cosciente che la «vera politica è un sistema complesso che non tollera a lungo semplificazioni brutali».
Ebbene sono persuaso che dalla “scesa in campo” del Cavaliere, la politica abbia cessato di riconoscersi nella complessità di sistema e si sia adeguata a quelle semplificazioni necessarie per essere efficace nel nuovo rapporto che non si basa più sulle idee e sul ragionamento ma sulla ricerca del consenso spicciolo; l’elettore non è più l’obiettivo e il fine ultimo della politica ma ne è l’acquirente.
E in questo contesto si sono materializzi tutti i rischi che De Gasperi ha intravisto con il suo sguardo profetico; coloro che «nella politica fanno solo un’escursione, come dilettanti, e altri che la considerano come un accessorio di seconda importanza», o, aggiungerei sommessamente, la considerano come un “autobus” di cui servirsi per ottenere il consenso per poi scendere rapidamente e risalire su un altro a seconda dell’onda del momento; oppure coloro che sono disposti a «rinunciare alla propria coscienza per assoggettarsi alle lusinghe dell’autorità».
La piaga dei falsi profeti nella Bibbia è stigmatizzata con durezza: «Annunciano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra»: quanto è attuale questa immagine in un’epoca nella quale l’arma della paura è utilizzata per generare consenso e soprattutto per mantenerlo!
Ma ci fu un momento in cui, dopo tanto peregrinare, l’“accozzaglia di schiavi” divenne popolo: il giorno in cui Mosè portò quella legge che Dio aveva scritto sul Sinai.
E quella legge, declinata nell’Antico e Nuovo Testamento, è la legge dell’Amore!
Cito ancora, in questo senso, la Lectio: «Noi vogliamo la pace e l’ordine, ma l’ordine che nasce dalla giustizia. Il timore non è ordine, ma un puro fatto materiale. Il vero ordine si ha solo se esso deriva dall’amore. È questo il significato più profondo della parola pace in senso cristiano ed è questo il precetto fondamentale che deve ispirare la politica a sensi di fraternità e giustizia» disse De Gasperi nel 1925, in un drammatico discorso all’ultimo congresso del Partito Popolare, citando san Tommaso.
Allora – mi permetto di concludere –, se una battaglia, in senso ideologico e di pensiero, deve essere combattuta, è quella che porta anche la nostra società a riscoprirsi come popolo: De Gasperi intuì – ci ricorda don Ivan – come «il fine della lotta politica non fosse di assicurare il paradiso sulla terra, ma la dignità di ogni persona e la possibilità di ricomprendersi in un orizzonte di comunità», dunque in un sistema che si fondi sul legame indissolubile fra donne e uomini e comunità che, in fondo – io penso – è ciò che avvalora il senso dell’essere popolo.
Perché se si perde di vista questo legame e si fa leva sul concetto di appartenenza vuota ad una “nazione” o a una categoria indistinta di individui, allora i populismi e i meccanismi della paura del diverso divengono armi affilate che possono, sì, portare consenso ma che, inesorabilmente, rischiano di minare alle fondamenta la pace e le libertà; in questo modo popolo deriva a “massa”; fu così che il nazismo e il fascismo seppero manovrare le “masse” per giustificare gli orrori del secondo conflitto mondiale.
La fraternità, la difesa dei diritti inalienabili dell’uomo, sono fondamenta essenziali alle quale dobbiamo guardare se vogliamo uscire dal deserto e tornare a vedere il nostro popolo in cammino verso la libertà.
È un impegno e una sfida che appartiene a tutti, anche e soprattutto alla politica! Non è più sufficiente distinguersi e ritenersi profeti di comunità; è necessario tornare a sporcarsi le mani nel quotidiano, perché il cammino del deserto è ancora lungo e le insidie e i falsi profeti sono sempre, inesorabilmente, in agguato.
Anche nel nostro Trentino, dove il deserto della chiusura, dell’indifferenza, degli assordanti silenzi di fronte al grido dei poveri e degli ultimi che si nascondono sotto la soglia della nostra società è sempre più grande, è necessario ritornare a ricostruire intorno a quei valori incisi nella Carta Costituzionale, di cui De Gasperi fu, insieme ad altri, autore, per tornare ad essere profondamente e autenticamente popolo.
- Il testo è stato pubblicato su Il T – Quotidiano autonomo del Trentino-Alto Adige.
Maffeis è vescovo di Perugia-Città della Pieve, non Città di Castello (che è un’altra diocesi)