Ucraina: una guerra rivelatrice

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Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta, Rocco D’Ambrosio, teologo e docente alla Gregoriana e Riccardo Cristiano, giornalista vaticanista, hanno discusso della guerra in Ucraina con i fedeli della parrocchia romana di San Saturnino l’8 giugno scorso. Ecco le impressioni di due dei relatori.

Avevamo un’idea, un progetto per la discussione? Per fortuna no! Se pensassimo di avere ragione, che la verità fosse un qualcosa di statico e che come sempre sta lì, proprio lì, certamente avremmo seguito l’idea, il progetto. La verità è quella di sempre, oggi va solo spiegata nei termini giusti per illustrarla dopo Kiev. Tanto è quella. Noi, giudici eterni al di fuori e al di là della storia, dobbiamo solo coinvolgere nuovi soggetti nella sua presentazione.

Dunque, l’incontro sarebbe stato l’avvio del nostro “progetto culturale”, basato su tre relazioni: “La guerra giusta nella dottrina della Chiesa e la Costituzione Italiana” di Giovanni Maria Flick; “La dottrina, filo che unisce l’azione dei papi davanti ai conflitti” di Rocco D’Ambrosio; “L’Azione della Santa Sede dopo gli accadimenti del 24 febbraio 2022 quale servizio per la pace” di Riccardo Cristiano.

Una verità da cercare

Ma siccome noi non la pensiamo così, avevamo bisogno di uscire di casa e andarla a cercare, la verità, senza un progetto. In un certo senso abbiamo sentito il bisogno di usare l’invito della parrocchia di san Saturnino per incrociare le competenze teologiche di uno di noi, Rocco, con le competenze giuridiche di un altro, Giovanni Maria Flick e con quelle storiche, di un altro di noi, Riccardo, per cercare meglio, con l’etica, il diritto e la storia, quali siano le tracce che ci possano portare a scovarla insieme, la verità.

È nato così questo “noi”, che però non esiste, perché pensavamo che questa ricerca non fosse tra “noi”, ma con noi, cioè tra i tre che avevano scelto di cercare e gli interlocutori chiamati dalla parrocchia a trovare con noi. È emerso un risultato importante. Che la guerra, questa guerra, è importante, molto importante, perché ha tolto dai nostri occhi il velo che impediva di vedere che la guerra è dentro di noi. Era anche tra i noi riuniti in parrocchia, tra priorità personali e culturali diverse, molto diverse:

“Noi siamo chiamati a governare il mondo, e quindi i nostri errori sono più gravi di quelli degli altri. Sono i nostri errori la causa di quella degli altri.” Oppure: “Ma se noi non vogliamo avere problemi, è meglio che sparisca il problema. La pace conta di più”.

La guerra che coviamo in noi

Questo confronto a più facce, giuridica, etica, giornalistica, ha fatto emergere che la guerra è l’evidenziatore di un’altra guerra, quella che ha luogo dentro di noi. “Io bisogno di modelli, come vivo se non ne ho più? È per questo che bisogna offrire certezze totali, ma su chi siamo noi, chi sono io”.

Questo è stato importante per tutti e tre, giurista, giornalista e filosofo. Davvero non abbiamo modelli? Allora la guerra è a casa nostra. Ripudiare la guerra in questo caso vuol dire chiedere a tutti di essere come ognuno di noi per tirare un sospiro di sollievo e assicurarsi che il nostro modello è universale, non c’è nessun problema che mi riguardi in realtà!

Come si vede, porsi sulla soglia tra noi e la storia è complesso, pone un problema di identità. È emerso anche da una riflessione importante, quando Flick ha parlato di guerre sante. Se è chiaro che la guerra in Ucraina è santa per Putin e Kirill, questo aiuta chi si sente fuori da tutte le guerre sante a non volerli aiutare. Ma la mia guerra contro un mondo corrotto com’è? Non è “santa”? È una guerra “normale” o ha elementi “santi”?

Qui sono emersi degli incroci interessanti. Forse è per questo che un intervento ha invocato realismo. Tutte le guerre sante sono contro una corruzione totale e portano a una corruzione più totale ancora, in una corsa sfrenata verso l’abisso della purezza. Ma perché, in fondo, abbiamo bisogno di essere puri? Cosa è più puro dell’infliggere al colpevole il costo della sua colpa?

In questo modo, mescolando diritto, storia ed etica, è emerso proprio che l’Ucraina ci porta nella nostra guerra fluida. Siamo soli davanti al resto del mondo, ci confrontiamo ma nella bolla dei social, per confermarci che non siamo soli. Dunque, non ci sono più soglie sulle quale andare a porsi, i nostri modelli non possono essere scossi o messi in crisi, discussi o rivisti. Farlo sarebbe come immergersi senza boccaglio.

L’Occidente disorientato

La discussione così è diventata vera: riguardava la guerra interiore di un Paese che si sente Occidente, cioè guida del mondo, depositario dei destini degli altri, insignito di un titolo superiore, ma che ha perso la bussola e non vuole ammettere di non sapere più quale sia il nord, quale il sud, quali ingiustizie si consumano, dove ci sono più vittime e quanta responsabilità ha “l’economia che uccide” (papa Francesco).

In realtà mentre parlavamo di loro – gli ucraini – parlavamo di noi. Siamo in guerra ma senza saperlo, si spara ormai da tutti i palazzi ma nessuno lo dice, nessuno lo sa. L’Ucraina è anche la nostra grande metafora: ha senso resistere? O dobbiamo accettare che questa è la pace?

Pian piano l’assemblea non è stata più assembleare, ognuno parlava con sé. Ma lo faceva ad alta voce e questo cambiava tutto, perché la vera guerra è quella del combattere soli, con stereotipi ai quali ci siamo inchiodati. Flick, certamente un grande giurista, ha guardato negli occhi la nostra certezza che ripudiare la guerra lo si possa fare da soli. Sta accadendo qui? Abbiamo varcato la soglia, pensandolo, o ci siamo rassegnati a pensare solo per noi?

In un sinodo non c’è maggioranza e minoranza, e in effetti a San Saturnino, in questa serata, non è emersa la voglia di vincere. Questo è stato il successo della serata. Nell’ascolto di tanti bisogni di esprimersi è emersa la vera novità. Se guardiamo gli incontri normali, gli oratori parlano ma nessuno pone domande.

A San Saturnino si è discusso più a lungo di quanto si sia relazionato, ma più che domande sono emerse ricerche. Come a scoprire che forse insieme potremmo non vincere, ma costruire la pace – qui – prima che in Ucraina.

Il sogno di questa serata è che questo sinodo sulla guerra dentro di noi alla luce della guerra in Ucraina possa espandersi. Non per vincere: nei sinodi non si vince. Per camminare insieme in una società dove ognuno cammina da solo, parlando della guerra senza sapere di quale guerra stia realmente parlando.

Sarebbe bello se le parrocchie romane ne facessero non un progetto, ma un metodo aperto: la guerra ucraina è dentro di noi ed ha risvolti giuridici, etici e di attualità: scopriamoli insieme. Perché no?

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Un commento

  1. Giuseppe 17 giugno 2022

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