Dal 7 aprile è in vendita The Assassination of Julius Caesar, il nuovo album degli Ulver («lupi» in norvegese), band di Oslo tra i pionieri del genere metal in Scandinavia agli inizi degli anni Novanta, che nel corso della sua ventennale carriera si è continuamente evoluta fino a diventare una leggenda nel settore della musica d’avanguardia in tutto il mondo. Un risultato inaspettato per una band che opera senza il marketing, la pubblicità o il supporto di una casa discografica. Gli Ulver hanno sempre fatto della ricerca musicale il proprio marchio di fabbrica, incorporando nel proprio sound diversi stili: il rock, il jazz, il trip-hop, l’ambient e la musica classica. Una metamorfosi paragonabile a quella operata del gruppo pop Talk Talk negli anni ‘80.
Quello che invece è rimasto immutato, nella proposta degli Ulver, è il nucleo tematico-narrativo. Testi e atmosfere trattano, infatti, alcuni temi ricorrenti: la condizione umana, la vulnerabilità personale, il rapporto tra natura e cultura, la religione. Quest’ultimo aspetto in particolare ha rappresentato un elemento fondamentale nella svolta stilistica del gruppo che, sganciatosi dalle tematiche del folklore degli esordi, ha abbracciato sempre di più temi e figure dell’immaginario cristiano. Aspetto che di fatto avvicina la loro proposta alla musica sacra: «Immagino che i testi e le musiche siano come una pala d’altare, un dipinto in un luogo di culto», ha dichiarato il cantante.
Gli Ulver non sono però una band confessionale: Kristofer Rygg, cantante e mastermind del progetto, si è sempre dichiarato ateo, così come tutti gli altri membri, ma riconosce il potere e la forza dell’immaginario religioso cristiano, cifra fondamentale per cogliere la dimensione estetica e morale dell’occidente, così come il suo declino.
Dopo una trilogia di album metal dedicati alla mitologia nordica (1995-1997),[1] gli Ulver pubblicano Themes from William Blake’s The Marriage of Heaven and Hell (1998), adattamento musicale del poema in versi omonimo dello scrittore e pittore inglese William Blake. Album che segna l’avvicinamento del gruppo all’utilizzo di tematiche religiose. Il nuovo stile, fusione di jazz e musica elettronica, matura nel successivo Perdition City (2000), che trasporta l’inferno metafisico delle pagine di Blake nelle viscere di una metropoli immaginaria, in una sorta di film interiore. Tra mini-album e colonne sonore l’apice compositivo della band arriva nel 2007 con Shadows of The Sun, riflessione sull’autunno della società occidentale, affresco elegante e cupo, che getta le basi per la produzione successiva. Shadows of The Sun marca anche l’inizio dell’attività dal vivo della band.[2]
Il decimo album del gruppo, pubblicato nel 2013, vede la composizione di una messa – Messe I.X–VI.X, appunto – liberamente ispirata alla Terza sinfonia di Henryk Górecki; un progetto realizzato assieme alla Tromsø Chamber Orchestra e commissionato dal centro culturale omonimo. Messe I.X-VI.X è un rito in sei atti, espressione di una fede sofferta e tormentata. I brani sono quasi tutti strumentali, ad esclusione della bellissima Mother of Mercy, dedicata alla madre di Dio, e di Son of Man. Si trovano poi pezzi che si rifanno alla tradizione mistica di san Giovanni della Croce, riflessioni sul peccato e il perdono di Dio.
Il nuovo The assassination of Julius Caesar cambia nuovamente pelle musicale avvicinandosi prepotentemente all’electro-pop, accessibile ma ricercato, di band come Depeche Mode e Tears for Fears. Concettualmente però questo nuovo album si presenta come il più ambizioso lavoro della band: un percorso tra filosofia e teologia della storia, allegoria e mito, che traccia il passaggio della morte del paganesimo all’evento dell’eone cristiano e la tarda modernità. La tensione apocalittico-escatologica è fortissima in questo album degli Ulver, per certi versi assimilabile a The Future di Leonard Cohen.
Brani come Rolling Stone riflettono sulla seconda venuta di Cristo, So Falls the World medita sulla caduta dell’impero romano, Transverberation richiama il tentato assassinio di Giovanni Paolo II, accostandolo alle esperienze mistiche di Santa Teresa d’Avila e di Teresa di Lisieux. C’è poi Angelus Novus, brano che prende il titolo da una tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, a sua volta ispirata ad un quadro di Paul Klee dallo stesso titolo. La tesi di Benjamin, così come l’immagine a cui è legata, sono la sintesi perfetta dell’intero album: l’angelo della storia ha il viso rivolto al passato ed è spinto irresistibilmente verso il futuro, a cui volge le spalle.[3] Sono proprio questi gli elementi della difficile materia musicale e simbolica di cui si compone la nuova fatica discografica del gruppo di Oslo.
Innamorati dell’umanità e delle sue ambiguità, gli Ulver incarnano il disagio della civiltà, nostalgica nei confronti di una fine escatologica che tarda a venire e che chiede, pertanto, un investimento sempre maggiore di fiducia e speranza da parte dell’uomo nei confronti del proprio avvenire: «La speranza è difficile – ha detto in un’intervista Rygg –. Bella, talvolta irresistibile e schiacciante. Il resto è silenzio».
[1] Considerati tuttora punti di riferimento del genere.
[2] Dopo la loro prima performance dal vivo nel maggio 2009, al Festival della Letteratura Norvegese, la band ha registrato il tutto esaurito in sedi prestigiose come la Queen Elizabeth Hall di Londra, il Volksbühne di Berlino, la Casa da Musica di Porto e il Teatro Regio di Parma. La loro attività live è culminata con la performance tenutasi nel 2010 alla Norwegian National Opera di Oslo.
[3] Cf. W. Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 2014, 80.