Umanesimo ecologico

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La crisi socio-ambientale è un progressivo degrado della vita umana. L’espressione di Hans Jonas rende bene l’intreccio oggi necessario fra sostenibilità e responsabilità come impegno continuativo fra la generazione presente e quelle future. L’etica delle generazioni è anche un’etica della sostenibilità, come è emerso nel dialogo fra Enrico Giovannini (docente di statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata e portavoce Asvis-Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) e Simone Morandini (coordinatore del progetto “Etica, filosofia e teologia” della Fondazione Lanza e docente della Facoltà teologica del Triveneto) nel terzo appuntamento del ciclo “Dove va la morale? – Etica delle generazioni”, promosso a Padova da Facoltà teologica del Triveneto, Fondazione Lanza, Formazione all’impegno sociale e politico della diocesi di Padova. (http://www.fttr.it/etica-delle-generazioni/).

Simone Morandini: etica della sostenibilità e umanesimo ecologico

Quello che è in gioco è la sostenibilità umana e “responsabilità” significa soddisfare i bisogni della generazione presente senza pregiudicare analoga possibilità per quelle future. «Sostenibilità – spiega Simone Morandini – è avere una prospettiva attenta alla dimensione politico-economica e culturale, una capacità di futuro: è responsabilità condivisa – da parte della comunità internazionale, come di ognuno dei suoi membri – per il futuro della vita umana».

È in gioco quindi la dignità umana, quel diritto a un’esistenza dignitosa che compete a ogni donna e a ogni uomo, specie i più vulnerabili del presente come del futuro; un’opzione preferenziale per i poveri intrecciata con quella per i posteri. Occorre garantire l’umano entro l’ecosistema eppure irriducibile a esso: è l’ecologia integrale a cui richiama papa Francesco nella Laudato si’.

Si tratta, allora, di costruire un umanesimo in forme responsabili, relazionali e prospettiche, ben distanti da quelle ab-solute della modernità: «non l’antropocentrismo dell’homo oeconomicus, insaziabile nella sua sete di beni, né quello prometeico dell’illimitato agire tecnico trasformativo e nemmeno quello del consumatore di sensazioni della modernità liquida; ma un umanesimo ecologico». Ripensare lo sviluppo significa bilanciare le tre dimensioni di sostenibilità: economica, sociale e ambientale. Perché la sostenibilità è un’impresa globale.

Enrico Giovannini: l’utopia sostenibile

La storia parlerà di noi come della generazione che ha salvato il mondo o che lo ha affondato. Tertium non datur. È severa, e realista, l’analisi di Enrico Giovannini nel disegnare il bivio fondamentale in cui ristagna l’Occidente.

Le persone sono spaventate da un mostro a tre teste: globalizzazione; sicurezza, migrazioni e cambiamento climatico; automazione dei processi produttivi, crisi e povertà. «Le condizioni ambientali sono insostenibili – commenta –, ma lo schianto avverrà prima a causa dell’insostenibilità sociale».

L’uomo è di fronte a un trilemma: distopia, cioè la situazione attuale; retrotopia, vagheggiare il ritorno a un’età dell’oro, peraltro mai esistita, simboleggiato dallo slogan “let’s make us greater again”; utopia, il passaggio a un altro scenario.

Ma quale? Giovannini, rammentando che l’Italia non è su un sentiero di sviluppo sostenibile, richiama i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 (http://asvis.it/agenda-2030/#), impegno globale dei paesi delle Nazioni Unite che ha per slogan “nessuno resti indietro”.

«L’utopia è affrontare e cambiare il nostro sistema – afferma –. L’inserimento del principio dello sviluppo sostenibile nella prima parte della Costituzione, come è stato fatto recentemente in Belgio, Francia, Norvegia e Svizzera, sarebbe un modo “forte” per assicurare la tutela delle future generazioni e per questo è già partita la raccolta di firme per la proposta di legge costituzionale».

Ma se ci convincessimo a cambiare, riusciremmo a salvarci? «Quello che è certo – conclude – è che dobbiamo cambiare direzione, cambiare mentalità sia dal basso ma soprattutto dall’alto, a livello di governance e di imprese. La strada è durissima e non abbiamo le soluzioni, ma sappiamo che è necessario ripensarsi per trasformarsi. Di fronte a ciò si pone la scelta etica di ciascuno: se vuol essere un distopista, un retrotopista o un utopista».

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