Documento del Dicastero per la comunicazione “Verso una piena presenza. Riflessione pastorale sul coinvolgimento coi social media”.
1) L’umanità ha fatto passi da gigante nell’era digitale, ma una delle questioni urgenti ancora da affrontare riguarda il modo in cui noi, come individui e come comunità ecclesiale, possiamo vivere nel mondo digitale come “prossimo amorevole”, autenticamente presenti e attenti l’uno all’altro nel nostro comune viaggio lungo le “strade digitali”.
I progressi della tecnologia hanno reso possibili nuovi tipi di interazioni umane. In effetti, la questione non è più se confrontarsi o meno con il mondo digitale, ma come farlo. I social media in particolare sono un luogo in cui le persone interagiscono, condividono esperienze e coltivano relazioni come mai prima d’ora. Allo stesso tempo, però, mentre la comunicazione è sempre più influenzata dall’intelligenza artificiale, nasce l’esigenza di riscoprire l’incontro umano alla sua base. Negli ultimi due decenni, il nostro rapporto con queste piattaforme digitali ha subito una trasformazione irreversibile. È emersa la consapevolezza che queste piattaforme possono evolversi fino a diventare spazi co-creati e non solo qualcosa che usiamo passivamente. I giovani – così come gli anziani – chiedono che li si incontri lì dove sono, anche sui social media, perché il mondo digitale è “una parte significativa dell’identità e dello stile di vita dei giovani”[1].
2) Molti cristiani chiedono ispirazione e guida, poiché i social media, che sono una delle espressioni della cultura digitale, hanno avuto un impatto profondo sia sulle nostre comunità di fede sia sui nostri percorsi spirituali individuali.
Gli esempi di coinvolgimento fedele e creativo sui social media sono numerosi in tutto il mondo, da parte sia di comunità locali sia di individui che portano una testimonianza di fede su queste piattaforme, spesso in modo più pervasivo della Chiesa istituzionale. Ci sono anche numerose iniziative pastorali ed educative sviluppate da Chiese locali, movimenti, comunità, congregazioni, università e individui.
3) Anche la Chiesa universale si è occupata della realtà digitale. Dal 1967, per esempio, i messaggi annuali per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali offrono una riflessione in continua evoluzione sul tema. A partire dagli anni ’90, questi messaggi hanno trattato l’uso del computer e, dall’inizio degli anni 2000, hanno continuamente riflettuto su alcuni aspetti della cultura digitale e della comunicazione sociale. Sollevando questioni fondamentali per la cultura digitale, nel 2009 Papa Benedetto XVI ha affrontato i cambiamenti nei modelli di comunicazione affermando che i media non dovrebbero solo favorire la connessione tra le persone, ma anche incoraggiarle a impegnarsi in relazioni che promuovano “una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”[2]. In seguito, la Chiesa ha consolidato l’immagine dei social media come “spazi” e non solo come “strumenti”, e ha lanciato un appello affinché la Buona Novella sia annunciata anche negli ambienti digitali[3]. Da parte sua, Papa Francesco ha riconosciuto che il mondo digitale è “indistinguibile dalla sfera della vita quotidiana” e che sta cambiando il modo in cui l’umanità accumula conoscenze, diffonde informazioni e sviluppa relazioni[4].
4) Oltre a queste riflessioni, anche l’impegno pratico della Chiesa con i social media è stato efficace[5].Un momento storico recente ha mostrato chiaramente che i media digitali sono uno strumento molto efficace per il ministero della Chiesa. Il 27 marzo 2020, in una fase ancora iniziale della pandemia COVID-19, Piazza San Pietro era vuota ma piena di presenza. Una trasmissione televisiva e in live-streaming ha permesso a Papa Francesco di guidare un’esperienza globale trasformativa: una preghiera e un messaggio rivolti al mondo in lockdown. Nel bel mezzo di una crisi sanitaria che ha tolto la vita a milioni di esseri umani, le persone in tutto il mondo, in quarantena e in isolamento, si sono trovate profondamente unite tra loro e con il successore di Pietro[6].
Attraverso i media tradizionali e la tecnologia digitale, la preghiera del Papa ha raggiunto le case e toccato le vite delle persone in tutto il mondo. Le braccia aperte del colonnato del Bernini intorno alla piazza hanno potuto estendere un abbraccio a milioni di persone. Sebbene fisicamente distanti gli uni dagli altri, quanti si sono uniti al Papa in quel frangente erano presenti gli uni agli altri e hanno potuto sperimentare un momento di unità e comunione.
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5) Le pagine che seguono sono il frutto di una riflessione che ha coinvolto esperti, educatori, giovani professionisti e leader, laici, religiosi e clero. L’obiettivo è di affrontare alcune delle principali questioni che riguardano il modo in cui i cristiani dovrebbero utilizzare i social media. Non intendono essere delle “linee guida” puntuali per il ministero pastorale in questo ambito. La speranza è invece quella di promuovere una riflessione comune sulle nostre esperienze digitali, incoraggiando sia gli individui sia le comunità ad adottare un approccio creativo e costruttivo, che possa favorire una cultura della prossimità.
La sfida di promuovere relazioni pacifiche, significative e attente sui social media suscita un dibattito negli ambiti accademico e professionale, così come in quelli ecclesiali. Che tipo di umanità si riflette nella nostra presenza negli ambienti digitali? Quanto delle nostre relazioni digitali è frutto di una comunicazione profonda e sincera, e quanto invece è semplicemente plasmato da opinioni insindacabili e reazioni appassionate? Quanto della nostra fede trova espressioni digitali vive e rivitalizzanti? E chi è il mio “prossimo” sui social media?
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6) La parabola del buon Samaritano[7], con cui Gesù ci fa rispondere alla domanda “Chi è il mio prossimo?”, nasce dalla domanda di un esperto della legge: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Il verbo “ereditare” ci ricorda l’eredità della terra promessa che, in realtà, non è tanto un territorio geografico quanto un simbolo di qualcosa di più profondo e duraturo, qualcosa che ogni generazione deve riscoprire e che può aiutarci a ripensare il nostro ruolo all’interno del mondo digitale.
I. Attenzione alle insidie sulle “strade digitali”
Imparare a guardare dalla prospettiva di colui che è caduto nelle mani dei briganti (cfr. Lc 10,36)
Una terra promessa da riscoprire?
7) I social media sono solo una componente del fenomeno molto più ampio e complesso della digitalizzazione, che è il processo di trasferimento di molti compiti e dimensioni della vita umana alle piattaforme digitali. Le tecnologie digitali possono aumentare la nostra efficienza, dare slancio alla nostra economia e aiutarci a risolvere problemi finora insormontabili. La rivoluzione digitale ha esteso il nostro accesso alle informazioni e la nostra capacità di connetterci gli uni con gli altri oltre i limiti dello spazio fisico. Un processo che era già in atto negli ultimi tre decenni è stato accelerato dalla pandemia. Attività come l’apprendimento e il lavoro, che normalmente venivano svolte di persona, possono ora essere eseguite a distanza. I Paesi hanno anche apportato cambiamenti significativi nei loro sistemi giuridici e legislativi, adottando riunioni e votazioni online come alternativa agli incontri in presenza. La rapidità con cui si diffondono le informazioni sta cambiando anche il modo in cui opera la politica.
8) Con l’avvento del Web 5.0 e altri progressi nelle comunicazioni, il ruolo dell’intelligenza artificiale nei prossimi anni avrà un impatto sempre maggiore sulla nostra esperienza della realtà. Stiamo assistendo allo sviluppo di macchine che lavorano e prendono decisioni per noi; che possono imparare e prevedere i nostri comportamenti; sensori sulla nostra pelle in grado di misurare le nostre emozioni; macchine che rispondono alle nostre domande e imparano dalle nostre risposte o che usano i registri dell’ironia e parlano con la voce e le espressioni di quanti non sono più con noi. In questa realtà in continua evoluzione, molte domande richiedono ancora una risposta[8].
9) I notevoli cambiamenti che ha vissuto il mondo dalla comparsa di Internet hanno anche provocato nuove tensioni. Alcuni sono nati in questa cultura e sono quindi “nativi digitali”, altri stanno ancora cercando di abituarsi come “immigrati digitali”. In ogni caso, la nostra cultura è ormai una cultura digitale. Per superare la vecchia dicotomia tra “digitale” e “faccia a faccia”, alcuni non parlano più di “online” e “offline”, ma solo di “onlife”, incorporando la vita umana e sociale nelle sue varie espressioni, siano esse in spazi digitali o fisici.
10) Nel contesto della comunicazione integrata, che consiste nella convergenza dei processi di comunicazione, i social media svolgono un ruolo decisivo come un forum in cui si formano i nostri valori, le nostre convinzioni, il nostro linguaggio e le nostre ipotesi sulla vita quotidiana. Inoltre, per molti, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, l’unico contatto con la comunicazione digitale avviene attraverso i social media. Ben oltre l’atto di utilizzare i social media come strumento, viviamo in un ecosistema plasmato nel suo nucleo dall’esperienza della condivisione sociale. Mentre continuiamo a usare il web per le informazioni o l’intrattenimento, ci rivolgiamo ai social media in cerca di appartenenza e affermazione, trasformandoli in uno spazio vitale dove avviene la comunicazione dei valori e delle convinzioni fondamentali.
In questo ecosistema, si chiede alle persone di fidarsi dell’autenticità delle dichiarazioni d’intenti delle aziende di social media, che promettono, per esempio, di avvicinare il mondo, di dare a tutti il potere di creare e condividere idee o di dare una voce a tutti. Pur essendo consapevoli che questi slogan pubblicitari non vengono quasi mai tradotti in pratica, dal momento che le aziende si preoccupano molto più dei loro profitti, continuiamo ancora a credere alle promesse.
11) In effetti, quando le persone hanno iniziato a utilizzare Internet qualche decennio fa, già condividevano una versione di tale sogno: la speranza che il mondo digitale sarebbe stato uno spazio felice di conoscenza comune, informazione libera e collaborazione. Internet sarebbe stata una “terra promessa” in cui le persone avrebbero potuto fare affidamento su informazioni condivise sulla base della trasparenza, della fiducia e della competenza.
Insidie da evitare
12) Queste aspettative, tuttavia, non sono state esattamente soddisfatte.
Innanzitutto, siamo ancora di fronte a un “divario digitale”. Sebbene questa evoluzione si stia sviluppando più velocemente delle nostre capacità di comprenderla adeguatamente, molte persone ancora non hanno accesso non solo a cose essenziali come cibo, acqua, vestiti e assistenza sanitaria, ma anche alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Questo lascia un gran numero di persone ai margini della strada.
Inoltre, il “social media divide” sta diventando sempre più acuto. Le piattaforme che promettono di costruire comunità e connettere maggiormente le persone hanno invece reso più profonde varie forme di divisione.
13) Sulle “strade digitali” ci sono alcune insidie di cui essere consapevoli, che ci permettono di capire meglio come ciò sia potuto accadere.
Oggi non è possibile parlare di “social media” senza considerarne il valore commerciale, ovvero senza la consapevolezza che la vera rivoluzione è avvenuta quando i marchi e le istituzioni hanno riconosciuto il potenziale strategico delle piattaforme sociali, contribuendo a un rapido consolidamento di linguaggi e pratiche che negli anni hanno trasformato gli utenti in consumatori. Inoltre, gli individui sono sia consumatori sia merci: come consumatori, vengono proposte loro pubblicità personalizzate e contenuti sponsorizzati su misura. Come merce, i loro profili e i loro dati vengono venduti ad altre aziende con lo stesso scopo. Aderendo alle dichiarazioni d’intenti delle aziende di social media, gli utenti accettano anche “termini e condizioni” che di solito non leggono o non capiscono. È diventato di uso comune comprendere questi “termini e condizioni” secondo un vecchio adagio che dice “se non paghi, sei tu il prodotto”. In altre parole, non è gratis: stiamo pagando con minuti della nostra attenzione e byte dei nostri dati.
14) La crescente enfasi sulla distribuzione e sul commercio di conoscenze, dati e informazioni ha generato un paradosso: in una società in cui l’informazione svolge un ruolo così essenziale, è sempre più difficile verificare le fonti e l’accuratezza delle informazioni che circolano in digitale. Il sovraccarico di contenuti è risolto da algoritmi di intelligenza artificiale che decidono costantemente cosa mostrarci, sulla base di fattori che a malapena percepiamo o intuiamo: non solo le nostre scelte precedenti, i nostri like, le nostre reazioni o preferenze, ma anche le nostre assenze e distrazioni, le pause e i tempi di attenzione. L’ambiente digitale che ognuno vede – e perfino i risultati di una ricerca online – non è mai uguale a quello di un altro. Cercando informazioni nei browser, o ricevendole nel nostro feed su diverse piattaforme e applicazioni, di solito non siamo consapevoli dei filtri che condizionano i risultati. La conseguenza di questa personalizzazione sempre più sofisticata dei risultati è un’esposizione forzata a informazioni parziali, che corroborano le nostre idee, rafforzano le nostre convinzioni e ci conducono così a isolarci in un “effetto bolla”.
15) Le comunità online sui social media sono “punti di incontro”, solitamente modellati attorno agli interessi condivisi di “individui interconnessi”. Le persone presenti sui social media sono interpellate in base alle loro caratteristiche peculiari, alle loro origini, ai loro gusti e alle loro preferenze, e gli algoritmi che stanno dietro alle piattaforme online e ai motori di ricerca tendono ad aggregare coloro che sono “simili”, raggruppandoli e attirando la loro attenzione in modo da mantenerli online. Di conseguenza, le piattaforme di social media possono correre il rischio di impedire ai loro utenti di incontrare davvero l’“altro” che è diverso.
16) Tutti noi abbiamo visto sistemi automatizzati che rischiano di creare questi “spazi” individualistici, talvolta favorendo comportamenti estremi. I discorsi aggressivi e negativi si diffondono con facilità e rapidità, offrendo un terreno fertile per la violenza, l’abuso e la disinformazione. Sui social media, i diversi attori, spesso resi audaci da un mantello di pseudonimia, reagiscono costantemente gli uni agli altri. Tali interazioni di solito sono marcatamente diverse da quelle che avvengono negli spazi fisici, dove le nostre azioni sono influenzate dal feedback verbale e non verbale degli altri.
17) Essere consapevoli di tutte queste insidie ci aiuta a discernere e smascherare la logica che inquina l’ambiente dei social media e a cercare una soluzione a questo malcontento digitale. È importante apprezzare il mondo digitale e riconoscerlo come parte della nostra vita. Tuttavia, è nella complementarietà tra esperienze digitali e fisiche che si costruiscono una vita e un percorso umani.
18) Lungo le “strade digitali” molte persone vengono ferite dalla divisione e dall’odio. Non possiamo ignorarlo. Non possiamo essere solo passanti silenziosi. Per umanizzare gli ambienti digitali, non dobbiamo dimenticare quanti sono “lasciati indietro”. Possiamo vedere cosa sta succedendo solo se guardiamo dalla prospettiva dell’uomo ferito della parabola del Buon Samaritano. Come nella parabola, dove ci viene raccontato ciò che il ferito ha visto, la prospettiva degli emarginati e dei feriti digitali ci aiuta a comprendere meglio il mondo sempre più complesso di oggi.
Tessere relazioni
19) In un’epoca in cui siamo sempre più divisi, in cui ognuno si ritira nella propria bolla, i social media stanno diventando un sentiero che conduce molti all’indifferenza, alla polarizzazione e all’estremismo. Quando gli individui non si trattano gli uni gli altri come esseri umani, ma come mere espressioni di un certo punto di vista che non condividono, siamo di fronte a un’altra espressione della “cultura dello scarto” che diffonde la “globalizzazione – e la normalizzazione – dell’indifferenza”. Isolarsi nei propri interessi non può essere la via per ritrovare la speranza. La via da seguire è piuttosto coltivare una “cultura dell’incontro”, che promuove l’amicizia sociale e la pace tra persone diverse[9].
20) Pertanto, è sempre più urgente la necessità di utilizzare le piattaforme social in modo da andare oltre i propri silos, uscendo dal gruppo dei propri “simili” per incontrare gli altri.
Accogliere l’“altro”, cioè qualcuno che assume posizioni opposte alle mie o che sembra “diverso”, non è certo un compito semplice. “Perché dovrebbe interessarmi?”, potrebbe essere la nostra prima reazione. Possiamo ritrovare questo atteggiamento anche nella Bibbia, a partire dal rifiuto di Caino di essere il custode di suo fratello (cfr. Gn 4,9) e proseguendo con lo scriba che chiese a Gesù: “E chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29). Lo scriba intendeva stabilire un limite riguardo a chi è e chi non è il mio prossimo. Sembra quasi che vogliamo trovare una giustificazione per la nostra indifferenza; cerchiamo sempre di tracciare una linea tra “noi” e “loro”, tra “qualcuno che devo trattare con rispetto” e “qualcuno che posso ignorare”. In questo modo, quasi impercettibilmente, diventiamo incapaci di provare compassione per gli altri, come se le loro sofferenze fossero una loro responsabilità e non ci riguardassero[10].
21) La parabola del buon Samaritano, invece, ci sfida a confrontarci con la “cultura dello scarto” digitale e ad aiutarci reciprocamente a uscire dalla nostra zona di comfort, facendo uno sforzo volontario per andare incontro all’altro. Questo è possibile solo se ci svuotiamo di noi stessi, comprendendo che ognuno di noi è parte di quell’umanità ferita, e ricordando che qualcuno ci ha guardati e ha avuto compassione di noi.
22) Solo così possiamo – e dobbiamo – essere noi a fare il primo passo nel superare l’indifferenza, perché crediamo in un “Dio che non è indifferente”[11]. Possiamo e dobbiamo essere noi a smettere di chiedere “quanto devo preoccuparmi degli altri?” e iniziare invece ad agire come prossimo, rifiutando la logica dell’esclusione e ricostruendo una logica di comunità[12]. Possiamo e dobbiamo essere noi a passare da una concezione dei media digitali come esperienza individuale a una fondata sull’incontro reciproco che favorisce la costruzione della comunità.
23) Invece di agire come individui, produrre contenuti o reagire a informazioni, idee e immagini condivise da altri, dovremmo chiederci: come possiamo co-creare esperienze online più sane in cui le persone possano partecipare a conversazioni e superare le divergenze con spirito di ascolto reciproco?
Come possiamo mettere le comunità in condizione di trovare modi per superare le divisioni e promuovere il dialogo e il rispetto nelle piattaforme social?
Come possiamo riportare l’ambiente online a ciò che può e deve essere: un luogo di condivisione, di collaborazione e di appartenenza, fondato sulla fiducia reciproca?
24) Ognuno può contribuire a realizzare questo cambiamento impegnandosi con gli altri e sfidando se stesso nell’incontro con gli altri. Come credenti, siamo chiamati a essere comunicatori che si orientano intenzionalmente verso l’incontro. In questo modo, possiamo ricercare incontri che siano significativi e duraturi, invece che superficiali ed effimeri. In effetti, orientando le connessioni digitali all’incontro con persone vere, alla creazione di rapporti veri e alla costruzione di comunità vere, di fatto alimentiamo la nostra relazione con Dio. Detto questo, il nostro rapporto con Dio deve essere alimentato anche attraverso la preghiera e la vita sacramentale della Chiesa, che per la loro essenza non possono mai essere ridotte semplicemente all’ambito “digitale”.
II. Dalla consapevolezza al vero incontro
Imparare da colui che ha avuto compassione (cfr. Lc 10,33)
Ascoltatori intenzionali
25) La riflessione sulla nostra presenza sui social media è iniziata con la consapevolezza del modo in cui funzionano queste reti e delle opportunità e sfide che affrontiamo in esse. Se nelle reti sociali online è insita la tentazione dell’individualismo e dell’autoesaltazione, come descritto nel precedente capitolo, non siamo condannati a cadere, volenti o nolenti, in questi atteggiamenti. Il discepolo che ha incontrato lo sguardo misericordioso di Cristo ha sperimentato qualcosa di diverso. Lui o lei sa che la buona comunicazione inizia con l’ascolto e la consapevolezza di trovarsi davanti un’altra persona. L’ascolto e la consapevolezza mirano a favorire l’incontro e a superare gli ostacoli esistenti, compreso quello dell’indifferenza. Ascoltare in questo modo è un passo essenziale per coinvolgere gli altri, è un primo ingrediente indispensabile per la comunicazione e un requisito per un dialogo autentico[13].
26) Nella parabola del buon Samaritano, l’uomo picchiato e lasciato morire fu aiutato dalla persona più inaspettata: al tempo di Gesù, il popolo ebraico e quello samaritano erano spesso in contrasto. Semmai, il comportamento atteso sarebbe stata l’ostilità. Il Samaritano, invece, non vide quell’uomo malmenato come un “altro”, ma semplicemente come qualcuno che aveva bisogno di aiuto. Provò compassione, mettendosi nei panni dell’altro, e diede qualcosa di sé, il suo tempo e le sue risorse per ascoltare e accompagnare qualcuno che aveva incontrato[14].
27) La parabola può ispirare le relazioni sui social media perché mostra la possibilità di un incontro profondamente significativo tra due perfetti sconosciuti. Il Samaritano abbatte il “divario sociale”: va oltre i confini dell’accordo e del disaccordo. Mentre il sacerdote e il Levita passano accanto all’uomo ferito, il viaggiatore Samaritano lo vede e ne ha compassione (cfr. Lc 10,33). Compassione significa sentire che l’altra persona è una parte di me. Il Samaritano ascolta la storia di quell’uomo; si fa vicino perché è mosso dal di dentro.
28) Il Vangelo di Luca non riporta alcun dialogo tra i due uomini. Possiamo immaginare la scena del Samaritano che trova l’uomo ferito e, forse, gli chiede: “Cosa ti è successo?”. Ma anche senza parole, attraverso il suo atteggiamento di apertura e ospitalità, inizia un incontro. Quel primo gesto è un’espressione di cura, e questo è fondamentale. La capacità di ascoltare e di essere aperti ad accogliere la storia di un altro senza preoccuparsi dei pregiudizi culturali dell’epoca ha impedito che l’uomo ferito venisse dato per morto.
29) L’interazione fra i due uomini ci suggerisce di compiere il primo gesto nel mondo digitale. Siamo invitati a vedere il valore e la dignità di chi è diverso da noi. Siamo anche invitati a guardare oltre la nostra rete di sicurezza, i nostri silos e le nostre bolle. Diventare prossimi nell’ambiente dei social media richiede intenzionalità. E tutto inizia con la capacità di ascoltare bene, di lasciare che la realtà dell’altro ci tocchi.
Ladri di attenzione
30) L’ascolto è un’abilità fondamentale che ci permette di entrare in rapporto con gli altri e non solo di scambiare informazioni. I nostri dispositivi, tuttavia, sono carichi di informazioni. Ci troviamo inseriti in una rete di informazioni, in contatto con altri attraverso post condivisi di testo, immagini e suoni. Le piattaforme social ci permettono di scorrere all’infinito mentre esploriamo tale contesto. Mentre video e suoni hanno certamente aumentato la ricchezza mediatica della comunicazione digitale, le nostre interazioni mediate rimangono ancora limitate. Spesso troviamo informazioni in modo rapido e senza il contesto completo e necessario. Possiamo reagire con la stessa facilità e rapidità alle informazioni su uno schermo, senza andare alla ricerca della storia completa.
31) Questa abbondanza di informazioni ha molti vantaggi: quando facciamo parte della rete, le informazioni sono prontamente e ampiamente accessibili e personalizzate in base ai nostri interessi. Possiamo ottenere informazioni pratiche, mantenere contatti social, esplorare risorse e approfondire e allargare le nostre conoscenze. La facilità di accesso alle informazioni e alla comunicazione ha anche il potenziale di creare spazi inclusivi che diano voce a coloro che nelle nostre comunità sono emarginati dall’ingiustizia sociale o economica.
32) Allo stesso tempo, la disponibilità infinita di informazioni ha creato anche alcune sfide. Sperimentiamo il sovraccarico di informazioni, quando la nostra capacità cognitiva di elaborazione soffre a causa dell’eccesso di informazioni a nostra disposizione. In modo analogo, sperimentiamo un sovraccarico di interazioni social, quando siamo soggetti a un alto livello di sollecitazioni social. Diversi siti web, applicazioni e piattaforme sono programmati per sfruttare il nostro desiderio umano di riconoscimento e lottano costantemente per ottenere l’attenzione delle persone. L’attenzione stessa è diventata il bene e la risorsa più preziosa.
33) In tale contesto, la nostra attenzione non è concentrata, mentre cerchiamo di navigare in questa travolgente rete di informazioni e interazioni social. Invece di concentrarci su una questione alla volta, la nostra continua attenzione parziale migra rapidamente da un argomento all’altro. Nella nostra condizione di “sempre connessi”, siamo esposti alla tentazione di postare all’istante, poiché siamo fisiologicamente assuefatti alla sollecitazione digitale, desiderando sempre più contenuti in uno scrolling infinito e frustrati da qualsiasi mancanza di aggiornamenti. Una sfida cognitiva importante della cultura digitale è la perdita della nostra capacità di pensare in modo profondo e mirato. Scrutiamo la superficie e restiamo in acque poco profonde, piuttosto che ponderare le cose in profondità.
34) Dobbiamo essere più attenti a questo aspetto. Senza il silenzio e lo spazio per pensare lentamente, profondamente e in modo mirato, rischiamo di perdere non solo le capacità cognitive ma anche la profondità delle nostre interazioni, sia umane che divine. Lo spazio per l’ascolto deliberato, per l’attenzione e per il discernimento della verità sta diventando raro.
Il processo chiamato attenzione-interesse-desiderio-azione, ben noto ai pubblicitari, è simile al processo attraverso il quale ogni tentazione entra nel cuore umano e distoglie la nostra attenzione dall’unica parola davvero significativa e donatrice di vita, la Parola di Dio. In un modo o nell’altro, stiamo ancora prestando attenzione all’antico serpente che ci mostra ogni giorno nuovi frutti. Essi sembrano “buoni da mangiare e gradevoli alla vista, e anche desiderabili per acquisire saggezza” (Gen 3,6). Come semi sul sentiero dove viene seminata la parola, permettiamo al male di avvicinarsi e di portare via la parola che è stata seminata in noi (cfr. Mc 4,14-15).
35) Con questo sovraccarico di stimoli e di dati che riceviamo, il silenzio è un bene prezioso, perché assicura lo spazio per la concentrazione e il discernimento[15]. La spinta a cercare il silenzio nella cultura digitale accresce l’importanza della concentrazione e dell’ascolto. Negli ambienti educativi o lavorativi, così come nelle famiglie e nelle comunità, cresce l’esigenza di staccarsi dai dispositivi digitali. Il “silenzio” in questo caso può essere paragonato a una “disintossicazione digitale”, che non è semplicemente un’astinenza, ma piuttosto un modo per entrare più profondamente in contatto con Dio e con gli altri.
36) L’ascolto scaturisce dal silenzio ed è fondamentale per prendersi cura degli altri. Ascoltando accogliamo una persona, le offriamo ospitalità e le mostriamo rispetto. Ascoltare è anche un atto di umiltà da parte nostra, poiché riconosciamo la verità, la saggezza e il valore al di là della nostra prospettiva limitata. Senza una disposizione all’ascolto, non siamo in grado di ricevere il dono dell’altro.
Con l’orecchio del cuore
37) Con la velocità e l’immediatezza della cultura digitale, che mettono alla prova la nostra attenzione e capacità di concentrazione, l’ascolto diventa ancora più importante nella nostra vita spirituale. Un approccio contemplativo alla vita è controcorrente, addirittura profetico, e può essere formativo non soltanto per le persone, ma anche per la cultura nel suo insieme.
Impegnarsi nell’ ascolto sui social media è un punto di partenza fondamentale per progredire verso una rete fatta non tanto di byte, avatar e “mi piace” quanto di persone[16]. In questo modo passiamo dalle reazioni rapide, dalle ipotesi fuorvianti e dai commenti impulsivi al creare opportunità di dialogo, sollevare domande per saperne di più, manifestare cura e compassione, e riconoscere la dignità di coloro che incontriamo.
38) La cultura digitale ha aumentato a dismisura il nostro accesso agli altri. Questo ci offre anche l’opportunità di ascoltare molto di più. Spesso quando si parla di “ascolto” nei social media, si fa riferimento a processi di monitoraggio dei dati, statistiche sugli interessi e azioni finalizzate a un’analisi di marketing dei comportamenti social presenti sulle reti. Ovviamente ciò non basta a rendere i social media ambienti di ascolto e dialogo. L’ascolto intenzionale nel contesto digitale richiede un ascolto con “l’orecchio del cuore”. Ascoltare con “l’orecchio del cuore” va oltre la capacità fisica di percepire suoni. Ci spinge invece ad aprirci all’altro con tutto il nostro essere: un’apertura del cuore che rende possibile la vicinanza[17]. È un atteggiamento di attenzione e ospitalità che è fondamentale per stabilire una comunicazione. Questa saggezza si riferisce non solo alla preghiera contemplativa, ma anche a chi cerca relazioni autentiche e comunità genuine. Il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro – con Dio – rimane un’esigenza umana fondamentale, che è evidente anche nel desiderio di connessione tipico della cultura digitale[18].
39) Il dialogo interiore e la relazione con Dio, resi possibili dal dono divino della fede, sono essenziali per farci crescere nella capacità di ascoltare bene. Anche la Parola di Dio ha un ruolo fondamentale in questo dialogo interiore. L’ascolto orante della Parola nelle Scritture attraverso la pratica della lettura spirituale di testi biblici, come nella lectio divina, può essere molto formativo poiché consente un’esperienza lenta, deliberata e contemplativa[19].
40) “Parola del Giorno” o “Vangelo del Giorno” sono tra i termini più ricercati su Google dai cristiani, e si può dire che l’ambiente digitale ci ha offerto anche molte nuove e più semplici possibilità per un regolare “incontro” con la Parola divina. Il nostro incontro con la Parola del Dio vivente, anche online, sposta il nostro approccio dal vedere informazioni sullo schermo all’incontrare un’altra persona che racconta una storia. Se teniamo presente che ci stiamo connettendo con altre persone dietro lo schermo, l’esercizio dell’ascolto può estendere l’ospitalità alle storie degli altri e iniziare a stabilire relazioni.
Discernere la nostra presenza sui social media
41) Dal punto di vista della fede, cosa comunicare e come comunicarlo non è solo una questione pratica, ma anche spirituale. Essere presenti sulle piattaforme social invita al discernimento. Comunicare bene in questi contesti è un esercizio di prudenza, che richiede una riflessione orante su come coinvolgersi con gli altri. Porsi di fronte a questo tema attraverso la lente della domanda dello scriba: “Chi è il mio prossimo?” invita al discernimento riguardo alla presenza di Dio nel modo e attraverso il modo in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri sulle piattaforme social.
42) Sui social media, la prossimità è un concetto complesso. Il “prossimo” sui social media è più chiaramente la persona con cui manteniamo dei contatti. Allo stesso tempo, il nostro prossimo spesso è anche chi non possiamo vedere, o perché le piattaforme ci impediscono di farlo o perché semplicemente non è presente. Gli ambienti digitali sono condivisi anche da altri partecipanti, come gli “internet bots” e i “deepfake”, programmi informatici automatizzati che operano online con compiti assegnati, spesso simulando azioni umane o raccogliendo dati.
Inoltre, le piattaforme social sono controllate da una “autorità” esterna, di solito un’organizzazione a scopo di lucro che sviluppa, gestisce e promuove le modifiche al funzionamento della piattaforma. In senso più ampio, tutti questi soggetti abitano nella o contribuiscono alla “prossimità” online.
43) Riconoscere il nostro prossimo digitale significa riconoscere che la vita di ogni persona ci riguarda, anche quando la sua presenza (o assenza) è mediata da strumenti digitali. “I mezzi attuali permettono che comunichiamo tra noi e che condividiamo conoscenze e affetti”, afferma Papa Francesco in Laudato si’. “Tuttavia, a volte anche ci impediscono di prendere contatto diretto con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la complessità della sua esperienza personale”[20]. Essere prossimi sui social media significa essere presenti alle storie degli altri, soprattutto di quanti soffrono. In altre parole, promuovere un ambiente digitale migliore non significa distogliere l’attenzione dai problemi concreti che vivono molte persone, come ad esempio la fame, la povertà, le migrazioni forzate, le guerre, le malattie e la solitudine. Significa, invece, promuovere una visione integrale della vita umana che, oggi, include il contesto digitale. I social media, infatti, possono essere un modo per richiamare l’attenzione su queste realtà e costruire solidarietà tra persone vicine e lontane.
44) In una visione dei social media come spazio non solo per le connessioni ma, in fondo, anche per le relazioni, un buon “esame di coscienza” riguardo alla nostra presenza sui social media dovrebbe includere le tre relazioni vitali: con Dio, con il nostro prossimo e con l’ambiente che ci circonda[21]. Le nostre relazioni con gli altri e con l’ambiente dovrebbero nutrire la nostra relazione con Dio, e la relazione con Dio, che è la più importante, deve essere visibile nelle nostre relazioni con gli altri e con l’ambiente.
III. Dall’incontro alla comunità
“Abbi cura di lui” (cfr. Lc 10,35) – estendere il processo di guarigione agli altri
Faccia a faccia
45) La comunicazione inizia con la connessione e procede verso la relazione, la comunità e la comunione[22]. Non c’è comunicazione senza la verità di un incontro. Comunicare è stabilire relazioni, è “essere con”. Essere comunità significa condividere con gli altri le verità fondamentali su ciò che si possiede e ciò che si è. Ben oltre la semplice vicinanza geografico-territoriale o etnico-culturale, ciò che costituisce una comunità è una comune condivisione della verità unita a un senso di appartenenza, reciprocità e solidarietà, nei diversi ambiti della vita sociale. Nel considerare questi ultimi elementi, è importante ricordare che la costruzione di una comune unità attraverso le pratiche comunicative, che mantengono i legami sociali attraverso il tempo e lo spazio, sarà sempre secondaria rispetto all’adesione alla verità stessa.
46) Come costruire una comunità attraverso le pratiche comunicative anche tra persone che non sono vicine fisicamente è in realtà una questione molto antica. Possiamo riconoscere una tensione tra la presenza mediata e il desiderio di incontro personale già nelle lettere degli apostoli. L’evangelista Giovanni, ad esempio, conclude la sua seconda e terza lettera dicendo: “Molte cose avrei da scrivervi, ma non ho voluto farlo con carta e inchiostro; spero tuttavia di venire da voi e di poter parlare a viva voce, perché la nostra gioia sia piena” (2Gv 12). Lo stesso vale per l’apostolo Paolo che, anche in assenza e nel “vivo desiderio di rivedere” le persone dal vivo (1Ts 2,17), era presente con le sue lettere nella vita di ogni comunità da lui fondata (cfr. 1Cor 5,3). I suoi scritti servivano anche a “interconnettere” le diverse comunità (cfr. Col 4,15-16). La capacità di Paolo di costruire comunità è stata trasmessa ai nostri giorni attraverso le sue numerose lettere, dove apprendiamo che per lui non c’era dicotomia tra presenza fisica e presenza attraverso la sua parola scritta letta dalla comunità (cfr. 2Cor 10,9-11).
47) Nella realtà sempre più onlife del mondo di oggi, è necessario superare una logica “aut-aut”, che pensa alle relazioni umane in una logica dicotomica (digitale vs. reale-fisica-di persona), e assumere una logica “et-et”, basata sulla complementarietà e sull’interezza della vita umana e sociale. Le relazioni comunitarie nelle reti social dovrebbero rafforzare le comunità locali e viceversa. “L’uso della rete sociale è complementare all’incontro in carne e ossa, che prende vita attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo e il respiro dell’altro. Se la rete viene utilizzata come estensione o aspettativa di tale incontro, allora il concetto di rete non viene tradito e rimane una risorsa per la comunione”[23]. “Il mondo digitale può essere un ambiente ricco di umanità; una rete non di fili ma di persone”[24], se ricordiamo che dall’altra parte dello schermo non ci sono “numeri” o semplici “aggregati di individui”, ma persone che hanno storie, sogni, aspettative, sofferenze. C’è un nome e un volto.
Sulla strada per Gerico
48) I media digitali permettono alle persone di incontrarsi al di là dei confini dello spazio e delle culture. Sebbene questi incontri digitali non portino necessariamente a una vicinanza fisica, possono essere comunque significativi, d’impatto e reali. Al di là delle semplici connessioni, possono essere una via per coinvolgersi con gli altri in modo sincero, per intraprendere conversazioni significative, per esprimere solidarietà e per alleviare l’isolamento e il dolore di qualcuno.
49) I social media possono essere considerati come un’altra “strada per Gerico”, ricca di opportunità di incontri imprevisti, come lo fu per Gesù: con un mendicante cieco che gridava ad alta voce sul ciglio della strada (cfr. Lc 18,35-43), con un esattore delle tasse disonesto che si nascondeva tra i rami di un fico (cfr. Lc 19,1-9), con un uomo ferito lasciato in fin di vita dai ladri (cfr. Lc 10,30). Allo stesso tempo, la parabola del Buon Samaritano ci ricorda che il solo fatto che qualcuno sia “religioso” (un sacerdote o un Levita) o affermi di essere un seguace di Gesù, non è garanzia che offrirà aiuto o che cercherà guarigione e riconciliazione. Il cieco fu rimproverato dai discepoli di Gesù e gli fu detto di stare zitto; l’interazione di Zaccheo con Gesù fu accompagnata dai borbottii delle altre persone; l’uomo ferito fu semplicemente ignorato dal sacerdote e dal Levita che passavano di lì.
50) Nei crocevia digitali come negli incontri personali, essere “cristiani” non è sufficiente. Sui social media è possibile trovare molti profili o account che proclamano contenuti religiosi ma non si lasciano coinvolgere nelle dinamiche relazionali in modo autentico. Interazioni ostili e violente, parole denigranti, soprattutto nel contesto della condivisione di contenuti cristiani, gridano dallo schermo e sono in contraddizione con il Vangelo stesso[25].
Al contrario, il buon Samaritano, che è attento e aperto all’incontro con l’uomo ferito, è mosso da compassione nell’agire e prestargli assistenza. Si prende cura delle ferite della vittima e la porta in una locanda per assicurarle che continui a essere curata. Allo stesso modo, il nostro desiderio di rendere i social media uno spazio più umano e relazionale deve tradursi in atteggiamenti concreti e gesti creativi.
51) Promuovere un senso di comunità significa prestare attenzione ai valori condivisi, alle esperienze, alle speranze, ai dolori, alle gioie, all’umorismo e persino ai momenti di gioco che, di per sé, possono diventare punti di aggregazione per le persone negli spazi digitali. Come per l’ascolto, il discernimento e l’incontro, anche formare una comunità con gli altri richiede un impegno personale. Ciò che viene definito “amicizia” dalle piattaforme social inizia semplicemente come una connessione o una conoscenza. Tuttavia, anche lì è possibile evidenziare uno spirito condiviso di sostegno e compagnia. Diventare una comunità richiede un senso di partecipazione libera e reciproca, per diventare un’associazione voluta che riunisce i membri in base alla prossimità. La libertà e il sostegno reciproco non emergono automaticamente. Per formare una comunità, il lavoro di guarigione e riconciliazione è spesso il primo passo da compiere nel percorso.
52) Persino nei social media, “ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza. E se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon Samaritano”[26].
Tutti noi possiamo essere dei passanti sulle “strade digitali”, semplicemente “connessi”[27]; oppure possiamo fare qualcosa come il Samaritano e permettere che le connessioni si trasformino in veri incontri. Il passante casuale diventa “prossimo” quando presta assistenza all’uomo ferito, fasciando le sue ferite. Nel prendersi cura di lui, mira a guarire non solo le ferite fisiche, ma anche l’ostilità e le divisioni che esistono tra i loro gruppi sociali.
53) Cosa significa allora “curare” le ferite sui social media? Come possiamo “ricucire” le divisioni? Come costruire ambienti ecclesiali in grado di accogliere e integrare le “periferie geografiche ed esistenziali” delle culture odierne? Domande come queste sono essenziali per discernere la nostra presenza cristiana sulle “strade digitali”.
“Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti. Come il viandante occasionale della nostra storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto”[28].
«Va’ e anche tu fa’ così»
54) La relazione genera relazione, la comunità costruisce comunità. La grazia della relazione che si instaura tra due persone supera la loro interazione. La persona umana è fatta per la relazione e per la comunità. Allo stesso tempo, la solitudine e l’isolamento affliggono la nostra realtà culturale, come abbiamo sperimentato in modo acuto durante la pandemia da COVID-19. Chi cerca compagnia, soprattutto gli emarginati, spesso si rivolge agli spazi digitali per trovare comunità, inclusione e solidarietà con gli altri. Mentre molti hanno trovato conforto nel connettersi con gli altri nello spazio digitale, alcuni lo trovano inadeguato. Potremmo non riuscire a creare uno spazio per coloro che cercano di entrare in dialogo e trovare sostegno senza trovarsi di fronte ad atteggiamenti giudicanti o diffidenti.
55) Il movimento dall’incontro alla relazione e quindi alla comunità parla tanto ai doni quanto alle sfide della cultura digitale. A volte le comunità online si formano quando le persone trovano un terreno comune nel riunirsi contro un “altro” esterno, un nemico ideologico comune. Questo tipo di polarizzazione produce un “tribalismo digitale” in cui gruppi si oppongono ad altri in spirito di contrapposizione. Non possiamo dimenticare la presenza di altri, fratelli e sorelle, persone con dignità al di là di queste linee tribali. “Non dobbiamo catalogare gli altri per decidere chi è il mio prossimo e chi non lo è. Dipende da me essere o non essere prossimo – la decisione è mia – dipende da me essere o non essere prossimo della persona che incontro e che ha bisogno di aiuto, anche se estranea o magari ostile”[29]. Purtroppo i rapporti incrinati, i conflitti e le divisioni non sono estranei alla Chiesa. Per esempio, quando gruppi che si presentano come “Cattolici” usano la loro presenza sui social media per alimentare la divisione, non si comportano come una comunità cristiana dovrebbe fare[30]. Invece di sfruttare i conflitti e i clickbait polemici, gli atteggiamenti ostili dovrebbero diventare occasioni di conversione, un’opportunità per testimoniare l’incontro, il dialogo e la riconciliazione su questioni che in apparenza dividono[31].
56) Il coinvolgimento nei social media deve andare oltre lo scambio di opinioni personali o l’emulazione di comportamenti. L’azione sociale mobilitata tramite i social media ha avuto un impatto maggiore ed è spesso più efficace nel trasformare il mondo rispetto a un superficiale confronto sulle idee. I dibattiti sono solitamente limitati dal numero di caratteri consentito e dalla velocità con cui le persone reagiscono ai commenti altrui, per non parlare delle argomentazioni emotive ad hominem – attacchi diretti alla persona che parla, indipendentemente dall’argomento principale di cui si discute.
Condividere le idee è necessario, ma le idee da sole non funzionano; devono diventare “carne”. Le azioni devono fertilizzare il terreno giorno dopo giorno[32].
Imparando dal Samaritano, siamo chiamati a diventare attenti a questa dinamica. Egli non si limita a provare pietà; non si limita nemmeno a fasciare le ferite di uno straniero. Si spinge oltre, portando l’uomo ferito in una locanda e provvedendo affinché le sue cure continuino lì[33]. Grazie a questo accorgimento, la relazione di cura e i semi di comunità stabiliti tra il Samaritano e l’uomo ferito vengono estesi al locandiere e alla sua famiglia.
Come il dottore della legge anche noi, nella nostra presenza sui media digitali, siamo invitati ad “andare e fare lo stesso”, promuovendo così il bene comune. Come possiamo contribuire a risanare un ambiente digitale tossico? Come possiamo promuovere l’ospitalità e le opportunità di guarigione e riconciliazione?
57) L’ospitalità si costruisce sulla nostra apertura all’incontro con l’altro; attraverso di essa accogliamo Cristo nelle sembianze dello straniero (cfr. Mt 25,40). Per questo, le comunità digitali devono condividere contenuti e interessi, ma anche agire insieme e diventare testimoni di comunione. Esistono già espressioni significative di comunità di cura nel contesto digitale. Ad esempio, ci sono comunità che si riuniscono per supportare gli altri nelle esperienze di malattia, perdita e lutto, come pure comunità che fanno crowdfunding per qualcuno in difficoltà e quelle che assicurano sostegno sociale e psicologico ai membri. Tutti questi tentativi possono essere considerati esempi di “prossimità digitale”. Persone molto diverse tra loro possono intraprendere un dialogo online finalizzato a un’azione sociale. Possono essere o meno ispirate dalla fede. In ogni caso, le comunità che si formano per agire per il bene degli altri sono fondamentali per superare l’isolamento nei social media.
58) Possiamo pensare ancora più in grande: il social web non è scolpito nella pietra. Possiamo cambiarlo. Possiamo diventare protagonisti del cambiamento, immaginando nuovi modelli costruiti sulla fiducia, la trasparenza, l’uguaglianza e l’inclusione. Insieme possiamo sollecitare le aziende dei media a riconsiderare il loro ruolo e lasciare che Internet diventi davvero uno spazio pubblico. Gli spazi pubblici ben strutturati sono in grado di promuovere un comportamento social migliore. Dobbiamo quindi ricostruire gli spazi digitali in modo che diventino ambienti più umani e più sani.
Condividere un pasto
59) Come comunità di fede, la Chiesa è in pellegrinaggio verso il Regno dei Cieli. Poiché i social media e, più in generale, la realtà digitale, sono tra gli aspetti cruciali di questo cammino, è importante riflettere sulle dinamiche di comunione e comunità riguardo alla presenza della Chiesa nell’ambiente digitale.
Durante i momenti di lockdown più duri della pandemia, la trasmissione di celebrazioni liturgiche attraverso i social media e altri mezzi di comunicazione ha offerto un certo conforto a quanti non potevano partecipare di persona. Tuttavia, c’è ancora molto su cui riflettere nelle nostre comunità di fede rispetto a come sfruttare l’ambiente digitale in un modo che integri la vita sacramentale. Sono state sollevate questioni teologiche e pastorali su vari aspetti: ad esempio, lo “sfruttamento commerciale” della ritrasmissione della Santa Messa.
60) La comunità ecclesiale si forma dove due o tre si riuniscono nel nome di Gesù (cfr. Mt 18,20), indipendentemente dalla propria origine, residenza o appartenenza geografica. Se da un lato possiamo riconoscere che con la trasmissione della Messa la Chiesa è entrata nelle case delle persone, dall’altro è necessario riflettere su che cosa significa “partecipazione” all’Eucaristia[34]. La comparsa della cultura digitale e l’esperienza della pandemia hanno rivelato quanto le nostre iniziative pastorali abbiano prestato poca attenzione alla “Chiesa domestica”, quella che si riunisce nelle case e intorno alla tavola. A questo proposito, dobbiamo riscoprire il legame tra la liturgia che si celebra nelle nostre chiese e la celebrazione del Signore con i gesti, le parole, le preghiere nella propria casa. In altre parole, dobbiamo ripristinare il ponte tra le nostre mense familiari e l’altare, dove siamo nutriti spiritualmente attraverso la ricezione della Santa Eucaristia e confermati nella nostra comunione di credenti.
61) Non si può condividere un pasto attraverso uno schermo[35]. Tutti i nostri sensi sono coinvolti quando condividiamo un pasto: il gusto e l’olfatto, gli sguardi che contemplano i volti dei commensali, mentre si ascolta la conversazione che si crea a tavola. Condividere un pasto a tavola è la prima forma di attenzione verso l’altro, che favorisce le relazioni tra membri della famiglia, vicini, amici e colleghi. Allo stesso modo, all’altare partecipiamo con tutta la persona: mente, spirito e corpo sono coinvolti. La liturgia è un’esperienza sensoriale; entriamo nel mistero eucaristico attraverso le porte dei sensi che vengono risvegliati e nutriti nel loro bisogno di bellezza, significato, armonia, visione, interazione ed emozione. Soprattutto, l’Eucaristia non è qualcosa che possiamo semplicemente “guardare” ma è qualcosa che ci nutre veramente.
62) L’incarnazione è importante per i cristiani. Il Verbo di Dio si è incarnato in un corpo, ha sofferto ed è morto con il suo corpo e nella Risurrezione è risorto con il suo corpo. Dopo essere tornato al Padre, tutto ciò che ha vissuto con il suo corpo è confluito nei sacramenti[36]. È entrato nel santuario celeste e ha lasciato aperta una via di pellegrinaggio. Attraverso questa via, il cielo si riversa su di noi.
63) Essere connessi oltre i confini dello spazio non è una conquista di “meravigliose scoperte tecnologiche”. È qualcosa che sperimentiamo, anche senza saperlo, ogni volta che ci “riuniamo nel nome di Gesù”, ogni volta che partecipiamo alla comunione universale del corpo di Cristo. Lì ci “connettiamo” con la Gerusalemme celeste e incontriamo i santi di ogni tempo e ci riconosciamo reciprocamente come parti dello stesso Corpo di Cristo.
Pertanto, come ci ricorda Papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2019, il social web è complementare – ma non sostitutivo – di un incontro in carne e ossa che prende vita attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo e il respiro dell’altro. “Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. […] La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui ‘like’, ma sulla verità, sull’‘amen’, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri” [37].
IV. Uno stile distintivo
Amerai… e vivrai (cfr. Lc 10,27-28)
Il che cosa e il come: la creatività dell’amore
64) Molti creatori di contenuto cristiani si chiedono: Qual è la strategia più efficace per raggiungere più utenti-persone-anime? Quale strumento rende il mio contenuto più attraente? Quale stile funziona meglio? Sebbene queste domande siano utili, dobbiamo ricordare sempre che la comunicazione non è semplicemente una “strategia”. È molto di più. Un vero comunicatore dà tutto, dà tutto se stesso/se stessa. Comunichiamo con l’anima e con il corpo, con la mente, con il cuore, con le mani, con tutto[38].
Condividendo il Pane della Vita, impariamo uno “stile di condivisione” da Colui che ci ha amati e ha dato se stesso per noi (Cfr. Gal 2,20). Questo stile si riflette in tre atteggiamenti – “vicinanza, compassione e tenerezza” – che Papa Francesco definisce come tratti distintivi dello stile di Dio[39]. Gesù stesso, nella sua cena di commiato, ci ha assicurato che il segno distintivo dei suoi discepoli sarebbe stato quello di amarsi gli uni gli altri come Lui li ha amati. Da questo tutti sono in grado di riconoscere una comunità cristiana (Cfr. Gv 13,34-35).
Come si potrebbe riflettere questo “stile” di Dio sui social media?
65) Prima di tutto, dobbiamo ricordare che tutto ciò che condividiamo nei nostri post, commenti e like, attraverso parole pronunciate o scritte, con filmati o immagini animate, deve essere in linea con lo stile che impariamo da Cristo, che ha trasmesso il suo messaggio non solo con le parole, ma con tutto il suo stile di vita, rivelando che la comunicazione, al suo livello più profondo, è il dono di sé nell’amore[40]. Pertanto, il come diciamo qualcosa è importante esattamente come il che cosa diciamo. La creatività consiste nell’assicurarsi che il come corrisponda al che cosa. In altre parole, possiamo comunicare bene solo se “amiamo bene”[41].
66) Per comunicare la verità, dobbiamo innanzitutto accertarci di trasmettere informazioni veritiere; non solo nel creare i contenuti, ma anche nel condividerli. Dobbiamo assicurarci di essere davvero una fonte attendibile. Per comunicare bontà, abbiamo bisogno di contenuti di qualità, di un messaggio orientato ad aiutare, non a danneggiare, a promuovere un’azione positiva, non a perdere tempo in discussioni inutili. Per comunicare la bellezza, dobbiamo accertarci che stiamo comunicando un messaggio nella sua interezza, il che richiede l’arte della contemplazione, arte che ci permette di vedere una realtà o un evento in relazione con molte altre realtà ed eventi.
Nel contesto della “post-verità” e delle “fake news”, Gesù Cristo come “via, verità e vita” (Gv 14,6) rappresenta il principio della nostra comunione con Dio e tra di noi[42]. Come ci ha ricordato Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Comunicazione del 2019, “il dovere di custodire la verità nasce dalla necessità di non smentire il rapporto reciproco di comunione. La verità si rivela nella comunione. La menzogna, invece, è un rifiuto egoistico di riconoscere che siamo membra di un unico corpo; è un rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unico modo di trovare se stessi”[43].
67) Per questo motivo, la seconda cosa da ricordare è che un messaggio è più facilmente credibile quando chi lo comunica appartiene a una comunità. C’è un bisogno urgente di imparare ad agire non solo come individui, ma come comunità. Il fatto che i social media facilitino le iniziative individuali nella produzione di contenuti può sembrare un’opportunità preziosa, ma può rivelarsi problematico quando le attività individuali sono portate avanti secondo il capriccio e non riflettono l’obiettivo e la prospettiva generale della comunità ecclesiale. Mettere da parte la propria agenda e l’affermazione delle proprie capacità e competenze, per scoprire che ognuno di noi – con tutti i propri talenti e le proprie debolezze – è parte di un gruppo, è un dono che ci abilita a collaborare come “membra gli uni degli altri”. Siamo chiamati a testimoniare uno stile di comunicazione che alimenti la nostra appartenenza l’uno all’altro e che rianimi quelle che San Paolo ha definito le “giunture” che permettono alle membra di un corpo di agire in sinergia (Col 2,19).
68) La nostra creatività, pertanto, può essere solo il risultato della comunione: non è tanto il risultato di un grande genio individuale, quanto il frutto di una grande amicizia. In altre parole, è il frutto dell’amore. Come comunicatori cristiani siamo chiamati a testimoniare uno stile di comunicazione che non sia fondato solo sull’individuo, ma su un modo di costruire la comunità e l’appartenenza. Il modo migliore per trasmettere un contenuto è mettere insieme le voci di coloro che amano quel contenuto. Lavorare insieme come squadra, fare spazio a talenti, provenienze, capacità e ritmi diversi, co-creare bellezza in una “creatività sinfonica” è in realtà la più bella testimonianza che siamo davvero figli di Dio, riscattati dall’essere preoccupati solo di noi stessi e aperti all’incontro con gli altri.
Raccontarlo con una storia
69) Le buone storie catturano l’attenzione e coinvolgono l’immaginazione. Rivelano e danno ospitalità alla verità. Le storie ci offrono un quadro interpretativo per comprendere il mondo e per rispondere alle nostre domande più profonde. Le storie creano comunità perché la comunità si crea sempre attraverso la comunicazione.
Lo storytelling ha acquisito una rinnovata importanza nella cultura digitale grazie al potere unico delle storie di catturare la nostra attenzione e parlarci direttamente; spesso offrono anche un contesto più completo per la comunicazione rispetto a quello che consentono post o tweet concisi. La cultura digitale è piena di informazioni e le sue piattaforme sono ambienti per lo più caotici. Le storie offrono una struttura, un modo di dare un senso all’esperienza digitale. Più “incarnate” di una pura argomentazione e più complesse delle reazioni superficiali ed emotive che spesso si riscontrano nelle piattaforme digitali, aiutano a ripristinare le relazioni umane offrendo alle persone l’opportunità di raccontare le proprie storie o condividere quelle che le hanno trasformate.
70) Un buon motivo per raccontare una storia è rispondere a chi mette in dubbio il nostro messaggio o la nostra missione. La creazione di una contro-narrativa può essere più efficace per rispondere a un commento ostile del rispondere con un’argomentazione[44]. In questo modo spostiamo l’attenzione dalla difesa alla promozione attiva di un messaggio positivo e alla coltivazione della solidarietà, come fece Gesù con la storia del buon Samaritano. Invece di discutere con il dottore della legge su chi dobbiamo considerare il nostro prossimo e chi possiamo ignorare o addirittura odiare, Gesù ha semplicemente raccontato una storia. Da maestro narratore, Gesù non mette il dottore della legge nei panni del Samaritano, ma in quelli dell’uomo ferito. Per scoprire chi è il suo prossimo, deve prima capire di essere nei panni dell’uomo ferito e che un altro ha avuto compassione di lui. Solo quando il dottore della legge lo scopre e sperimenta sulla propria pelle la cura del Samaritano, può trarre conclusioni sulla propria vita e fare sua la storia. Lo stesso dottore della legge è l’uomo caduto nelle mani dei briganti e il Samaritano che gli si avvicina è Gesù.
Ognuno di noi ascoltatori di questa storia è l’uomo ferito che giace lì. E per ognuno di noi il Samaritano è Gesù. Se ci chiediamo ancora “chi è il mio prossimo?” è perché non abbiamo ancora sperimentato che siamo amati e che la nostra vita è connessa a tutte le altre vite.
71) Fin dai primordi della Chiesa, il racconto della profonda esperienza vissuta dai seguaci di Gesù alla sua presenza ha attirato altri al discepolato cristiano. Gli Atti degli Apostoli sono pieni di questi esempi. Per esempio, Pietro fu abilitato dallo Spirito Santo e predicò la Resurrezione di Cristo ai pellegrini della Pentecoste. Questo portò alla conversione di tremila persone (cfr. At 2,14-41), Qui riusciamo a farci un’idea di quanto la nostra narrazione possa influenzare gli altri. Allo stesso tempo, raccontare storie ed esperienze è solo uno degli elementi dell’evangelizzazione. Sono importanti anche le spiegazioni sistematiche della fede attraverso la formulazione dei Simboli della Fede e di opere dottrinali.
Costruire la comunità in un mondo frammentato
72) Le persone cercano qualcuno che possa dare orientamento e speranza; sono affamate di guida morale e spirituale, ma spesso non la trovano nei luoghi tradizionali. È ormai comune rivolgersi agli “influencer”, individui che ottengono e mantengono un ampio seguito, acquisiscono maggiore visibilità e riescono a ispirare e motivare gli altri con le loro idee o esperienze. Adottato dalla teoria dell’opinione pubblica per l’approccio del social media marketing, il successo di un social media influencer è legato alla sua capacità di distinguersi nella vastità della rete, attirando un gran numero di follower.
73) Di per sé, diventare “virali” è un’azione neutra; non ha automaticamente un impatto positivo o negativo sulla vita degli altri. A questo proposito, “le reti sociali sono capaci di favorire le relazioni e di promuovere il bene della società, ma possono anche condurre ad un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone e i gruppi. L’ambiente digitale è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale”[45].
74) Micro e macro influencer
Tutti noi dovremmo prendere sul serio la nostra “influenza”. Non ci sono solo macro-influencer con un grande pubblico, ma anche micro-influencer. Ogni cristiano è un micro-influencer. Ogni cristiano dovrebbe essere consapevole della propria potenziale influenza, a prescindere dal numero di persone che lo/la seguono. Al tempo stesso, deve essere consapevole che il valore del messaggio trasmesso dall’“influencer” cristiano non dipende dalle qualità del messaggero. Ogni seguace di Cristo ha il potenziale per stabilire un legame, non con se stesso/se stessa, ma con il Regno di Dio, anche per la più piccola cerchia delle sue relazioni. “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia” (At 16,31).
Tuttavia, dobbiamo riconoscere che la nostra responsabilità aumenta con l’aumento del numero dei follower. Più è grande il numero dei follower più deve essere grande la nostra consapevolezza che non stiamo agendo a nome nostro. La responsabilità di servire la propria comunità, soprattutto per coloro che ricoprono ruoli di leadership pubblica, non può diventare secondaria rispetto alla promozione delle proprie opinioni personali dai pulpiti pubblici dei media digitali[46].
75) Essere riflessivi, non reattivi
Lo stile cristiano deve essere riflessivo, non reattivo, anche sui social media. Pertanto, dobbiamo essere tutti attenti a non cadere nelle trappole digitali nascoste in contenuti che sono intenzionalmente progettati per seminare conflitti tra gli utenti, provocando indignazione o reazioni emotive.
Dobbiamo essere cauti nel postare e condividere contenuti che possono causare malintesi, esacerbare le divisioni, incitare al conflitto e approfondire i pregiudizi. Purtroppo, la tendenza a lasciarsi trasportare in discussioni accese e talvolta irrispettose è comune negli scambi online. Tutti noi possiamo cadere nella tentazione di cercare la “pagliuzza nell’occhio” dei nostri fratelli e sorelle (Mt 7,3), lanciando accuse pubbliche sui social media, fomentando divisioni all’interno della comunità ecclesiale o discutendo su chi tra noi sia il più grande, come fecero i primi discepoli (Lc 9,46). Il problema di una comunicazione e superficiale, e quindi divisiva, è particolarmente preoccupante quando proviene dalla leadership della Chiesa: vescovi, pastori e leader laici di spicco. Questi non solo causano divisione nella comunità, ma autorizzano e legittimano anche altri a promuovere un tipo di comunicazione simile.
Di fronte a questa tentazione, spesso la migliore linea d’azione è non reagire o reagire con il silenzio per non dare dignità a questa falsa dinamica. Si può dire che questo tipo di dinamica non aiuta; al contrario, provoca grandi danni. Quindi i cristiani sono chiamati a mostrare un’altra via.
76) Essere attivi, essere sinodali
I social media possono diventare un’opportunità per condividere storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza che sono fisicamente lontane da noi. Così facendo, potremo pregare insieme e cercare insieme il bene, riscoprendo ciò che ci unisce[47]. Essere attivi significa impegnarsi in progetti che riguardano la vita quotidiana delle persone: progetti che promuovono la dignità umana e lo sviluppo, che mirano a ridurre le disuguaglianze digitali, che promuovono l’accesso digitale all’informazione e all’alfabetizzazione, che promuovono iniziative di stewardship e crowdfunding a favore di chi è povero ed emarginato e che danno voce a chi non ha voce nella società.
Le sfide che dobbiamo affrontare sono globali e richiedono quindi uno sforzo di collaborazione globale. Pertanto, è urgente imparare ad agire insieme, come comunità e non come individui. Non tanto come “singoli influencer”, ma come “tessitori di comunione”: mettendo in comune i nostri talenti e le nostre capacità, condividendo conoscenze e suggerimenti[48].
Per questo Gesù ha inviato i discepoli “a due a due” (cfr. Mc 6,7), perché camminando insieme[49] possiamo rivelare, anche sui social media, il volto sinodale della Chiesa. È questo il significato profondo della comunione che unisce tutti i battezzati nel mondo. Come cristiani, la comunione è parte del nostro “DNA”. In questo modo, lo Spirito Santo ci rende capaci di aprire i nostri cuori agli altri e di abbracciare la nostra appartenenza a una fratellanza universale.
Il segno della testimonianza
77) La nostra presenza nei social media di solito si concentra sulla diffusione delle informazioni. In questa ottica, la presentazione di idee, insegnamenti, pensieri, riflessioni spirituali e altro ancora sui social media deve essere fedele alla tradizione cristiana. Ma questo non basta. Oltre alla nostra capacità di raggiungere gli altri con contenuti religiosi interessanti, noi cristiani dovremmo essere conosciuti per la nostra disponibilità ad ascoltare, a discernere prima di agire, a trattare tutte le persone con rispetto, a rispondere con una domanda piuttosto che con un giudizio, a rimanere in silenzio piuttosto che scatenare una controversia e a essere “pronti ad ascoltare, lenti a parlare e lenti all’ira” (Gc 1,19). In altre parole, tutto ciò che facciamo, nelle parole e nei fatti, deve recare il segno della testimonianza. Non siamo presenti nei social media per “vendere un prodotto”. Non si tratta di fare pubblicità, ma di comunicare la vita, quella che ci è stata donata in Cristo. Per questo ogni cristiano deve stare attento a non fare proselitismo, ma a dare testimonianza.
78) Che cosa significa essere un testimone? La parola greca per testimone è “martire” e si può dire che alcuni dei più autorevoli “influencer cristiani” sono stati martiri. Il fascino dei martiri è che manifestano la loro unione con Dio attraverso il sacrificio della loro stessa vita[50]. “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi” (1Cor 6,19). I corpi dei martiri sono strumenti esemplari per la rivelazione dell’amore di Dio.
Se il martirio è il segno ultimo della testimonianza cristiana, ogni cristiano è chiamato a sacrificarsi: la vita cristiana è una vocazione che consuma la nostra stessa esistenza offrendo noi stessi, anima e corpo, per diventare uno spazio di comunicazione dell’amore di Dio, un segno che indica il Figlio di Dio.
È in questo senso che comprendiamo meglio le parole del grande Giovanni Battista, il primo testimone di Cristo, ci sarà d’aiuto: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30). Come il Precursore, che esortò i suoi discepoli a seguire Cristo, anche noi non cerchiamo “follower” per noi stessi, ma per Cristo. Possiamo trasmettere il Vangelo solo creando una comunione che ci unisce in Cristo. Possiamo farlo seguendo l’esempio di Gesù che interagisce con gli altri.
79) Il fascino della fede raggiunge le persone esattamente dove sono e così come sono, nel qui e ora. Da sconosciuto falegname di Nazareth quale era, Gesù acquisì rapidamente popolarità in tutta la regione della Galilea. Guardando con compassione la gente, che era come un gregge senza pastore, Gesù annunciò il Regno di Dio guarendo i malati e insegnando alle folle. Per ottenere la massima “diffusione”, spesso parlava alle moltitudini da un monte o da una barca. Per stimolare il “coinvolgimento” di alcuni dei suoi, ne scelse dodici e a loro spiegò tutto. Ma poi, improvvisamente, al culmine del suo “successo”, si ritirava nella solitudine con il Padre. E chiedeva ai suoi discepoli di fare lo stesso: quando gli raccontavano del successo delle loro missioni, diceva loro di ritirarsi per riposare e pregare. E mentre discutevano su chi fosse il più grande tra loro, annunciò loro la sua prossima sofferenza sulla croce. Il suo obiettivo – lo avrebbero capito solo più tardi – non era di accrescere il suo pubblico, ma di rivelare l’amore del Padre affinché le persone, tutte le persone, avessero la vita e l’avessero in abbondanza (cfr. Gv 10,10).
Seguendo le orme di Gesù, dobbiamo considerare prioritario riservare uno spazio sufficiente per il dialogo personale con il Padre e per restare in sintonia con lo Spirito Santo, che ci ricorderà sempre che tutto è stato ribaltato sulla Croce. Non c’erano “like” e quasi nessun “follower” nel momento della più grande manifestazione della gloria di Dio! Ogni parametro umano del “successo” viene relativizzato dalla logica del Vangelo.
80) Questa è la nostra testimonianza: attestare con le nostre parole e la nostra vita ciò che un altro ha fatto[51]. In questo senso, e solo in questo, possiamo essere testimoni – e perfino missionari – di Cristo e del suo Spirito. Questo include anche la nostra presenza sui social media. Fede significa innanzitutto testimoniare la gioia che il Signore ci dona. E questa gioia risplende sempre sullo sfondo di una memoria grata. Raccontare agli altri il motivo della nostra speranza, e farlo con dolcezza e rispetto (1Pt 3,15), è un segno di gratitudine. È la risposta di chi, attraverso la gratitudine, è reso docile allo Spirito e quindi libero. È stato così per Maria, che senza volerlo né provarci, è diventata la donna più influente della storia[52]. È la risposta di chi, per la grazia dell’umiltà, non pone se stesso o se stessa in primo piano e facilita così l’incontro con Cristo che ha detto: “imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
Seguendo la logica del Vangelo, tutto ciò che dobbiamo fare è suscitare una domanda, risvegliare la ricerca. Il resto è l’opera misteriosa di Dio.
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81) Come abbiamo visto, percorriamo le “strade digitali” al fianco di amici e di perfetti estranei, cercando di evitare le molte insidie lungo la via, e ci scopriamo consapevoli dei feriti sul ciglio della strada. A volte questi feriti possono essere gli altri. Altre volte questi feriti possiamo essere noi. Quando ciò accade, ci fermiamo, e attraverso la vita che abbiamo ricevuto nei sacramenti, che è all’opera in noi, questa consapevolezza diventa incontro: da personaggi o immagini su uno schermo, l’uomo ferito assume i contorni di chi ci è prossimo, un fratello o una sorella, e, di fatto, del Signore, che ha detto “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi […] più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). E se a volte a essere feriti siamo anche noi, il Samaritano che si china su di noi con compassione ha il volto del Signore, che si è fatto nostro prossimo, chinandosi sull’umanità sofferente per curare le nostre ferite. In entrambi i casi, ciò che forse è iniziato come un incontro casuale o una presenza distratta sulle piattaforme social si trasforma in persone presenti le une alle altre, in un incontro ricolmo di misericordia. Questa misericordia ci consente di avere un assaggio, già adesso, del Regno di Dio e della comunione che ha le sue origini nella Santissima Trinità: la vera “terra promessa”.
82) Allora è possibile che, dalla nostra amorevole, genuina presenza in queste sfere digitali della vita umana si possa aprire un cammino verso quello a cui i santi Giovanni e Paolo anelavano nelle loro lettere: l’incontro faccia a faccia di ogni persona ferita con il Corpo del Signore, la Chiesa, affinché in un incontro personale, cuore a cuore, le loro e le nostre ferite possano essere guarite e “la nostra gioia sia piena” (2Gv 12).
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L’icona del buon Samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza[53].
[1] Sinodo dei Vescovi, Documento finale della Riunione presinodale in preparazione alla XV Assemblea Generale Ordinaria, “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, Roma, 19-24 marzo 2018, n. 4.[2] Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Nuove tecnologie, nuove relazioni.Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia” (24 maggio 2009). Aetatis novae già in 1992 fa riferimento alla tecnologia digitale, e i documenti fratelli del 2002 Etica in Internet e La Chiesa e Internet si concentrano in modo più approfondito sull’impatto culturale di Internet. Infine, la Lettera apostolica di San Giovanni Paolo II del 2005 Il rapido sviluppo, indirizzata ai responsabili della comunicazione, offre riflessioni sulle questioni suscitate dalla comunicazione sociale. Oltre ai documenti che riguardano specificamente la comunicazione sociale, negli ultimi decenni anche altri documenti magisteriali hanno dedicato alcune parti a questo argomento. (Si veda ad esempio Verbum Domini, n. 113; Evangelii gaudium nn. 62, 70, 87; Laudato si’ nn. 47, 102-114; Gaudete et exsultate, n. 115; Christus vivit, nn. 86-90, 104-106; Fratelli tutti, nn. 42-50).
[3] Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione” (24 gennaio 2013).
[4] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli uni degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019).
[5] ll Vaticano ha aperto il suo primo canale YouTube nel 2008. Dal 2012 il Santo Padre è attivo su Twitter, e dal 2016 su Instagram. Parallelamente, la presenza digitalmente mediata del Papa è diventata uno dei metodi del suo impegno pastorale, a partire dai videomessaggi a metà degli anni 2000, per arrivare alle videoconferenze in diretta come l’incontro del 2017 con gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale. Il videomessaggio del 2017 del Papa al Super Bowl negli Stati Uniti e i suoi TED Talks nel 2017 e nel 2020 sono solo due esempi della presenza pastorale mediata digitalmente del Papa.
[6] La trasmissione in diretta della Statio Orbis del 27 marzo 2020 ha attirato circa 6 milioni di spettatori sul canale YouTube di Vatican News e 10 milioni su Facebook. Questi numeri non comprendono le visualizzazioni successive della registrazione dell’evento o le visualizzazioni attraverso altri canali mediatici. La sera stessa dell’evento, 200.000 nuovi follower si sono aggiunti a @Franciscus su Instagram, e i post sul 27 marzo 2020 rimangono tra i contenuti con il maggior coinvolgimento nella storia dell’account.
[7] Tra tante immagini evangeliche che si potevano scegliere come ispirazione a questo testo, è stata scelta la parabola del Buon Samaritano, che per Papa Francesco rappresenta “una parabola del comunicatore”. Cf. Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio 2014).
[8] Per esempio: chi stabilirà le fonti di apprendimento delle intelligenze artificiali? Chi finanzia questi nuovi produttori di opinione pubblica? Come possiamo assicurare che quanti elaborano gli algoritmi siano guidati da principi etici e aiutino a diffondere a livello globale una nuova consapevolezza e un nuovo pensiero critico al fine di ridurre al minimo le falle delle nuove piattaforme informative? La nuova alfabetizzazione mediatica deve comprendere competenze che consentano alle persone non solo di gestire le informazioni in modo critico ed efficace, ma anche di discernere l’uso di tecnologie che assottigliano sempre più il divario tra umano e non umano.
[9] Cfr. Fratelli tutti n. 30; Evangelii gaudium, n. 220; vedere anche il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” (4 febbraio 2019): “Ci rivolgiamo (…) agli operatori dei media (…) in ogni parte del mondo, affinché riscoprano i valori della pace, della giustizia, del bene, della bellezza, della fratellanza umana e della convivenza comune, per confermare l’importanza di tali valori come àncora di salvezza per tutti e cercare di diffonderli ovunque”.
[10] “Alcune persone preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro benessere e la loro comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente. Quasi senza accorgercene, siamo diventati incapaci di provare compassione per gli altri, per i loro drammi, non ci interessa curarci di loro, come se ciò che accade ad essi fosse una responsabilità estranea a noi, che non ci compete”. Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della XLIX Giornata Mondiale della Pace, “Vinci l’indifferenza e conquista la pace” (1° gennaio 2016); Evangelii gaudium, n. 54.
[11] Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLIX Giornata Mondiale della Pace, “Vinci l’indifferenza e conquista la pace” (1° gennaio 2016).
[12] Cfr. Fratelli tutti n. 67.
[13] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVI Giornata Mondiale della Comunicazioni Sociali, “Ascoltare con l’orecchio del cuore” (24 gennaio 2022).
[14] Fratelli tutti, n. 63.
[15] “Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti”. Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione” (24 gennaio 2012).
[16] Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio 2014).
[17] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Ascoltare con l’orecchio del cuore” (24 gennaio 2022); Evangelii gaudium, n. 171.
[18] “Il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle iscritte nell’intimo di ogni persona. E non si può che ripartire ascoltando ciò che ci rende unici nel creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro”. Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Ascoltare con l’orecchio del cuore” (24 gennaio 2022).
[19] Verbum Domini, nn. 86-87.
[20] Laudato si’, n. 47.
[21] Cfr. Laudato si’, n. 66.
[22] Communio et Progressio, n.12.
[23] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni, “‘Siamo membra gli uni degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019).
[24] Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio 2014).
[25] Cfr. Fratelli tutti, n. 49.
[26] Fratelli tutti, n. 69.
[27] Cfr. Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio 2014).
[28] Fratelli tutti, n.77.
[29] Papa Francesco, Angelus, 10 luglio 2016.
[30] Cfr. Gaudete et exsultate, n. 115.
[31] Sul tema della polarizzazione e del suo rapporto con la costruzione del consenso, si veda in particolare Fratelli tutti, 206-214.
[32] Cfr. Discorso in occasione dell’evento “Economy of Francesco” (24 settembre 2022).
[33] “Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: ‘Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno’” (Lc 10,35).
[34] Un sondaggio condotto negli Stati Uniti dal Barna Research Centre nel 2020 ha rivelato che sebbene quasi la metà delle persone che “vanno regolarmente in chiesa” hanno dichiarato di non aver “partecipato a servizi di culto in chiesa, né di persona né in forma digitale” per un periodo di sei mesi, esse affermano però di aver “guardato un servizio di culto online” in quello stesso periodo. È dunque possibile riconoscere di aver assistito a un servizio religioso senza considerarsi un partecipante.
[35] Nella realtà virtuale sembrano esserci sostituti artificiali per quasi tutto; possiamo condividere ogni tipo di informazione attraverso il digitale, ma condividere un pasto non sembra possibile nemmeno nel metaverso.
[36] Cfr. Desiderio desideravi, n. 9, citando Leone Magno, Sermo LXXIV: De ascensione Domini II, 1: “quod … Redemptoris nostri conspicuum fuit, in sacramenta transivit”.
[37] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli uni degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019). Può essere utile considerare altre forme di pratica spirituale, come la Liturgia delle Ore e la lectio divina, che potrebbero essere più adatte alla condivisione online, rispetto alla Santa Messa.
[38] Cfr. Discorso del Santo Padre Francesco all’Assemblea Plenaria del Dicastero per la Comunicazione, 23 settembre 2019.
[39] Papa Francesco ha parlato in diverse occasioni dello stile di Dio come “vicinanza, compassione e tenerezza (Udienze Generali, Angelus, Omelie, Conferenze Stampa, etc.).
[40] Communio et Progressio, n.11.
[41] “Basta amare bene per dire bene” (San Francesco di Sales). Cfr. Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Parlare col cuore. ‘Secondo verità nella carità (Ef 4,15)” (24 gennaio 2023).
[42] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake News e giornalismo di pace” (24 gennaio 2018).
[43] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli uni degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019).
[44] È importante, tuttavia, che quando emerge una falsa narrativa, questa venga corretta in modo rispettoso e tempestivo. “Le fake news vanno contrastate, ma sempre vanno rispettate le persone, che spesso senza piena avvertenza e responsabilità vi aderiscono”. Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’incontro promosso dal Consorzio Nazionale dei Media Cattolici “Catholic Fact-Checking”, 28 gennaio 2022.
[45] Messaggio del Santo Padre Francesco per la L Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo” (24 gennaio 2016).
[46] Questo riguarda anche la formazione dei sacerdoti. Come si legge nella Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (n. 97), “i futuri pastori non possono restare esclusi, sia per il loro iter formativo, che per il loro futuro ministero, dalla piazza pubblica dei social media” (n. 97). Dovrebbero anche essere consapevoli degli inevitabili rischi che derivano dalla frequentazione del mondo digitale, tra cui varie forme di dipendenza (cfr. n. 99). Su questo aspetto si veda anche il “Discorso del Santo Padre Francesco a seminaristi e sacerdoti che studiano a Roma” (24 ottobre 2022).
[47] Cfr. Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli uni degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019).
[48] Potrebbe essere utile, quindi, che le iniziative individuali sui social media, soprattutto quelle che provengono dai religiosi e dal clero, trovino un modo per accrescere la comunione nella Chiesa. Come comunità cristiana, potrebbe essere utile anche raggiungere gli “influencer” che sono ai margini dei nostri ambienti ecclesiali.
[49] Essere sinodali (da syn odòs) significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme, andare avanti insieme.
[50] Questo è stato descritto già dai Padri dell’antichità. Tertulliano, ad esempio, parlava del martirio come attrattiva. Nella sua Apologia spiega che le persecuzioni non sono solo ingiuste, ma anche inutili: “Nessuna delle vostre crudeltà, per quanto squisite, vi giova; anzi, rende più attraente la nostra religione. Quanto più spesso siamo falciati da voi, tanto più cresciamo di numero; il sangue dei cristiani è seme di vita nuova. (…) La stessa ostinazione contro cui inveite è una lezione. Infatti, chi la contempla non è spinto a chiedersi quale sia il suo fondo? Chi, dopo essersi informato, non abbraccia le nostre dottrine?”. Tertulliano, Apologia, n. 50 (traduzione adattata).
[51] Questo paragrafo è stato in parte ispirato dal Messaggio alle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2020.
[52] Viaggio Apostolico a Panama: Veglia con i giovani (Campo San Juan Pablo II – Metro Park, 26 gennaio 2019).
[53] Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio 2014).