Verso una famiglia di single?

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bambino

Photo by Conner Baker on Unsplash

L’ultimo rapporto annuale ISTAT, pubblicato alcuni giorni fa, evidenzia un fenomeno che peraltro abbiamo tutti sotto gli occhi e che forse merita qualche riflessione. Mi riferisco alla crisi sempre più evidente della famiglia come è stata concepita per secoli, crisi che da tempo riguarda tutta l’Europa ma che ha ormai effetti dirompenti anche nel nostro paese.

«Il crollo della nuzialità»

Eloquente già il titolo del paragrafo in cui il rapporto affronta la questione: «Il crollo della nuzialità, l’aumento dell’instabilità matrimoniale». Gli italiani si sposano sempre più tardi e quelli che lo fanno sono comunque sempre di meno.

«Nel 2011 l’età media al primo matrimonio era 32,6 anni per gli uomini e 30,1 per le donne mentre nel 2019, ultimo anno non toccato dalla pandemia era pari, rispettivamente, a 33,9 e 31,7 anni. L’effetto della pandemia ha prodotto un’ulteriore accentuazione del rinvio delle prime nozze. Nel 2020 per i primi matrimoni gli uomini hanno in media 34,1 anni e le donne 32,0».

Sia uomini che donne, dunque, si sposano – quando lo fanno – sempre più tardi. Basta leggere un romanzo ottocentesco o del primo novecento per constatare che allora era normale sposarsi appena ventenni (le ragazze anche prima). Soprattutto, però, si sposano sempre di meno. Al netto delle inevitabili oscillazioni prodotte dalla pandemia, nel 2021 i primi matrimoni sono diminuiti quasi del 20% rispetto al 2011.

Osserva il rapporto: «La protratta permanenza dei giovani nella famiglia di origine ha, come è noto, un effetto diretto sul rinvio delle prime nozze». Gli italiani restano «figli di famiglia» fin dopo i trent’anni.

Alcune ragioni

Certo, giocano spesso anche motivi economici, legati alla difficoltà di trovare un lavoro, almeno un lavoro non precario. Ma ci sono anche altre ragioni. Viene da pensare alla precocità che si riscontra ormai abitualmente nei bambini. Quelli di una volta andavano a letto presto, non sapevano nulla su come nascono i figli, non dicevano parolacce, facevano naturalmente i capricci, ma in sostanza ubbidivano ai genitori.

Oggi molti di loro hanno tra le mani un cellulare o un tablet fin dai primi anni (o addirittura mesi) di vita, cosicché è a loro che il nonno deve rivolgersi per essere aiutato nel suo difficile rapporto con questi strumenti; trascorrono molte ore posteggiati davanti alla TV, dove vedono e sentono ogni sorta di notizie; vengono coinvolti dai genitori nelle uscite serali e notturne; dicono parolacce, e a volte le dicono proprio rivolgendosi al padre e alla madre.

In un certo senso, sono già adulti da bambini. Ma si tratta di un processo a doppio taglio, perché accade che crescendo restino estremamente fragili e immaturi sotto un profilo più ampiamente umano. Incapaci, perciò, di assumersi responsabilità sponsali e genitoriali. Insomma, sono rimasti un po’ bambini anche da adulti.

Questa crisi del matrimonio appare particolarmente acuta se si guarda a quello religioso. «Sono in particolare i primi matrimoni religiosi ad aver subito la contrazione più forte dal 2011 al 2019 (−29,9 %), con un’incidenza sui primi matrimoni che è diminuita dal 70,1 % al 58,4 %». Ormai solo poco più di metà dei giovani che si sposano lo fanno in chiesa.

«Nell’ultimo decennio si è assistito, all’opposto, a un incremento continuo del ricorso al solo rito civile per la celebrazione delle prime nozze: dal 29,9 % del totale dei primi matrimoni del 2011 al 43,4 % del 2021».

La precarietà dei rapporti: convivenze e divorzi

Ma soprattutto crescono le convivenze: «La diminuzione dei primi matrimoni è speculare alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio) che sono più che triplicate dal 2000-2001 al 2020-2021, passando da circa 440 mila a 1 milione e 450 mila».

Rispetto al matrimonio, la convivenza è decisamente meno impegnativa. Si resta comunque dei single che stanno insieme finché stanno bene insieme, salvo riacquistare la propria «libertà» in qualunque momento la relazione non li soddisfi più.

È vero che ormai anche il matrimonio, almeno dal punto di vista civile, dopo l’introduzione del divorzio non è più indissolubile. Ma rimane una scelta assai più impegnativa che quella di «stare insieme». In ogni caso, nota il rapporto, «i divorzi sono stati in costante aumento dall’introduzione di questa possibilità nell’ordinamento italiano nel 1970 fino alla metà del decennio scorso.

Dal 2015 il numero di divorzi ha subito una forte impennata (+57,5 % in un solo anno), a seguito dell’entrata in vigore di due leggi che hanno semplificato e velocizzato le procedure consensuali senza rivolgersi ai tribunali e ridotto l’intervallo tra separazione e divorzio (a dodici mesi per le separazioni giudiziali e sei mesi per quelle consensuali». Rispetto al 2011, le separazioni sono aumentate del 10,1% e i divorzi del 54,3%.

La «famiglia unipersonale»

Tutto ciò ha un riflesso immediato sulla composizione della famiglia. Si osserva nel rapporto che, «se all’inizio del nuovo millennio la famiglia nucleare formata da una coppia con figli era ancora la più frequente, seppure non più maggioritaria, ai giorni nostri è superata dalla famiglia unipersonale». Per la prima volta quelle formate da una sola persona (33,2 %) sono più numerose di quelle costituite da una coppia con figli (31,2 %).

Di poco inferiore, ancora, alla media di famiglie composte di single nei paesi europei (35,9 % nel 2021) ma con una crescita progressiva (dal 24,0 % del 2000) che, tendenzialmente, sembra portare ai numeri dell’Europa Centrale (Germania e Francia 41 %) e del Nord Europa (Svezia al 50,1 %). Insomma, il processo è stato, nel giro di pochi decenni, dalla famiglia patriarcale del secolo scorso a quella mononucleare dell’inizio del terzo millennio a quella composta di una sola persona, di cui ancora in Italia abbiamo solo un’avvisaglia (33,2 % è già una forte percentuale), ma che altrove è ormai pienamente affermata.

Tutto ciò ha preciso riscontro a livello di diminuzione delle nascite. Leggiamo nel rapporto: «Il saldo naturale, già pari a -335 mila unità nel 2020, si è sommato a un ulteriore decremento di 310 mila unità nel 2021, determinando un deficit di “sostituzione naturale” di 645 mila persone».

Il crollo delle nascite è particolarmente accentuato tra le donne con meno di 30 anni. A conferma di quanto si diceva prima sull’incapacità dei giovani di assumersi responsabilità. Anche qui, come per il matrimonio, giocano sicuramente fattori economici. Si aggiungano ad esse le ovvie conseguenze, sul piano biologico, di avere un figlio in un’età in cui la curva della fertilità della donna è in netto calo. Ma, come per il matrimonio, questi elementi non possono nascondere una difficoltà più profonda, che rende gli italiani sempre meno capaci di generare.

Questo il quadro oggettivo dell’andamento della famiglia, secondo il nostro Istituto di statistica. Quale valutazione darne? Dobbiamo guardare con favore a un futuro in cui il single sembra destinato a sostituire la comunità familiare? Personalmente dubito che la maggior parte delle persone, almeno in Italia, saluti questo come un traguardo auspicabile. Allora però è necessario chiedersi quali sono le cause che lo stanno rendendo, col passare degli anni, sempre più vicino. E poiché queste cause non sono solo economiche, ma anche culturali, dobbiamo interrogarci su ciò che dobbiamo cambiare nel nostro modo di pensare e di agire, se vogliamo davvero evitare quell’esito.

Un diverso concetto di libertà

A dominare lo scenario della crisi della famiglia, come abbiamo visto, è l’affermarsi sempre più indiscusso – già in Italia e ancora più in altri paesi europei – della figura del single, di una persona, cioè, che è senz’altro disposta ad avere rapporti con un partner, ma tende sempre di più a evitare un legame stabile e definitivo.

Convivenze, divorzi, famiglie unipersonali, hanno come protagonista il single. Analogamente, si è restii a fare figli, perché ad essi non si può applicare la logica del «stiamo insieme finché stiamo bene insieme». Padri e madri lo si è per sempre.

Il punto è che per il single la libertà si identifica con l’autonomia, con la possibilità di operare senza essere condizionati da vincoli di sorta. E se noi non rimettiamo in discussione questa idea, il futuro sarà sempre più dominato dal declino della famiglia come comunità. Bisogna riscoprire, accanto a questo concetto di libertà, quello per cui essa non è solo la possibilità di fare e di avere quello che si desidera senza incontrare ostacoli (non a caso di questa libertà si dice che «finisce dove comincia quella dell’altro»: l’ostacolo invalicabile è l’altro), ma la capacità di scegliere qualcosa o qualcuno per il valore che vi si trova e di impegnarsi nei suoi confronti con tutto il proprio essere.

In questa prospettiva, veramente libero è alla fine solo chi sa scoprire il senso della propria esistenza in un ideale o in una persona a cui rimane fedele malgrado tutte le difficoltà. Questo non esclude l’autonomia, ma le dà un orientamento e una regola. Poter fare o avere senza ostacoli ciò che si desidera non è ancora avere compreso che cosa davvero desiderare.

L’esperienza di tante persone – si pensi a molti giovani – che fanno «liberamente» (nell’accezione dell’autonomia) esperienze balorde e autodistruttive ci mette in guardia dal ridurre a questo la libertà. Se essa non include anche la responsabilità verso qualcosa di buono, di importante, gira a vuoto e non porta da nessuna parte.

Ma la responsabilità è inscindibile dalla serietà dell’impegno: nel caso della famiglia, verso il partner e verso i figli. Se non vogliamo che la famiglia del futuro sia in maggioranza formata da single.

  • Pubblicato sul sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 15 luglio 2022.
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