Il tema delle migrazioni, indotte da fame, carestie, guerre o anche solo dalla legittima aspettativa di una vita migliore, rimane da anni al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, della politica e di tutti i soggetti che, a vario titolo, sono chiamati a dare una risposta alle necessità impellenti dei migranti, ma anche un senso e una prospettiva alla loro presenza in mezzo a noi.
La Chiesa eusebiana, insieme con quella universale, non si è mai tirata indietro rispetto alle proprie responsabilità: le porte delle nostre strutture assistenziali, delle nostre canoniche, dei nostri istituti religiosi sono sempre state aperte.
Insieme con le istituzioni civili abbiamo costruito progetti e percorsi di accoglienza e integrazione che, muovendo dall’emergenza, sapessero anche traguardare oltre. E non potrebbe essere altrimenti: solo in questo modo la Chiesa può credibilmente interpretare e attuare il Vangelo di Gesù. Non ci interessano la polemica politica o le contrapposizioni ideologiche: a noi è chiesto di essere di “parte”, ma l’unica “parte” che conosciamo è quella che ci spinge a fianco dei poveri, dei dimenticati, dei sofferenti.
Certo, questo non ci impedisce di essere realisti: come già sottolineato, tutte le iniziative assunte dalla Chiesa eusebiana sono state attuate in stretto coordinamento con le autorità preposte, a partire dalla Prefettura, lavorando di concerto e cercando sempre l’intesa con le istituzioni civili, sia a livello statale sia con gli enti locali, perché siamo convinti che non ci possano essere percorsi di accoglienza seri e duraturi che stiano fuori dal perimetro della legalità. A questa alta responsabilità ci ha del resto richiamato di recente anche il presidente della CEI, card. Gualtiero Bassetti. Perciò ben comprendiamo i timori e le preoccupazioni degli amministratori locali che, a loro volta, sono chiamati ad affrontare questi temi e a individuare soluzioni ragionevoli.
E proprio qui sta il nocciolo della questione: di fronte a un fenomeno epocale come le migrazioni in atto verso l’Italia e altri Paesi, siamo tutti chiamati a cercare risposte che muovano dal senso di umanità che dobbiamo provare verso ogni nostro fratello, una solidarietà concreta che tuttavia deve tradursi in progetti razionali e coordinati mettendo da parte la tentazione di un certo “spontaneismo buonista”, che non giova a nessuno, e in primo luogo ai soggetti direttamente interessati.
Ciò vale per le istituzioni nazionali, i corpi associativi, le Chiese locali, ma anche per l’Europa e le grandi organizzazioni mondiali. Un’azione davvero basata sulla collaborazione diffusa tra tutti questi soggetti renderebbe certamente gestibili i flussi migratori: i dati ufficiali dell’ONU parlano di 95mila sbarchi in Italia dall’inizio del 2017 (con centinaia di morti annegati). Un numero enorme se scaricato solo sui centri di accoglienza disseminati lungo le nostre coste, ma che assume un significato del tutto diverso se rapportato agli oltre 500 milioni di abitanti dell’Unione Europea che, da sola, produce un quarto del Pil mondiale…
Non è dunque “buonismo”, ma “buon senso”, invitare ad affrontare il tema delle migrazioni senza fomentare paure, partendo dai dati di fatto e lavorando tutti insieme per costruire un mondo che riduca le diseguaglianze, vero humus in cui maturano violenza, terrorismo e fondamentalismo religioso.
+ Marco Arnolfo
arcivescovo di Vercelli
(Dal settimanale diocesano Corriere Eusebiano, 2 settembre 2017)