Amore e bellezza

di:

crocefisso

Ci innamoriamo e amiamo solo per la bellezza. Nessuno di noi ha desiderato avvicinarsi e conoscere qualcosa o qualcuno senza esserne prima sedotto. Questo principio di attrazione ha il suo fondamento ultimo qui: «Nessuno viene a me se non lo attrae il Padre». Tutte le volte che nell’ambito naturale (la grazia delle cose) o soprannaturale (la Grazia, dono di Dio a partecipare alla sua vita) la bellezza ci mette in movimento, sperimentiamo l’attrazione dell’Amore che ci trasforma, cioè vuole darci la sua forma, la sua essenza, per farsi tutto in tutti, pur mantenendo ciascuno la sua irripetibile identità.

Che ne sarebbe dell’abbraccio del padre che si china sul figlio sporco, ordinando anello, vestiti e banchetto di festa, se il figlio non fosse andato via e tornato, dopo aver sperperato tutto? La misericordia è una forma unica e ulteriore di bellezza, perché è la bellezza resa compatibile con il male, con la ferita, con la resistenza (forse solo Michelangelo è riuscito a scolpirla, quasi per errore, nella Pietà Rondanini). Si tratta di una bellezza che mostra le ferite (come accade con l’incredulo Tommaso) come credenziali di un’estetica nuova, in cui la vita ha attraversato e trasformato la morte, ma non per via immaginaria, perché ne porta i segni, producendo una meraviglia inedita rispetto a secoli di storia in cui il bello era soltanto armonia delle parti e il sangue doveva rimanere fuori dalla scena («osceno» appunto). Per ricordarselo, basterebbe fissare per qualche minuto la Pietà di Avignone che Enguerrand Quarton dipinse a metà del 1400: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti (o tutto) a me», la massima attrazione, fascinazione, bellezza, si dispiega proprio al massimo della sconfitta, la massima seduzione provocata dalla nostra più pervicace resistenza.

Tutte le volte che l’uomo si lancia a capofitto nella bellezza, in fondo a essa cerca Dio, anche le volte in cui quella bellezza anelata è frutto del cuore curvato su se stesso che, investendo di assoluto quel poco che gli resta da amare, lo fa diventare un’illusione di Dio: proprio allora, quel cuore deluso e spaccato, può aprirsi al Dio misericordioso. L’ubriaco ama la sua bottiglia perché in essa cerca Dio, il sensuale ama il suo piacere perché in esso cerca Dio, l’avaro ama il suo denaro perché in esso cerca Dio. Dio però non è «in» ma «oltre» la bottiglia, il piacere, il denaro. Che Dio? Il Dio misericordioso che lo seduce proprio lì, nell’ultimo tentativo auto-inventato dall’uomo per essere tutt’uno con ciò che ama, salvo poi esserne fatalmente e dolorosamente respinto per insufficienza di eternità di quella briciola di bellezza.

Forse proprio a quel capolinea abita Dio, per questo «pubblicani e prostitute» precedono chi si crede giusto, perché hanno toccato il fondo e oltre il fondo c’è il profondo, il sottosuolo teologico di Dostoevskij, cioè o la salvezza o la distruzione. C’è Dio, la cui regola è: «a chi molto viene perdonato, molto ama». In un attimo, con un paradossale «colpo di grazia» che dà vita e non morte, la nostra disperazione può trasformarsi in salvezza, fosse anche per il solo desiderio di avere una «vita nuova», come accadde a Dante, proprio mentre (in)seguiva Beatrice.

Non c’è bellezza piena senza ferita, come non c’è misericordia senza giustizia: non è venuto per i sani ma per i malati, che si riconoscono tali. Se il malato riconosce la ferita e la mostra a Dio, perché sa che altrimenti non potrebbe guarirne, la misericordia immediatamente lo raggiunge, anche di soppiatto, come quella donna che sapeva che le sarebbe bastato toccare la veste di Cristo per esser sanata, tanto da costringerlo al miracolo senza neanche chiederlo a voce, in mezzo alla folla che lo pressa. Egli, quasi che la guarigione gli sia scappata, chiede: «Chi mi ha toccato?». Toccare Dio con la propria ferita aperta è il segreto per sperimentarne la misericordia e vederne finalmente, senza più difese, la bellezza che tutto vince e avvince, bellezza antica e sempre nuova, che non è mai tardi per esserne sedotti, come accadde a un ladro e assassino, che ammise la sua colpa e si rivolse all’unico innocente della storia, e fu accolto in quel giorno stesso in Paradiso.

Non è il miracolo che fa la fiducia ma la fiducia che fa il miracolo. Infatti solo chi ha fiducia nella vita ne è curioso, aggettivo derivante da «cura»: chi ha cura del mondo non solo vede i miracoli, ma li fa. La fiducia non è un trucco, doping psicologico come il pensiero positivo, ma è una postura originaria di apertura alla realtà che dipende da quanto siamo amati: la fiducia deriva dalla forza dell’amore che ci genera in ogni istante, e consiste nel sapere, in ogni cellula, che questo amore c’è e mi vuole esistente.

L’uomo non è prodotto, come ci fa credere la tecnocrazia odierna, ma generato, e ri-generato quando fa esperienza di appartenere (essere amato), e può quindi sporgersi sulla vita senza essere paralizzato dalle vertigini che comporta. Questa appartenenza (legami liberanti, perché «assicurano» come quando si scala in montagna), effetto di ogni buona relazione, crea energia in questa sequenza: fiducia, coraggio, curiosità, scoperta, vocazione, creatività, gioia. Se l’appartenere a un amore che ci vuole esistenti non c’è o viene meno, si esaurisce l’energia vitale e la si deve elemosinare. Le dipendenze (legami bloccanti) sono contraffazioni dell’appartenere: poiché non si può non appartenere (essere in relazione) si accetta di dipendere, la schiavitù. Inoltre la fiducia è scalzata dal sospetto: distanza e paura di tutto. Il bambino non amato teme tutto, non è curioso ma insicuro, nessuno fa sicurezza alla sua esplorazione.

Meravigliarsi «stando fermi nelle nostre scarpe» (verso di una filastrocca di John Keats, 1818) è ciò di cui tutti abbiamo bisogno quotidianamente, perché se non troviamo bellezza almeno una volta al giorno perdiamo la capacità di abitare il mondo e amare la vita. La vera bellezza fa sentire a casa, anche quando ci mostra stanze oscure o chiuse. Come fa? Da un lato con la gratuità: ci regala la chiave della stanza senza che l’abbiamo cercata o meritata; dall’altro con l’armonia e la luce: ci assicura che ogni stanza è casa nostra, anche la più buia.

Il brutto ci priva della speranza che può salvarci: di contro chi è toccato dal bello, torna a sperare, perché riscopre che la sua vita ha ancora uno scopo. La bellezza non spiega quale sia lo scopo, ma assicura che ne esista uno. Lo sa bene il Matto del film La Strada di Fellini: «Tutto ha senso, anche questo sassetto. E se sapessi quale sarei il Padre Eterno. Ma se questo sassetto è inutile, allora tutto è inutile. Anche le stelle». Lo dice a Gelsomina in una scena indimenticabile in cui la donna è disperata perché la sua vita le sembra del tutto inutile. Il Matto è un artista ambulante, un acrobata-clown capace di trovare il sublime nel quotidiano, il bello stando nelle sue povere scarpe, e per questo non perde mai il buon umore e ridona la speranza a chi lo guarda. Consola il dolore di Gelsomina con la bellezza del creato, perché la bellezza, grazie alla gioia che provoca, fa sperimentare e sperare in una certa «salvezza».

Anche Modigliani cercava queste aperture sacre nei volti dei suoi ritratti e nei loro occhi, che spesso rappresentava vuoti, a volte uno vuoto e uno pieno, ma raramente li dipingeva entrambi. Che si trattasse della moglie Jeanne, di una poetessa come Anna Achmatova, di un mercante d’arte o di una bambina, Modigliani rendeva trasparenti il corpo o il volto dei suoi soggetti, perché manifestassero l’anima: per questo allungava i colli e deformava le fattezze, perché il corpo non fosse apparenza, ma evidenza della verità che spesso cerchiamo di nascondere, ma che è invece la nostra unicità. Se dipingeva un occhio solo era perché – diceva – era quello rivolto al mondo, mentre l’altro era impegnato con il proprio mistero. Aveva imparato dagli antichi, i quali credevano che l’anima risiedesse nell’occhio e per questo la chiamavano «pupilla», diminutivo di pupa (bambola, bambina): per loro l’anima era la piccola immagine riflessa al centro dell’occhio. I ritratti di Modigliani, mostrando un esterno che è in realtà un interno, ci ricordano che l’irripetibile bellezza di una persona risiede in ciò che la «anima» (dal greco anemos: soffio), il soffio della vita o di Dio che dà la vita, ragione ultima per cui bellezza e sacro spesso si identificano.

Senza bellezza, almeno una volta al giorno, smettiamo di abitare la vita, divenendo stranieri proprio a casa nostra, proprio nelle nostre scarpe.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto