Angeli e custodi

di:

O angelorum gloria,

securo gressu pergere

fac horum nos custodia

ut te possimus cernere.

Signore, gloria degli angeli,

fa’ che, con passo fermo,

a custodirci accorrano,

e a vederti ci guidino.

Precamur te fidentius,

hos defensores dirige

nobis per quos propitius

salutis dona porrige.

Ti preghiam fiduciosi,

mandaceli a difesa,

e per il loro tramite,

donaci la salvezza.

Nos consolando visitent,

purgent, inflamment, doceant,

ad bona semper incitent,

vim daemonum coerceant.

Ci consoli la visita,

ci mondino e ammaestrino,

al bene sempre infiammino,

del mal la forza frenino.

Due ottobre, festa degli angeli custodi. Li sento vicino e attorno a me già nel silenzio e nella quiete della cappella nelle prime ore mattutine. Li sento e li vedo nella poesia degli inni, nel lento e rasserenante fluire dei salmi, nella prosa musicalissima di san Bernardo, che sembra deliziarsi nel gaudio di divine armonie che gli escono dalle mani in una scrittura che canta ad ogni parola: rime, assonanze, giochi di prefissi, verbi e sostantivi che sono tutti un’immagine, e che invitano il lettore a sostare quasi su ogni monosillabo!

La presenza degli angeli dona pace

Certo, a ingigantire una profonda sensazione di pace credo contribuisca pure la grazia, la magia, la perfezione geometrica del latino, che però è anche, o forse soprattutto, veicolo per creare un contatto intenso e ravvicinato con la storia bimillenaria della cristianità, per cui mi sento naturalmente trasportato nel V o nel XII secolo, che in questo momento sono come la mia casa.

Non mi estranio dall’oggi né dal luogo in cui vivo. Solo misuro il tempo con un altro metro, e guardo le cose con un altro occhio, e questo ha un effetto liberatorio e rinfrescante.

In questa luce, il gusto di tradurre il latino in italiano, rispettando il senso e il metro dei versi, mi sembra come un gioioso ed entusiasmante tentativo di intrecciare passato e presente, di rendere il passato presente, e di arricchire l’istante che passa con la solida e rassicurante memoria di quanto è già accaduto, che permette di dare all’attimo fuggente un’aura di eternità, e allo spazio angusto in cui vivo qualcosa che lo riporta alla grazia vasta e fiorita dell’Eden.

Stamattina, la bellezza dei testi dell’ufficiatura mi ha costretto a parlarne. Felice costrizione, però, come l’impulso irresistibile che nasce da un’emozione trascinante e ingovernabile. Del buono si diceva che è diffusivum sui, che è obbligato a diffondersi, ad espandersi; così pure del bello. E questo è quanto.

Dei tre inni latini destinati alla festa, tutti molto belli e suggestivi, ho scelto alcune strofe di quello per l’Ufficio delle Letture, dove mi sembra di trovare espressa in maniera concisa è completa cosa si intenda per custodia quando si parla degli angeli.

Il tema non è per niente secondario, e perché in quanto “custodi” gli angeli sono alla fine intermediari dell’azione di Dio, e perché il verbo “custodire” ritorna con affettuosa insistenza nel discorso d’addio di Gesù, e perché in questa parola troviamo definito l’atteggiamento primario e più essenziale che deve caratterizzare ogni buona relazione come rimedio contro il rischio devastante del “possedere” l’altro.

Mediatori dell’azione di Dio

La prima strofa invoca Dio perché affidi agli angeli la nostra custodia. È il tema centrale della festa, che allarga la missione di queste creature celesti, e fa di loro non solo dei “messaggeri”, come dice l’etimologia del nome, ma la mano di Dio che ci guida e accompagna, il suo piede che ci segue a protezione e difesa.

Come mi è capitato spesso di dire, simile linguaggio diventa per noi vero e comprensibile quando lo usiamo per qualificare le nostre relazioni con le persone. Di fatto, se gli angeli sono mediatori dell’azione di Dio, le persone sono per noi mediatori delle azioni degli angeli. Credo sia necessario mantenere costante questo legame, sia per capire gli angeli (partiamo da ciò che sperimentiamo), sia per coglierne la presenza nelle persone fisiche che ci stanno attorno o che incontriamo.

La seconda strofa riconduce ad un binomio essenziale la duplice funzione degli angeli: ci difendono da ogni nemico e ci porgono i doni della salvezza. Le due cose si richiamano. Nella vita dobbiamo fare i conti con tante avversità che rendono difficile il cammino. Stanno dentro e fuori di noi, sono ostacoli che nascono dalle nostre fragilità, da opposizioni e afflizioni procurate da persone che, per una qualche ragione, ci vogliono male. Queste difficoltà interne ed esterne ci pongono in una situazione obiettiva di debolezza, onde la necessità di essere soccorsi e costantemente “salvati”. A questo provvedono gli angeli, che ci sono stati dati come custodi. Come?

È compito della terza strofa dettagliare in sei verbi latini i modi che segnano l’intervento degli angeli. Se si considerano con un minimo di attenzione questi verbi non sarà difficile ritrovarvi per contrasto una serie di situazioni “malate” che gli angeli sono chiamati a guarire.

I compiti degli angeli

La prima funzione è la visita. Non è indifferente che questo gesto sia messo in testa alla lista. Quando siamo preda della tristezza per una qualche difficoltà, niente è più efficace di una “visita”, l’apparizione di qualcuno che sappiamo ci vuol bene e ci fa sentire vicino una presenza che basta da sola a trarci fuori dal senso doloroso di solitudine che ogni dolore aggrava.

L’angelo poi nella sua visita monda, un ripulire necessario per rendere piano e agevole il cammino dello spirito, cui fanno da ostacolo le varie cupidigie, l’abbattimento che segue insuccessi e fallimenti, debolezze congenite e ostinate che portano allo scoramento. La purificazione di norma si accompagna a forme potenzialmente dolorose di correzione, che dobbiamo saper accogliere in vista del bene che procurano.

L’azione per cui gli angeli infiammano può indicare sia il “fuoco” delle parole e delle prove che ci purificano, sia lo stimolo di chi ci incoraggia a superare la depressione e l’inedia per riaccendere l’entusiasmo e la voglia di perseverare nel fare il bene. In questo senso ho incluso nel verbo infiammare anche il verso che dice «al bene sempre ci incitino», utilizzando la duplice valenza dell’immagine del fuoco.

Resta un’ultima azione positiva: l’ammaestramento, che penso possa coincidere con il discernimento, perché il problema numero uno di chi percorre un cammino è sapersi districare tra i mille sentieri che la vita presenta: in questo il consiglio di un angelo diventa sommamente prezioso.

Questi i «doni di salvezza» che chiediamo con fiducia a chi Dio ci ha messo accanto come custode.

C’è un’ultima azione in cui il soccorso trova in certo senso il suo coronamento: frenare la violenza dei diavoli! A ben vedere, il senso riassuntivo di tutti i gesti di benevolenza soccorrevole è proprio questo: essi sono il bene che vince il male (Rm 12,21). Non dovrebbe essere difficile intendere che tutto quanto si è detto degli angeli vale anche per noi. «Quando gareggiamo nello stimarci a vicenda (Rm 12,10), noi facciamo il lavoro degli angeli» (Gregorio Nisseno). Quando viviamo i sei verbi, ciascuno è angelo per gli altri.

Amare e onorare gli angeli

Vorrei terminare riportando un passo di san Bernardo che parla degli angeli custodi e che il Breviario presenta per la festa odierna. Commentando il versetto del salmo 90, Ai suoi angeli ha dato ordine che ti custodiscano in tutte le tue vie, il santo si sofferma sul verbo custodire, e scrive:

«Quanta riverenza ti deve ispirare questo verbo, quanta devozione arrecarti, quanta fiducia conferirti. La riverenza per la presenza, la devozione per la benevolenza, la fiducia per la custodia. Gli angeli, infatti, ti stanno accanto, e stanno accanto non solo a te, ma anche per te. Ti stanno accanto per proteggerti, ti stanno accanto per aiutarti. Invero, anche se è Dio che ha dato loro un comando, anche se con tanto amore obbediscono e ci soccorrono nelle nostre gravi necessità, non ci è lecito essere ingrati nei loro confronti. Siamo dunque devoti, siamo riconoscenti verso questi nostri grandi custodi; riamiamoli, onoriamoli per quanto possiamo, per quanto dobbiamo. A Dio venga reso tutto il nostro amore, tutto il nostro onore, poiché da lui viene tutta la nostra capacità di amare e onorare per cui meritiamo di essere a nostra volta amati e onorati. E dunque, fratelli, in Dio amiamo con affetto i suoi angeli, che in futuro saranno nostri coeredi, mentre nel frattempo sono per noi e guide e tutori, posti dal Padre a farci da custodi. […] Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti: che ragione abbiamo di trepidare? Ci resta da seguirli, da aderire a loro, così da rimanere mediante loro sotto la protezione del Dio del cielo» (Sermone sul Salmo 90, Qui habitat).

Chiudo con la colletta di Compieta per i giorni di festa: «Visita, ti preghiamo, Signore, questa tua casa, e allontana da essa tutte le insidie del nemico; i tuoi santi angeli vi prendano dimora per custodirci nella pace, e la tua benedizione sia sempre su di noi».

Che la casa sia una famiglia, una comunità o una singola persona, non cambia molto. Che poi questa visita avvenga mediante una consolazione va da sé: lo aveva ben capito Simeone, che alla sera della vita ancora attendeva la consolazione di Israele (Lc 2,25), quella che lo ha raggiunto nel bambino Gesù, di cui Zaccaria aveva profetizzato che sarebbe venuto «a visitarci dall’alto come sole che sorge» (Lc 1,78).

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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti 30 settembre 2019

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