Cammino di Santiago, per un tratto dell’itinerario portoghese, a cominciare da Porto. Versante della “senda litoral” e “variante espiritual”. Solo 240 km a piedi, ma non solo con i piedi. Un itinerario molto meno battuto e servito del Cammino tradizionale, quello francese. Ma un tragitto denso di inviti.
Sarà che mi piacciono i paradossi (li ritengono più efficaci nell’interpretare la realtà e attribuirle un significato), ma il tratto che maggiormente mi ha fatto sentire “pellegrino” l’ho percorso sul gommone, da Vilanova de Arousa a Padrón. Imbarcati alle 7 di mattina, in una delle uniche 4 giornate di nebbia che si registrano in un anno da queste parti. Freddo e aria pungente nelle orecchie. Il passaggio è marcato dai “cruceiros” posti a indicare le stazioni della Via Crucis. Mi sono sentito per un solo vergognoso attimo fratello di quei “pellegrini” che percorrono tratti ben più lunghi, ben più insidiosi, ben più esposti alle intemperie, alla ricerca di un approdo che salvi la vita. Io per un piacere spirituale “di lusso”, loro per una necessità vitale di povertà. Davanti a me la meta di una cattedrale costruita per accogliere, davanti a loro una spiaggia deserta sulla quale trovarsi abbandonati da chi costruisce cattedrali ai santi morti e lascia morire i “pellegrini” in cerca di vita prima ancora che di santità.
Lungo l’oceano
Il mio cammino – ero insieme a una coppia di sposi, ma prefrisco assumermi la responsabilità di pensieri in prima persona – è stato benedetto dalla provvidenza. Ha piovuto solo una volta e mentre stavo facendo colazione, senza nemmeno darmi il tempo di accorgermene. Ho realizzato in quel momento che la mantella non era nello zaino, dove ero sicuro di averla posta. Nelle ore più calde del giorno, qualche nuvoletta occasionale mi ha riparato dal picco del sole. Mi sono sentito fratello di altri “pellegrini” che, tanti secoli fa, fuggivano da una terra di schiavitù verso una terra di libertà. Accompagnati da una nuvola fresca di giorno e luminosa di notte.
Qualche volta ho camminato sulla sabbia: il piede è più libero, ma lo zaino si fa più pesante. Da una parte è commovente pensare che il tuo passaggio lascia una traccia visibile a tutti; dall’altra è un bagno di realismo riprenderti e sapere che alla prossima marea, se non alla prossima onda, la spiaggia non ricorderà più di te.
Alla sinistra il mare, anzi l’oceano con il fascino della sua vastità, l’imponenza – sempre imprevedibile – delle sue onde, il sonoro costante e senza pause di silenzio. Quasi monotono allo sguardo, specialmente qui dove la foschia la fa da padrona per lunghe ore della giornata. Monotono, perfino prevedibile e pur sempre suggestivo, come la quotidianità della vita, che si ripete con il va-e-vieni delle sue onde, dei suoi alti e bassi … eppure ogni lambire d’onda è inedito; magari ti fidi della traccia lasciata dall’onda precedente e trovi che quella successiva arriva più su della caviglia.
Alla destra la terra ferma, con i rumori sopraffatti dall’oceano ma la sottile pervasività dei suoi profumi. Tu viaggi in mezzo. Potresti quasi chiudere gli occhi e orientarti ugualmente: non ti perderesti, ma ti perderesti la bellezza che si offre inesauribile da bere senza bisogno di centellinare. Puoi guardare in alto senza sentirti schiacciato; puoi guardare in basso per avere la misura dei tuoi passi; puoi guardare l’orizzonte senza vedere la meta, ma sapendo che è certa e irremovibile. E i pensieri si affollano, si intrecciano. Più volte ancora tacciono. Dai piedi entra il cammino e dai piedi scarichi le tensioni. Riesco a non pensare, fiducioso sempre di essere pensato.
Attraverso i villaggi
Dopo un lungo bagno nella natura, l’arrivo della tappa è quasi sempre in un villaggio o città. Lungo il percorso un mulino a vento, un faro, un porticciolo, qualche “cruceiro” … le frecce gialle che indicano il cammino sono tracce dell’uomo che lascia indicazioni per te. All’arrivo, la natura cede il passo alla cultura, il naturale al manufatto … l’acqua alla birra. Accumulo negli occhi le suggestioni delle stradine, le bellezze delle piazze e dei “palazzi”, la serenità delle chiese di paese. A volte – eclatante il caso di Viana do Castelo – la cittadina presenta un pessimo biglietto da visita: palazzoni fuori taglia, ecomostri, tanto cemento. Poi ti addentri ed è un gioiello, di piccoli tesori forse nemmeno stellati dalle guide turistiche ma così ben composti a costruire un insieme eloquente della sapienza di chi ci vive. (Mi rimprovero di saper fare chilometri per visitare una bella città e poi nemmeno pochi passi per apprezzare il luogo in cui vivo). Chissà: ci si abitua alla bellezza fino a darla per scontata (ne sappiamo qualcosa noi italiani) e ci si adatta alla bruttezza, fino a divenirne complici. Da pellegrino le attraverso entrambi, sapendo che non mi appartengono né mi possiedono. «My feet is my only carriage – And so I’ve got to push on through» («I miei piedi sono il mio unico mezzo di trasporto – Perciò devo tirare avanti»), cantava Bob Marley.
Nel bosco
Passato dal Portogallo alla Spagna, il sentiero mi porta per lunghi tratti (quelli su asfalto restano pur sempre troppi) nei boschi della Galizia. Dapprima verso il Monastero di Armenteira, poi di lì lungo il percorso ecologico “Di Terra e di Acqua”. L’orecchio perde la colonna sonora “kolossal” dell’oceano e si riempie dei rumori leggeri del bosco. Spero sempre di trovare una freccia gialla a dirmi che non mi sono perso (e qualche volta devo invece constatare che è successo). Lungo la “variante espiritual” non si incontrano molti pellegrini, che si fanno più fitti man mano che diminuiscono i kilometri di distanza da Santiago. La domenica mattina, una corsa campestre mi corre di fianco per un lungo tratto. Mi fa sentire così pesante e lento… Loro hanno un traguardo, io ho una meta e questo mi basta per trovarmi contento della mia condizione.
Santiago
Il volumetto che mi fa da guida (ben informato e ben organizzato) annuncia che ormai dovrei vedere le guglie della cattedrale di Santiago. Motus in fine velocior … mica tanto. Lo zaino sembra più pesante. Il saliscendi dell’ultimo tratto è molesto. Il bosco copre la vista della meta. Ma a pesare è soprattutto il brutto colpo inferto dalle pietre miliari (“mojónes”), che marcano la distanza dalla cattedrale. A O Milladorio davano poco più di 6 kilometri alla meta. Mi fermo per un panino e una birra. Alla ripresa, sono sincronizzato su quella misura quando il primo mojón che incontro dopo un centinaio di metri riporta una cifra maggiorata. Io, che li stavo fotografando tutti a marcare il passo, controllo se fosse un’apnea della memoria. Invece no. Il peggio è che quello successivo rincara la dose e i chilometri diventano più di 7! Poca roba, si dirà, sui 240 totali. Ma non si può mentire così a un povero pellegrino e soprattutto infrangere il “rapporto di fiducia” tra il Cammino e il camminante. Chissà se anche questo incidente è parabola di vita, ma non voglio pensare di dover diffidare anche delle pietre miliari della mia vita. Penso – si parva licet… – a chi nel viaggio della vita è stato illuso da promesse facili e poi, una volta imboccata la strada, ha dovuto fare i conti con una realtà più tosta.
Un po’ adrenalina acida alla fine mi carica. L’arrivo a Santiago è in salita. La città sembra troppo abituata ai pellegrini per accorgersi di chi cammina sui marciapiedi con uno zaino in spalla. Le frecce gialle mi abbandonano (o forse ho sbagliato strada?) ma arrivo … arriviamo comunque. Insieme, come lungo tutto il percorso. Il selfie in Plaza Obradoiro con la cattedrale alle spalle è liberatorio e inebriante.
Il Portale della Gloria è purtroppo chiuso ai pellegrini (ormai da troppo tempo) per lavori di ristrutturazione. Si entra da una porta laterale, senza poter portare lo zaino. E noi che avevamo rinunciato a passare dall’ostello proprio per presentarci al Santiago con tutto il fardello del nostro cammino. Forse anche alle porte di Sanpietro verrò ammesso da una porta laterale, senza portali della gloria e senza zaini da esibire. Purché sia. Nel cammino della vita sono certo della meta, incerto delle fatiche e dei paesaggi che mi aspettano, del tutto inconsapevole dei tempi e dei “chilometri” che mi restano da sgambare. L’arrivo sarà in salita? Non so. Sono sicuro però che nella Gerusalemme Nuova non saranno indifferenti al mio arrivo. E faremo festa.
Grazie!
Giorni fa Un mio amico ha fatto il cammino. All’inizio ero un po’ arrabbiata perche’ lui poteva permettersi questo viaggio e io no.. gli ho chiesto se mi portava con lui…. e mi ha risposto NO!! PER PORTARE ME bisogna organizzare un cammino speciale… non vi dico la reazione che ho avuto dentro ”PERCHÉno??” dopo i primi sms ho capito il perche’…
IL CAMMINO E’ BEN LONTANO DALL’ESSERE DICHIARATO ACCESSIBILE A PERSONE SU CARROZZINA. Con il passare dei giorni la rabbia e svanita. Perche’ il mio amico e’ stato grande e mi ha coinvolto nel suo viaggio attraverso le sue emozioni i suoi raccanti – foto – le alzate all’alba, piaghe ai piedi. Ma la cosa piu’ bella di questo viaggio e’ stata la piena condivisione. Forse a voi fara’ ridere ma sono anche riuscita a sentire il Padre Nostro in diretta dalla chiesa di San Francesco, anche l’arrivo a Santiago e’ stata un’impresa: non arrivava mai; sulle conchiglie mancavano sempre dei chilometri.. È vero, non avro’ l’attestato, il quaderno con i timbri, ma in fondo quelli sono solo pezzi di carta che un giorno (….) A me invece rimane la gioia di tutto quello che ho saputo raccogliere da questo viaggio speciale. Volevo dire al mio AMICO che entrare dagli ingressi laterali non e’ un offesa… io e Pasquale (carrozzina) e’una vita che entriamo dalle porte laterali, perche’ “nessuno pensa che noi siamo parte di questo mondo, e non una parte a sé”.
Grazie per avermi fatto VIVERE E PARTECIPE a questo viaggio pieno di bellezze e di insidie e cattedrale mastodontica.