La parabola dei talenti (cf. Mt 25,14-30) ci fa capire quanto è importante avere un’idea vera di Dio. Non dobbiamo pensare che egli sia un padrone cattivo, duro e severo che vuole punirci. Se dentro di noi c’è questa immagine sbagliata di Dio, allora la nostra vita non potrà essere feconda, perché vivremo nella paura e questa non ci condurrà a nulla di costruttivo, anzi, la paura ci paralizza, ci autodistrugge. Siamo chiamati a riflettere per scoprire quale sia veramente la nostra idea di Dio. Già nell’Antico Testamento egli si è rivelato come «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6). E Gesù ci ha sempre mostrato che Dio non è un padrone severo e intollerante, ma un padre pieno di amore, di tenerezza, un padre pieno di bontà. Pertanto possiamo e dobbiamo avere un’immensa fiducia in lui (Papa Francesco, Angelus 19 novembre 2017).
Nel suo ultimo libro, Non è quel che credi. Liberarsi dalle false immagini di Dio (EDB 2019), Francesco Cosentino afferma che «riconciliarsi con Dio, distruggendo le immagini negative e oppressive di lui che nel tempo hanno ricoperto di cenere le braci della fede, è il cuore della grande avventura spirituale dei nostri giorni».
Pur nella consapevolezza che Dio è sempre più grande di qualsiasi rappresentazione umana e che davanti a lui è bene fare come Mosè, cioè toglierci i sandali della presunzione e della voracità, ogni credente dovrebbe – è la raccomandazione dell’autore – porsi ogni giorno alcune decisive domande. In quale Dio credo? Qual è l’immagine di Dio che mi porto dentro? Quale Dio accompagna la mia giornata, raccoglie le mie paure, accarezza i miei sogni e nutre le mie speranze?
Alla luce del contenuto del bel saggio del docente di teologia fondamentale della Pontificia Università Gregoriana, mi sembra che a queste domande si possa rispondere sinteticamente nei termini che seguono.
Il Dio in cui non credo
Non credo nel Dio tappabuchi, sul quale proietto desideri e bisogni, al quale dovrei rivolgermi quando la vita quotidiana diventa insopportabile e dal quale dovrei aspettarmi ciò che io stesso devo osare e fare.
Non credo nel Dio che, dall’alto della sua trascendenza e onnipotenza, muove le cose a suo piacimento e mi induce a credere che sia inutile impegnarsi a cambiare il corso degli eventi.
Non credo nel Dio che vuol essere riconosciuto solo nei limiti delle mie possibilità e non anche al centro della mia vita, solo in relazione alla colpa e al peccato e non anche in relazione al bene che posso compiere.
Non credo nel Dio giudice distante e spietato, che esige la perfezione della mia prestazione e che mi punisce se devio dalla retta via.
Non credo nel Dio della paura che castiga e mi defrauda della possibilità di sentirmi qualche volta in regola e rappacificato con me stesso.
Non credo nel Dio poliziotto e capriccioso che ama perché uno fa il bene e non ama più chi fa il male.
Non credo nel Dio contabile e legalista, privo di sentimenti e senza cuore, contabile puntiglioso, che registra ogni mio sbaglio per un severo rendiconto finale.
Non credo nel Dio doganiere al quale nulla sfugge e rispetto al quale difficilmente passo la frontiera della buona accettazione di me stesso.
Non credo nel Dio spione, “grande fratello”, occhio che penetra e tutto vede, fino a violare la mia intimità.
Non credo nel Dio del sacrificio che antepone il sacrificio all’amore, che si diverte a mandarmi la croce e la sofferenza perché mi vuol bene.
Non credo nel Dio che stende un velo di sospetto e di veleno sui piaceri della vita.
Non credo nel Dio che toglie le ali alla gioia e alla libertà, facendo della mia vita un peso insopportabile da subire al posto di un dono liberante da offrire.
Non credo nel Dio dell’efficienza che dona a ciascuno secondo quanto gli spetta.
Non credo in un Dio padrone, che misura severamente sulla bilancia i miei demeriti e centellina il suo amore per me.
E non credo neppure nel Dio superpotenza invisibile che somiglia ad una entità vaga dell’aldilà, solenne seccatore che riassume la percezione degli adolescenti dinanzi alle raccomandazioni pressanti dei genitori, torturatore che mette in atto vendette e punizioni mandando catastrofi e terremoti, prestigiatore dagli strabilianti miracoli facili, dispensatore di fanatiche certezze.
E non credo neppure nel Dio puerile e bambinesco che mi rimbocca le coperte e mi fa salire su una carrozza quando piove.
Il Dio in cui credo
Il Dio in cui credo accende la vita, mette in moto la speranza e sussurra le inquiete domande del cuore, opponendo il fluire entusiasta della vita vera alle fissazioni, alle rigidità e alle piccole certezze in cui continuamente rischio di trincerami.
Il Dio in cui credo è domanda aperta che mi invita ad uscire, tenendomi in esodo permanente. Credere in lui è come vivere: basta restare in viaggio.
Credo nel Dio biblico che dà appuntamenti e non si fa trovare, tenendomi in cammino verso una meta sempre nuova. Mi invita ad un “faccia a faccia”, ma, allo stesso tempo, posso guardare solo di spalle. Mentre mi parla, si nasconde e tace. Quando credo di averlo perduto, semina tracce lungo il cammino.
Il Dio in cui credo è un Padre che mi attende sulla soglia della vita; la carezza che mi ridona vigore quando, ferito ai bordi della strada, la stanchezza prende il sopravvento sul desiderio del viaggio; l’amico che mi sorprende nel deserto della banalità o nel grigiore della routine; il mare illimitato di vita rispetto al quale sento di essere solo una piccola isola e verso cui approderò, colmando finalmente la struggente nostalgia che accompagna i miei giorni.
Il Dio in cui credo è umano, umile, fragile e innamorato. Non è un freno per la mia gioia, ma un colpo d’ali e di vento per le vele della mia barca.
Credo in Dio che, “creandomi”, mi ha dotato di una dignità inviolabile, radicata nel cielo e, dicendo sì alla mia vita, mi offre la possibilità di vivere in pienezza la mia umanità.
Credo in Dio che opera e agisce nella mia vita, restando al mio fianco come il pastore che si prende cura del suo gregge, curandosi di me e facendomi procedere nella serenità e nella pace dei prati verdi, anche in mezzo all’oscurità delle tempeste della vita. Se mi perdo, egli viene a cercarmi perché il mio nome è tatuato nel palmo della sua mano e al centro del suo cuore.
Credo in Dio, un Padre dai tratti materni che infonde sicurezza e vicinanza, ma anche tenerezza e fiducia: nelle sue braccia posso starmene sereno, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre.
Credo in Dio e nel roveto ardente della sua presenza anche nel tedio di un’esistenza rassegnata e mediocre che però può essere illuminata e purificata dalla luce e dal calore che da lui promanano.
Credo in Dio, roccia di salvezza che fa scorrere in me una sorgente inesauribile di amore, di forza e di desiderio di bene.
Ma soprattutto credo nel Dio di Gesù Cristo
Credo nel Dio di Gesù che si prende cura perfino dei capelli del mio capo. Non solo mi viene a cercare quando sono smarrito, ma mi attende sulla soglia di casa scrutando l’orizzonte con nostalgia e con le braccia spalancate.
Credo nel Dio di Gesù, che è amore, bontà e misericordia. Non solo si china sulle mie ferite, ma si offre e si spende per me, fino a morire sulla croce.
Credo nel Dio di Gesù, che ha viscere di compassione per le ferite dell’essere umano e che lotta con tutte le sue forze perché nessuno si perda e tutti abbiano la vita in abbondanza.
Credo nel Dio di Gesù che non ha nessun tratto malvagio o demoniaco, in quanto inequivocabilmente interessato al bene degli umani e mai indifferente alla loro sorte.
Credo nel Dio di Gesù che inaugura il suo Regno, cioè il suo progetto d’amore, come promessa di grazia e di salvezza per tutti, speranza dei poveri e dei peccatori. Un Regno annunciato con un linguaggio poetico e insieme enigmatico, che svela e nasconde allo stesso tempo e, così, genera una spazio vuoto che mi costringe a pormi delle domande, a cercare il senso, a impegnarmi in prima persona per testimoniarlo e renderlo presenti qui ed ora.
Credo nel Dio di Gesù che guida la storia con provvidenza, raccoglie nelle sue braccia la vita di ogni creatura, conosce le mie necessità prima ancora della mia richiesta, mi regala forza e coraggio, risvegliando la speranza del domani anche a chi ha imboccato il tunnel dell’assurdità e dell’oscurità.
Il Dio che Gesù di Nazaret mi ha rivelato e nel quale io credo non abita freddi concetti razionali o verità concettuali esterne a me, ma fa dello scorrere anonimo e silenzioso del fiume dei miei giorni il luogo dell’incontro con la sua rivelazione.
Il Dio narratomi da Gesù posso trovarlo nel sorgere del giorno, nella gioia di una festa di nozze, nella fragranza del seme del campo, nell’allegria di una donna che ha ritrovato la moneta perduta, nelle gemme di primavera che spuntano sugli alberi, nel contadino che semina o nel vignaiolo che pianta, nella storia comune di un padre e di due fratelli, “la più bella avventura” mai raccontata.
Il Dio che Gesù ha tratto dall’oscurità e nel quale io credo è un Dio amante di una giustizia spiazzante, che si traduce nel dare la stessa quantità di monete all’operaio della prima come dell’ultima ora.
Credo nel Dio di Gesù che abita le profondità del mio essere, facendo di me un piccolo rivolo d’acqua nel mare infinito del suo amore di Padre dal cuore di Madre che non cerca servi, ma figli e figlie.
Io credo solo nel Dio di Gesù Cristo. Il Dio della tenerezza, che muore d’amore per me e per tutti.