La croce in pubblico e in privato

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Il clamore mediale ha investito la decisione del ministro-presidente bavarese, Markus Söder. Dal 1° giugno in tutti gli edifici pubblici del Land appare una croce nell’atrio di ingresso: tribunali, uffici amministrativi, commissariati di polizia, scuole e istituzioni pubbliche. Segno religioso e identitario, «la croce non è solo parte integrante della nostra religione, ma appartiene anche alle fondamenta del nostro stato», «espressione di una impronta storica e culturale».

Numerose le critiche: dai costituzionalisti ai partiti d’opposizione, dall’opinione pubblica ai rappresentanti del protestantesimo. Ma – è questo ha sorpreso alcuni – anche da parte dei vescovi e del mondo cattolico. In una intervista al Süddeutsche Zeitung (30 aprile), il card. Reinhard Marx, vescovo di Monaco di Baviera, ha detto che «la croce non è un segno di identità di un paese o di uno stato», è piuttosto «un segno di opposizione alla violenza, all’ingiustizia, al peccato e alla morte, ma non ad altri uomini».

In Baviera, ma prima a Bruxelles e a Roma

L’immagine della croce in pubblico ha fatto spesso discutere. Nel 2011 una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo diede ragione al governo italiano: l’esposizione del crocifisso non lede la libertà del cittadino. Conclusione che rovesciava una precedente sentenza (non della Grande camera ma del tribunale ordinario, sempre della Corte europea) che invece condannava l’Italia a togliere dalle scuole il segno religioso.

I giudici riconobbero che il crocifisso non era un elemento di indottrinamento, ma rientrava «nei limiti della discrezionalità di cui dispone l’Italia nel quadro dei suoi obblighi di rispettare, nell’esercizio che assume nell’ambito dell’educazione e dell’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire l’istruzione conformemente alle loro convinzioni religiose e filosofiche».

I vescovi e la Santa Sede espressero la loro soddisfazione e dal mondo politico venne l’appoggio ad un riferimento di valore e di identità.

Alcuni decenni prima, nel 1938, Pio XI esprimeva la sua decisa contrarietà ad un segno che poteva alludere alla croce cristiana, mentre la contraddiceva: la croce uncinata dei nazional-socialisti tedeschi. In occasione della visita di Hitler a Roma (2 maggio) la città era pavesata dal simbolo dell’alleato tedesco del duce. In una udienza il papa aveva detto che stavano succedendo «tristi cose, molto tristi, e da lontano e da vicino a noi; molto tristi cose; come il fatto di inalberare a Roma le insegne di un’altra croce, che non è la croce di Cristo».

Cosa lega eventi così distanti e apparentemente contraddittori?

Salvezza per tutti non identità di pochi

La scienza della comunicazione (e prima la teologia) ci ha insegnato a distinguere fra segno (materiale), referente (la croce) e significato (la croce salvifica di Cristo).

In Baviera il segno fa riferimento al referente, ma non al significato religioso. La riduzione della croce a identità culturale fa problema.

A Strasburgo il segno fa riferimento al referente e al significato, ma non è ritenuto un impedimento all’esercizio della libertà religiosa. Il significato religioso della croce include la libertà e non è accettabile che sia un tribunale ad affermare il contrario.

A Roma il segno è diverso, ma allude al referente ed è contraddittorio rispetto al significato spirituale. Non si contrappone la croce di un popolo alla croce della Chiesa. Al di là delle differenze dei tempi e delle contingenze, è il significato spirituale a guidare il giudizio ecclesiale.

Uso strumentale e populistico

Tornando in Baviera, una voce protestante come quella della verde Katrin Göring-Eckardt sottolinea: «la croce non è una decorazione murale». «In quanto giovani cristiani siamo shoccati e preoccupati».

La Federazione giovanile cattolica e la Gioventù evangelica denunciano la strumentalizzazione del simbolo cristiano rispetto alle paure di fronte al milione di rifugiati, in gran parte musulmani, ammessi nel paese negli ultimi anni (nel paese vivono cinque milioni di musulmani dei quali due milioni hanno nazionalità tedesca).

Molto critico anche il card. Marx (la croce «è il segno per una società che accoglie, che integra, che ritrova fiducia in se stessa», non certo che esclude e condanna altre fedi) e il vescovo L. Schick. Più favorevole alla legge il vescovo R. Voderholzer.

La polemica si colloca all’interno dell’ormai imminente battaglia elettorale nel Land dove la destra politica (Alternative für Deutschland – AfD) insidia la tradizionale egemonia della CSU (democrazia cristiana locale). Alle recenti elezioni nazionali la CSU ha perso il 10% ed è crollata al 38%. L’AfD parte dal 12% ma spera di capitalizzare la spinta di destra e xenofoba che soffia in Europa (e anche in Italia) costringendo la CDU ad una alleanza di governo. La popolazione si è detta favorevole al provvedimento con il 56%. Contro è il 38%. Ma, a livello statale, i risultati si rovesciano: il 64% è contro, il 36% a favore.

Il segno della croce

La croce non è solo un’immagine. È anche un segno che il credente fa su se stesso. La custodia del significato spirituale della croce di Gesù è garantita più dalla prassi dei credenti che dai confronti con le autorità pubbliche. «Ci abituiamo a vivere in una società che pretende di fare a meno di Dio, nella quale i genitori non insegnano più ai figli a pregare né a farsi il segno della croce. Io vi domando – ha detto papa Francesco all’udienza generale del 5 marzo 2014 –, i vostri figli, i vostri bambini sanno farsi il segno della croce? Pensate. I vostri nipoti sanno farsi il segno della croce? Glielo avete insegnato? Pensate e rispondete nel vostro cuore… Questa assuefazione a comportamenti non cristiani e di comodo ci narcotizza il cuore!».

La discussione pubblica può essere utile per riprendere la comprensione di uno dei grandi e santi segni della fede cristiana. È uno dei riti antichi della Chiesa. È rintracciabile anche in civiltà assai precedenti: in Mesopotamia, in Cina, nella tradizione pre-colombiana. Ma è progressivamente diventato un segno propriamente cristiano.

Nelle prime comunità ebraico-cristiane il riferimento era al Tav del libro di Ezechiele, la forma dell’ultima lettera dell’alfabeto ebraico che indica Dio, come successivamente l’omega, ultima lettera dell’alfabeto greco. Un segno messianico, che indicava il nome di Dio ricevuto nel momento del battesimo.

Nell’ambito greco il Tav diventa Tau, interpretato come la croce di Cristo, soggetto di gloria e di redenzione. Espressione di una potenza che dà alla croce un carattere cosmico.

All’inizio del terzo secolo questo segno, fatto con un solo dito sulla fronte, diventa marchio indelebile per i catecumeni, segno della loro consacrazione. Esorcismo e arma offensiva contro il maligno e le potenze del mondo. Il segno sulla fronte si arricchisce di un soffio sulla mano, come denuncia Giuliano l’apostata.

Nel frattempo, il segno sulla fronte si estende al volto (fronte, orecchie e narici), sempre con un solo dito. La pietà popolare estende il suo uso e amplia il gesto: la croce viene fatta sulla fronte, la bocca e il cuore. Ambrogio di Milano testimonia una ulteriore modalità: sulla fronte, il cuore e le braccia.

Fra battesimo e ortodossia

La crisi monofisita, cioè il mancato riconoscimento della doppia natura di Gesù, apre all’uso di due dita nel gesto. E quelle trinitarie successive a usare tre dita. Il segno slitta progressivamente dall’attestazione del battesimo alla difesa dell’ortodossia. L’identità del cristiano trova la sua sorgente nella relazione con la Trinità.

Le forme maggiori (il grande segno della croce) e quelle minori (i piccoli segni sulla fronte e sul volto) si mescolano sempre più, ma il grande segno prende il sopravvento. In due forme. È tracciato dall’alto (fronte) in basso (cuore) con una variante successiva: dalla spalla sinistra alla destra o dalla destra alla sinistra.

L’Oriente cristiano ha mantenuto l’uso delle tre dita, mentre in Occidente, grazie alla tradizione benedettina, si usa l’intera mano con le dita unite.

Vi sono state e vi sono possibili derive. La prima è di trasformare questo segno in tratto oppositivo contro le altre confessioni cristiane e oggi, sempre più, contro altre fedi, in particolare l’islam. La seconda è di forzare il significato nel senso magico. Per questo la tradizione protestante respinge l’uso del segno della croce, anche se gli anglicani la mantengono nella liturgia e i metodisti anche nella pratica personale.

Nella tradizione cattolica sono rimasti sia i piccoli segni (per es., prima della lettura del vangelo nella liturgia è ancora in uso il triplice segno sulla fronte, sul labbro e sul cuore) sia il grande segno (sulla fonte «nel nome del Padre», sul cuore «del Figlio», sulla spalla sinistra e destra («e dello Spirito Santo»), con l’«Amen» finale.

Ti avvolge tutto

Il Catechismo della Chiesa cattolica lo caldeggia: «Il cristiano incomincia la sua giornata, le sue preghiere, le sue azioni con il segno della croce, “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”. Il battezzato consacra la giornata alla gloria di Dio e invoca la grazia del Salvatore, la quale gli permette di agire nello Spirito, come figlio del Padre. Il segno della croce ci fortifica nelle tentazioni e nelle difficoltà» (n. 2157).

Romano Guardini, ne I santi segni, scriveva nel 1927: «Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l’animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, corpo e anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica. Perché? Perché è il segno della totalità ed è il segno della redenzione. Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce egli santifica l’uomo nella sua totalità, fin nelle ultime fibre del suo essere».

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